Per il primo disco non ci allontaniamo di molto dalla sede di In Your Eyes e siamo ad Imperia per il nuovo lavoro dei Supasonic Fuzz, uno dei migliori gruppi liguri e non solo per quanto riguarda hard rock stoner e fuzz. Per chiudere un grandissimo ritorno, quello dei sardi Black Capricorn con ” Cult of blood ” dove si vola altissimi.
SUPASONIC FUZZ
Nuovo disco per gli agitatori sonori liguri Supasonic Fuzz, si intitola ” Cobracadabra “ e esce per la molto attiva Orzorock Music. Registrato interamente dal vivo agli Onda Studio di Imperia, il lavoro vive di un gran fermento hard rock e stoner rock con un’altissima concentrazione di fuzz e atmosfere southern.
Il gruppo nasce ad Imperia nel 2010, in origine si chiamavano Without… per poi prendere l’attuale nome e hanno sempre picchiato ben bene con un suono che incorpora al suo interno molti elementi, dall’hard rock psichedelico e che deve molto ai mostri sacri, ma il gruppo aggiunge moltissimo di suo, e la loro specialità è rendere molto bene uno stoner hard rock molto distorto e assai coinvolgente, che ti cattura dal primo ascolto e che sa di deserto, maledizioni indigene e abusi di sostanze.
Come solo poche bands underground sanno fare i Supasonic Fuzz mettono nella loro musica qualcosa di speciale e il loro stoner molto fuzz prende vita e ti si attacca come fosse un mojo, e ti va bene essere posseduto da loro perché è quello che vuoi. Il gruppo imperiese sa benissimo come dilatare una canzone come se stessero facendo una jam e renderla molto interessante ogni nota che passa, anzi più continua e più vorresti sentirla ancora. Esempio supremo di questa modalità compositiva è la traccia che chiude il disco ” Black Ivy Ghost ” che ha non finisce mai in pratica.
Suono ruspante e bello possente, musicalità altissima, molto coinvolgenti e incendiari, i Supasonic Fuzz sono un gruppo che affascina dal primo ascolto, e in questo disco registrato dal vivo in studio c’è tutta la loro bravura e carica che mettono nei concerti, e questo disco la riporta tutta. ” Cobracadabra ” è un disco per menti malate che amano quell’impasto sonoro duro e psichedelico, che sa di sabbia e serpenti, e loro lo fanno benissimo, e sopratutto divertono moltissimo, offrendo una diversa angolatura del suono pesante, come i vicini Carcharodon di Alassio, che sono un’altra storia ma hanno lo stesso approccio sonoro.
Come per il gruppo di Alassio la copertina è disegnata da Boggio Nattero, e se ascoltate entrambi i gruppi raddoppiate il divertimento.
BLACK CAPRICORN
Torna con ” Cult of blood “ su Majestic Mountain Records uno dei migliori gruppi sardi di sempre di musica pesante e occultismo, i Black Capricorn.
Il trio sardo si era sciolto nel 2019, e Fabrizio Monni e le due sorelle Piras sembrava non potessero più tornare insieme con il sodalizio cominciato nel 2008 e dopo dischi fantastici come ” Under the capricorn ” o ” Cult of black friars” giusto per citarne due, Invece succede l’auspicabile e il trio torna assieme per produrre sette meravigliose tracce, sette viaggi in territori occulti e immaginifici. Il suono dei Black Capricorn nasce dai grandi classici come Black Sabbath e Saint Vitus, passa per il doom metal degli anni ottanta e novanta, ha un fascino retro eppure riesce ad essere molto moderno.
Il trio ti mesmerizza portandoti in una dimensione differente dove ti ritrovi a contatto con esperienze paranormali o forse solamente normali, con una serie di culti e credenze antiche che abbiamo sepolto per vile paura sotto tonnellate di modernità e tecnologia.
Il gruppo ribalta tutto, e attraverso il loro sabba ci riporta in una dimensione atavica che è fortemente personale ma non solo, dove non esiste dualismo, dove il male non ha questo nome, e dove il bene non lotta. I loro magnifici toni ribassati, le pelli di Rakela Piras che sono un richiamo al culto, i giri di basso della sorella Virginia che si fondono perfettamente con la chitarra di Monni, il tutto è unico per ché solo loro sanno farlo così e chi ha ascoltato i dischi precedenti sa di cosa si parla. Come supremo esempio di tutto ciò si potrebbe citare la finale ” Uddadhaddar ” un mantra nero e maledetto che narra dell’immensa antichità del popolo sardo e di divinità non certo benigne ma assai più veritiere delle nostre.
Un grandissimo ritorno per il trio sardo, che è uno dei migliori nel suo genere, capace di farti veramente cambiare dimensione durante l’ascolto, che è preferibile ad alto volume. Uno dei serissimi candidati a disco dell’anno, anche solo per il sentitissimo e doveroso omaggio ai finlandesi Reverend Bizarre nella traccia ” Worshipping the Bizarre Reverend “.