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Recensione : JON SPENCER & THE HITMAKERS – SPENCER GETS IT LIT

Ci sono dischi che segnano periodi della vita nei quali si decide di chiudere un cerchio e andare avanti, aprendo un nuovo capitolo della propria esistenza, e ciò vale anche per la propria parabola musicale. E così, a sette anni dall’ultima fatica discografica coi suoi Blues Explosion, l’icona garage/blues/trash/punk Jon Spencer ha da poco annunciato di avere chiuso (definitivamente?) la trentennale esperienza col progetto JSBX, che gli ha dato visibilità e notorietà a livello internazionale con album incendiari di punk-blues (senza tuttavia rinunciare alle ibridazioni con generi lontani dal rock ‘n’ roll, come le sperimentazioni fatte con funk, hip hop e musica elettronica in alcuni dischi incisi nella seconda metà degli anni Novanta, sia come Jon Spencer Blues Explosion sia coi Boss Hog, band in cui milita anche la frontwoman e moglie Cristina Martinez) e concerti e tour altrettanto pirotecnici, dei quali ne è testimonianza l’ultima pubblicazione, datata 2016, di un live album, a cui erano seguiti 6 anni di silenzio, finché non è stata messa la parola “fine” all’avventura. Oggi, chiuso un capitolo importante, mister Spencer ci informa di essere tornato con un suo nuovo gruppo, gli HITmakers , affermando che, da ora in poi, saranno la sua priorità, ed è di qualche settimana fa la pubblicazione di un nuovo Lp (prodotto dallo stesso Spencer, a quattro mani con Bill Skibbe) intitolato “Spencer Gets It Lit” e uscito su In The Red Recordings, Bronze Rat e Shove Records.

 

Gli HITmakers sono una band capeggiata da Spencer (voce e chitarra) e completata da Mr. Sord alla batteria, Bob Bert alle percussioni “trash” (sì, il suo ruolo in studio e sul palco è proprio quello di suonare i bidoni della raccolta differenziata come uno strumento)  e Sam Coomes alla voce, organo e synth. A dire il vero, questi musicisti si esibiscono dal vivo già da qualche anno con Jon e, in realtà, buona parte di questa line up (Coomes, oltre al produttore Skibbe, e Sord, presente sull’ultimo Lp dei Boss Hog, per non parlare di Bob Bert, già nei Pussy Galore con Jon) aveva già preso parte, nel 2018, alle registrazioni di “Spencer Sings The Hits!“, in teoria primo “album solista” del menestrello elettrico del New Hampshire, ma newyorchese di adozione. A questa formazione si è aggiunta, per le date dal vivo, anche Janet Weiss, che, insieme a Coomes, forma anche il duo dei Quasi, che sta accompagnando in tour (o meglio, si sta interscambiando tra le due band) gli HITmakers. Ma non chiamatelo “supergruppo”, sarebbe meglio definirli una s-gang-herata fauna un po’ attempata che vuole ancora prendere a calci in culo il buonismo e la pulizia del rockettino insipido odierno che passa su TV e radio generaliste.

 

Da “Spencer Gets It Lit” non bisogna però aspettarsi un disco rivoluzionario, indimenticabile, spartiacque, che faccia gridare al miracolo e che sia capace di segnare questa epoca: nessuno lo ha chiesto al buon Spencer, in fin dei conti, e di sicuro non è questo il suo ruolo nel panorama rock ‘n’ roll di oggi, dove egli conserva comunque una consolidata reputazione di animale da palcoscenico e una sua nicchia di estimatori e fan-atici.  A 57 anni suonati, Spencer “si accende” ancora, parafrasando il titolo dell’Lp, ma non si può pretendere che suoni sempre rock ‘n’ roll con la stessa foga e ferocia elettrica, lo stesso ardore e la carica ormonale esuberante dei venti-trenta anni, anche se dal vivo spacca ancora il culo ai passeri e può tranquillamente insegnare a centinaia di frontman e gruppettini insulsi come si sta su un palco. Da Jonathan Kirk Spencer non ci si può attendere che torni a sfornare (capo)lavori  disturbanti, spaccatimpani o irriverenti come ai tempi dei Pussy Galore, degli Honeymoon Killers, degli Heavy Trash, dei Gibson Bros., dei primi Boss Hog e dei Blues Explosion, è chiaro. Il suo lo ha ampiamente fatto e noi non possiamo fare altro che ringraziarlo per il suo passato e gli ordigni di R’N’R in bassa fedeltà che ci ha lasciato, e ora che è (quasi) arrivato alla soglia dei 60 anni è anche giusto che gli si possa concedere il diletto di cimentarsi nel fare tutto ciò che vuole, sbattendosene il cazzo di tutti, pur mantenendo la discriminante della qualità della sua proposta. Oggi possiamo accontentarci di ottimi album di mestiere, come nel caso di questo “Gets It Lit” e dello stesso precedente “Sings The Hits”: dischi suonati per il gusto di farlo, senza la pretesa di cambiare la storia del rock (una storia in cui ormai non si inventa più nulla ed è stato già detto, fatto, scritto, sperimentato, filmato e suonato tutto) ma con la voglia di continuare a divertirsi e a andare in giro per il mondo a fare casino live on stage, perché il rock ‘n’ roll ci fa sentire giovani dentro, imbracciando una chitarrozza distorta anche a 80 anni.

