La giusta chiave di lettura per approcciare “The sun is a violent place”, terzo, recentissimo album di Dagger Moth, è quella di disconnettere i ricordi legati ai primi due, e concentrarsi esclusivamente su questo. Non farlo significherebbe limitare lo spazio di azione della nostra corteccia cerebrale, vincolandola ai ricordi di quello che è stato fino ad oggi il percorso artistico della chitarrista ferrarese.
L’album ha un’azione colinergica che permette di raggiungere finalmente quel livello di serotonina che abbiamo vanamente cercato durante il biennio pandemico, periodo che, stando a quanto dichiara la stessa Sara Ardizzoni, ha rappresentato il terreno di coltura ideale per la proliferazione e la crescita del disco. La costrizione tra le mura domestiche, vissute per la prima volta come propaggini detentive, le ha consentito di plasmare meticolosamente la sua creatura, fino alla forma definitiva che abbiamo tra le mani.
L’album sancisce un’innegabile crescita artistica, al punto che, continuare a identificarla nel ruolo di “chitarrista (per scelta) e cantante (per necessità)”, come lei ama descriversi, diventa tanto anacronistico quanto limitante per ciò che oggi, duemilaventidue, Dagger Moth rappresenta in ambito musicale.
Certo, la simbiosi totalizzante con la sua chitarra, resta e resterà, soprattutto in sede live, ma siamo certi che nel momento in cui Sara si trasforma in Dagger Moth continuare a chiamarla chitarrista lede e sminuisce la sua essenza. È come se si aprisse uno spaccato di una realtà allucinatoria che ci catapulta in quell’altrove che siamo soliti raggiungere solo con additivi lisergici di buona qualità.
Sicuramente la sua recente storia musicale l’ha aiutata a guardare altrove. Le sue collaborazioni in seno ai Massimo Volume, e ai Caminanti di Cesare Basile, le hanno permesso di confrontarsi con dinamiche che esulano dai mari ormai calmi in cui era abituata a navigare. Non è più la chitarrista di qualche anno fa, ora possiamo guardarla come una musicista completa e poliedrica. E l’album ce lo dimostra immediatamente, dai primissimi minuti, quando veniamo proiettati in un contesto in cui la fusione tra la chitarra e le componenti elettroniche riescono a dare vita ad un amalgama tanto coinvolgente quanto accattivante.
“The sun is a violent place” qualitativamente parlando è seduzione allo stato puro, realizzata grazie ad una elegante convivenza armonica tra il noise e l’elettronica che, non solo non sfocia mai nella cacofonia, ma nemmeno guarda a soluzioni di comodo che possano ammiccare a cliché scontatissimi. Non è certamente un disco immediato, anzi, il contrario, abbiamo davanti un album che con il suo “rilascio lento e prolungato” imprigiona gli ascoltatori. Completamente autoprodotto come i due precedenti, “The sun is a violent place” si caratterizza per un sound decisamente più raffinato e corposo rispetto al passato, che però risulta immediatamente riconoscibile e riconducibile alle produzioni di casa Ardizzoni.
Gli otto brani che lo compongono ci raccontano un album decisamente crepuscolare che trova la sua completa realizzazione nel momento in cui riusciamo a lasciarci andare all’ascolto, con la giusta dose di trasporto emotivo, libera da ogni condizionamento esterno. Spesso siamo portati a guardare indietro per trovare quel qualcosa che i dischi contemporanei non riescono a darci, da un punto di vista strettamente emozionale, ma non è questo il caso. “The sun is a violent place” guarda assolutamente al domani. Non inventa nulla, sia chiaro, ma riesce a riaccendere quella passione che rischiava di assopirsi prematuramente, andando a fondo in quella fase di “ricerca” che abbiamo sempre amato. È proprio questa sua idea di mutamento inarrestabile, di sperimentazione sonora, a rendere l’album intrigante.
Anche la componente vocale vede l’alba di una nuova era, con una cura maggiore e una voglia di “osare” che forse in passato l’aveva frenata. Oggi, in sostanza, è tutto molto più equilibrato, più connesso, più maturo. Ma soprattutto più curato, in ogni minimo dettaglio. Senza lasciare nulla al caso, Sara ha finemente lavorato, cesellando con perizia, e il risultato è un album ricchissimo di sfumature che dovrete attendere con pazienza, quando anche la vostra sintonia con il disco avrà raggiunto il giusto livello di connessione.
Sono passati solo tre album, ma Dagger Moth dimostra di sapere cosa vuole fare da grande.