Avevamo già parlato, l’anno scorso, delle Ribbon Stage, terzetto newyorchese a trazione femminile (“Anni Hilator” al basso e voce e “Jolie M-A” alla chitarra e cori, coadiuvate da Mari Softie alla batteria) autore di un indie/noise pop che profuma deliziosamente di (altri) anni Ottanta, quelli di compilation come “C86“, e che avrebbe fatto la fortuna di etichette come la Sarah Records.
In occasione del loro Ep d’esordio, “My favorite shrine“, uscito nel 2020 su K Records, eravamo già rimasti piacevolmente sorpresi dalla proposta del trio, che aveva le mani in pasta in sonorità che hanno quarant’anni sul groppone (Dolly Mixture, Vaselines, Beat Happening, Shop Assistants, Pastels, Talulah Gosh e altri eroi indie-bubblegum-twee pop) shakerate e servite in una nuova veste accattivante, orecchiabile e allo stesso tempo spigolosa, una lezione di rumore e melodia aggiornata ai tempi moderni.
Tutte queste premesse/promesse trovano conferma nell’album di debutto dei ragazzi/e, “Hit with the most“, uscito nel mese di ottobre di quest’anno sempre sulla label di Calvin Johnson (in collaborazione con un’altra di Olympia, Perennial). Registrato e prodotto da Hayes Waring all’Olympic Mobile Control, e con Amy Dragon al master, il disco, sin dalla copertina, rende omaggio all’unico Lp inciso da una delle principali influenze dei nostri, gli scozzesi Shop Assistants. Undici canzoni in meno di venti minuti, a ulteriore riprova della della loro natura, amatoriale, fragorosa e veloce, baciata dal dono della sintesi, dritta al punto, senza assoli ed eliminando il superfluo, con testi formati da poche righe che narrano di apatia, disincanti, insicurezze, fragilità dell’essere umano e illusioni (o, per dirla con le parole del gruppo stesso: “hooks, lyrics, melody, tears“).
Spontaneità e immediatezza sono le stelle polari che guidano i tre di New York, e il florilegio di canovacci jangly guitar pop (sporcato di noise à la Jesus and Mary Chain prima maniera) ha già inizio dalla traccia apripista “Playing Possum” (il cui titolo richiama l’omonimo album del 1982 dell’ex batterista dei Velvet Underground, Moe Tucker, e musicalmente è un alt. rock cristallino che non sfigurerebbe nel repertorio dei Dinosaur Jr. o dei My Bloody Valentine) con sottili variazioni sul tema, man mano che i pezzi si susseguono rapidamente: dai toni puliti di chitarra in “Nothing Left” alla effervescente cavalcata di “No Alternative“, dal ronzante bignami shoegaze di “Nowhere Fast” alla più audace e noisy “Sulfate“, da “Stone Heart Blue“, che scorre via fluida, al surf rock anfetaminizzato e grungizzato di “Her clock tower“, dal gusto indie lo-fi di “Hearst” via via fino al brano conclusivo, dall’aroma twangy, “Dead end descent“.
“Hit with the most” si è conquistato di diritto un posto nella mia personale classifica dei dieci album più belli che ho ascoltato in questo 2022, amore al primo ascolto, e ovviamente l’acquisto è caldamente consigliato, perché il frastuono zuccheroso di queste gemme underground pop conquisterà i cuori di panna che si nascondono palpitanti sotto le vostre corazze DIY punk. Non si esce vivi dagli anni Ottanta (come cantava, qualche decade fa, un tizio simpatico come uno spillo in un occhio e coerente come una banderuola) soprattutto se fatti rivivere in maniera irresistibilmente minimalista e catchy, riesumando tante belle cose sfornate in quell’amato/odiato decennio, così come stanno facendo band come le Ribbon Stage. Daydreams never end.
TRACKLIST
1. Playing Possum
2. Nothing Left
3. No Alternative
4. Nowhere Fast
5. Sulfate
6. Stone Heart Blue
7. Clock Tower
8. Hearst
9. Exaltation
10. It’s Apathy
11. Dead End Descent