 

Schegge di furia primordiale sprizzano ancora fuori da brani come l’iniziale “Junk Man” (titolo appropriato, visto che negli HITmakers c’è un membro che percuote i cassonetti della spazzatura…) dal feeling dignitosamente lercio conferitogli dalle stilettate di organo e altri effettacci, con delle liriche (“You talk about gold, but you’re selling trash, you’re just a junk man”) che potrebbero benissimo utilizzate per descrivere, ad esempio, l’operato degli attuali politicanti che siedono al governo-parlamento italiano, statunitense e della cosiddetta Unione Europea. E anche nella seconda traccia, “Get it right now“, il suono è on fire e imperniato su un garage stomp à la Blues Explosion infettato da suoni di synth, mentre “Death Ray” si dipana lungo ipnotici riff reiterati che sfociano quasi nel surf (sempre insudiciati da effetti electro).  “The worst facts” è un drone contorto chitarra/percussioni/effetti in cui il Nostro sembra quasi prevedere il futuro del rock ‘n’ roll come un genere musicale (e soprattutto una attitudine) in via di estinzione, proiettando la visione del se stesso vecchio trombone anziano che ha appeso strumenti e ugola al chiodo e si lamenterà del fatto che “people don’t play that way anymore“. Il veterano del garage rock si diverte a destrutturare il suo amore viscerale per il blues per poi ricostruirlo e dargli nuovi connotati, siano essi freak noise che ricordano da vicino i JSBX (“Primary Baby“, “Strike 3” e il minuto e 58 secondi di “Push comes to shove“) derive electro-funk  (“Worm Town“, “Layabout Trap“) garage pop (“Bruise“) soul-rock intimista (“My hit parade“) trip psichedelici deformati (“Rotting Money“) e boogie (nella conclusiva “Get up & do it“).

 

“Spencer gets it lit”, nel suo insieme, è un disco compatto, che non ha cali di tensione, e che il suo principale autore ha addirittura definito “il più intransigente mai realizzato”, e noi non possiamo che essere fieri di questa sua coerenza nel portare avanti un percorso di rock ‘n’ roll senza compromessi da oltre tre decenni, sempre dissacrante e iconoclasta, rifiutando l’omologazione, ma a suo agio nello sguazzare nel putridume della società (senza tuttavia adeguarsi alle sue regole) e trovare nei suoi bassifondi l’ispirazione per comporre ancora nuova arte, in un contesto urbano degradante tra fogne a cielo aperto, corruzione, immondizia marcita al sole, rumorismo contenuto, mostri e antieroi. Dite quel che volete, ma io preferisco ancora un losco figuro come Spencer a questa attuale ondata di band post-post-punk pulitine incensata e pompata dalla stampa musicale cartacea e digitale.

 

TRACKLIST

 

1. Junk Man
2. Get It Right Now
3. Death Ray
4. The Worst Facts
5. Primary Baby
6. Worm Town
7. Bruise
8. Layabout Trap
9. Push Comes to Shove
10. My Hit Parade
11. Rotting Money
12. Strike 3
13. Get Up & Do It

 

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