In quel di Maremma, luogo noto per la crudezza del territorio e dei suoi abitanti, persone dai modi molto diretti e spiccioli, troviamo anime di una certa complessa delicatezza.
Marco e Francesca sono delle persone bellissime che vi invito a conoscere perché sono una coppia meravigliosa, vi invito soprattutto a posare per loro perché mettersi a confronto con l’obiettivo fotografico e con una visione di sé filtrata da un’occhio esterno è, in generale, un’esperienza formativa che fa mettere in discussione la maggior parte delle volte, soprattutto se vi affidate ad un occhio critico che sa il fatto suo.
Detto questo ho posto loro qualche domanda, soprattutto perché il 28 aprile inaugurano proprio qui in Maremma, a Grosseto per la precisione, la loro prima personale, una dialettica fotografica il cui comune denominatore è il corpo, libero da ogni costrutto sociale, riportato ad una dimensione fiabesca e fanciullesca, immerso in scenografie bucoliche dalle cromie incantate: una dimensione a cui tutti noi dovremmo in un certo senso sperare di tornare.
Come sempre ho chiesto un brano da mettere come sottofondo all’intervista
The War on Drugs – Thinking Of a Place
Az: Iniziamo con la domanda base: cos’è per voi la fotografia?
F&M: È libertà, ed equilibrio.
È uno specchio che riflette le contraddizioni del reale, le conflittualità dei rapporti umani e delle convezioni sociali, ed è in grado di restituire un’immagine del nostro mondo che si depura e alleggerisce da tali conflitti e incoerenze.
Sotto la guida dell’autore, una foto può compiere questo miracolo di ricomposizione del mondo umano e naturale, ed è in grado di equilibrare e dare ordine, a volte, al caos che domina l’animo dell’autore stesso.
Ma la fotografia è anche la gioia dell’atto creativo; fermando in un fotogramma interi flussi emozionali, visioni, ricordi e inquietudini, contribuisce alla nascita di qualcosa di nuovo, che è più della somma delle sue parti.
La fotografia, per noi, è tutto questo e tanto, tanto altro ancora.
Az: Marco com’era la tua fotografia prima di incontrare Francesca? Che tipo di soggetti ti incuriosivano? Su cosa ti focalizzavi?
M: L’amore per la fotografia c’è sempre stato: ricordo che ripassavo in rassegna le foto di famiglia scattate dal mio babbo con un occhio che era già “interessato” al mezzo espressivo oltreché allo scatto in sé.
Quando ho iniziato concretamente a scattare analogico, ormai quindici anni fa in quel di Pisa, l’amore viscerale del mio occhio fotografico era indirizzato agli oggetti inanimati, in effetti. È stata la fotografia minimalista il mio primo amore. Trovavo terapeutico il ricercare e trovare schemi, patterns, regolarità nel paesaggio urbano e naturale intorno a me; serviva a calmare le inquietudini che mi agitavano da sempre, a mettere ordine in testa, a calmare le ire giovanili di cui ero fin troppo schiavo.
Al tempo detestavo le persone; non le sopportavo nella vita di tutti i giorni, e di conseguenza le trovavo irrilevanti come potenziali soggetti fotografici. Tutto questo è cambiato grazie all’incontro, sentimentale e artistico, con Francesca: adesso la chiave di lettura del mio processo creativo è un’infinita curiosità per l’essere umano in ogni sua manifestazione.
Az: Francesca prima di intraprendere il tuo percorso di fotografa, hai iniziato come modella. Com’era stare dall’altra parte dell’obiettivo? Perché hai deciso di non essere più oggetto agito ma soggetto attivo?
F: esatto, posare per me è stato il primo passo per conoscere la fotografia, con cui avevo soltanto un rapporto occasionale e di tipo “documentaristico”.
Iniziai subito con il nudo, soprattutto in ambienti e contesti intimi, spesso le case degli stessi fotografi.
Dico sempre che posare per foto di nudo sia stata la scelta che più mi ha arricchito a livello di crescita personale: mi ha permesso di indagare una mia dimensione intima e personale come mai avevo fatto prima di allora, mettendomi davanti una nascente voglia di sperimentazione e introspezione.
Era maturata una crescente curiosità di sapere come poteva essere scattare le mie fotografie, e il passaggio è avvenuto in maniera quasi brusca: una volta capito che potevo essere in ogni particella della foto, e non solo finire con me stessa, non ho potuto più rinunciarci.
Az: In molte foto di Marco sei presente tu Francesca come soggetto, uno scambio biunivoco, un dialogo intimo totalmente vostro. Quanto la vostra fotografia è legata al vostro rapporto? L’una influenza l’altro e viceversa?
