Il rischio c’era, inutile negarlo. I Buzzcocks, leggendaria punk band di Manchester, ha deciso di andare avanti per onorare la memoria del compianto frontman e principale songwriter del gruppo, Pete Shelley (scomparso nel dicembre 2018) col chitarrista Steve Diggle (unico membro rimasto della “storica” formazione) a ereditare la leadership e gli oneri vocali, riorganizzando la line up come trio (insieme al batterista Danny Farrant e al bassista Chris Remington, già presenti in pianta stabile dal 2014) e già nel 2020 la band aveva firmato un contratto discografico con la Cherry Red Records, che aveva portato a un 7″ single con due pezzi, “Gotta get better” e “Destination Zero“.
Quest’anno, a fine aprile, hanno rilasciato un un 10″ Ep (uscito sempre su Cherry Red) contenente tre brani che il combo aveva rilasciato come un anticipo per un futuro nuovo Lp, che in effetti si è materializzato la scorsa settimana, con la pubblicazione di “Sonics in the soul” (composto in buona parte durante il lockdown pandemico, registrato a Londra e co-prodotto dallo stesso Diggle) che di fatto è il decimo album ufficiale della loro lunga parabola artistica, al netto di scioglimenti e reunion.
Esisteva il timore, probabilmente fondato, che il nuovo corso dei Buzzcocks alla fine potesse rivelarsi un flop clamoroso, pasticciato da un leader ormai sessantasettenne (e da sempre secondo di Shelley, vero motore e mente della band mancuniana) che in tarda età aveva deciso che fosse giunta l’ora di diventare la primadonna che non era mai stata, sfruttando la morte del collega e infangando la gloriosa discografia di uno degli ensemble fondamentali del primo punk inglese, e primo collettivo punk in assoluto ad affidare il proprio materiale alla pratica dell’autoproduzione (come nel caso del mitico Ep d’esordio “Spiral Scratch“).
E invece, per fortuna, non è accaduto niente di tutto questo.
Nonostante la grave perdita di Pete Shelley, il songwriting non sembra avere smarrito la retta via, recuperando lampi di antico smalto, riproponendo, nel singolo di lancio e canzone apripista del lotto, “Senses out of control“, le classiche coordinate di un anthem alla Buzzcocks, riaggiornandole ai tempi moderni: chitarre elettriche graffianti e melodie pop, formula in cui i nostri sono da sempre maestri (con quel “oh no” in controcanto che sembra uscire dall’ugola del fantasma di Pete Shelley a benedire la nuova era) ribadendola anche nelle successive “Manchester rain” e “You’ve changed everything now” (dove il canto di Diggley cerca di rievocare quello del suo ex compare Shelley) mentre “Bad Dreams” si riallaccia alle atmosfere di classici come “Fiction Romance“, “Autonomy” o “Nothing Left“, e i riffoni di “Don’t mess with my brain“, insieme alla più elaborata “Experimental Farm“, richiamano le atmosfere di “A different kind of tension“.
Si respira aria buona anche in “Nothingless world” e “Just got to let it go“, altri temi 100% Buzzcocks (e, in quest’ultima, compare ancora quell’ “oh no” che ritorna, come se il fantasma di Shelley fosse ancora lì in sala di registrazione) e all’inizio di “Everything is wrong” fa quasi sobbalzare la somiglianza col riff di “E.S.P.“.
Chiudono il tutto la solida “Can your hear tomorrow” e la kinksiana “Venus Eyes“. Le canzoni, insomma, ci sono, parliamo di ciccia, non di game quiz show.
The same music in a different time, volendo parafrasare il titolo del loro album d’esordio. Steve Diggle al timone tiene salda la rotta e riesce a riempire gli spazi lasciati vuoti da Shelley e a sopperire alla sua assenza, i nuovi brani di “Sonics in the soul” sono di buona fattura e suonano ancora alla Buzzcocks, still going steady. Nel loro caso (a differenza degli MC5 attuali) può avere un senso andare avanti, e sicuramente Pete avrebbe approvato. It’s still the Buzz, Cock!