F&M: Diciamo che quella rinnovata fascinazione per l’umanità di cui parlavo prima è nata grazie a Francesca, nella vita come nell’arte. I reciproci influssi che alimentano il nostro rapporto si estendono naturalmente all’attività creativa, e le foto che la ritraggono condensano in infinite gradazioni ciò che ci lega: una sensualità intensa, delicata e complice, l’amore per sé stessi e per la propria libertà intellettuale, una fusione d’intenti e visioni che si manifesta pur nelle piccole cose quotidiane.
Perciò potremmo dire che sì, la nostra fotografia recente è intimamente legata al nostro rapporto personale.
Az: Come mai il corpo nudo?
F&M: Non esiste cosa più onesta ed essenziale, nel mondo degli uomini, del corpo che ci sostiene. Prima ancora della maschera sociale che indossiamo per vivere le nostre vite, è il nostro corpo a parlare per noi, di noi; riteniamo con grande convinzione che i corpi parlino assai più chiaramente e serenamente di chi siamo, mentre il trucco e i vestiti che usiamo, il modo di parlare e le persone che decidiamo di frequentare parlino piuttosto di chi “dobbiamo essere”.
Il nostro processo creativo cerca costantemente questa onestà ed essenzialità riguardo al punto di vista con cui osserviamo i nostri simili, e ai modi in cui veniamo percepiti dagli altri.
Az: Un’altra cosa che caratterizza il vostro lavoro, è la scelta della scenografia, altrettanto importante quanto la scelta dei soggetti ritratti: rari i paesaggi antropizzati, a favore di una scelta di paesaggi naturalistici. Quanto vi identificate con il territorio che abitate?
F&M: Tantissimo. La ricerca di luoghi che ci ispirano è di fondamentale importanza. La nostra filosofia è quella della ricerca di equilibrio tra fattori che spesso nella vita reale si calpestano e si sovrastano: libertà d’espressione, sessualità, rispetto per l’ambiente, coerenza fra presenza umana e ambientale.
Spesso basta osservare la luce che cade su un sasso e capire che genera le stesse ombre che farebbe su un ginocchio, e questi collegamenti non possono essere ignorati.
Durante le nostre sessioni di scatti ci piace anche richiamare alla mente contesti giocosi e quasi infantili, e in questo l’ambiente non contaminato ci aiuta tantissimo, allontanando in corpo nudo da ogni tipo di giudizio morale e sociale.
Una volta lessi che i poeti di periferia si somigliano tra di loro, perché amano i fiori, gli animali, la natura. Forse vale anche per i fotografi.
Az: Ad oggi Instagram è il medium più popolare per poter far conoscere il proprio lavoro, ma è anche una piattaforma con delle restrizioni ben precise, molto facili da infrangere soprattutto con l’esposizione del corpo femminile. Come vivete e percepite la censura all’interno dei social?
F&M: Instagram al momento è il principale mezzo che utilizziamo per divulgare i nostri lavori, e per allargare il nostro ventaglio di conoscenze nel settore; le censure e limitazioni messe in campo dalle guidelines di Instagram sono diventate perciò un enorme ostacolo negli ultimi tempi.
Da un punto di vista più ampio, l’attuale situazione fa riflettere su come il nostro modo di vedere il nudo sia del tutto frainteso dal grande pubblico, sempre più diseducato e arido davanti a certe immagini.
Proprio per questo è importante non arrendersi e continuare a diffondere i nostri messaggi; e a cercare modi alternativi, e magari “analogici”, di mostrare quello che facciamo.
Az: Come detto all’inizio, il 28 Aprile inaugurerete la vostra prima personale a Grosseto, raccontateci un po’ cosa avete preparato.
F&M: La nostra mostra “TASSOMIGLIO” avrà luogo a Grosseto da giovedì 28 aprile a domenica 8 maggio. Racchiuderà una bella e consistente fetta della nostra produzione artistica. È la nostra prima mostra, e siamo già felicissimi dell’entusiasmo e dell’affetto ricevuto.
Abbiamo voluto mettere insieme i nostri luoghi e le persone che ci hanno accompagnato più da vicino in questo nostro viaggio fotografico: in un flusso visivo di foto scattate negli ultimi tre anni, abbiamo voluto assemblare una sorta di “recital collettivo” che celebrasse i valori e i punti di riferimento che guidano il nostro processo creativo, ma soprattutto la nostra visione del mondo e dei rapporti tra le persone, e di ognuno di noi con la propria fisicità, con la sessualità, con l’ambiente e con le norme di comportamento sociale comunemente accettate. Vi aspettiamo!
Instagram: https://www.instagram.com/libra.fra/ – https://www.instagram.com/_marco_simi/