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Recensione : Il filo del rasoio di William Somerset Maugham

Tra orrori di guerra e la scoperta dell'India, scopri come la ricerca dell'Illuminazione sconvolge certezze sociali. Un'avventura spirituale e filosofica che lascia il segno. Scopri di più nel nostro post.

“Il filo del rasoio” di William Somerset Maugham, edito da Adelphi

Il filo del rasoio” (1944) racconta di Larry Darrell, un giovane americano traumatizzato dagli orrori della Grande Guerra che per fascino, bellezza e intelligenza potrebbe avere tutto ma che, invece, sceglie la via più imprevedibile: vivere, qualunque cosa questo significhi, da lavorare in miniera a imbarcarsi come mozzo o partire per l’India alla ricerca dell’Illuminazione.

Ed è lì, in India, presso una civiltà con scarse risorse materiali ma con l’equilibrio individuale raggiunto da secoli di meditazione, che Larry va a vivere; ed è lì che incontra la persona che cercava, un sapiente indù grazie al quale trova finalmente la pace e la stabilità interiore, ciò che non avrebbe mai trovato in Europa o nella sua Chicago, in quell’Occidente caratterizzato dalla spasmodica ricerca della sicurezza materiale.

Il vero interesse del romanzo è nella convinzione di Maugham – inglese, figlio di un diplomatico, cresciuto nella cultura tardo-coloniale – che l’India possa scardinare le assurde e futili certezze sociali della borghesia capitalistica.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • (…) ricordo, dopo una battaglia, una catasta di caduti francesi ammucchiati uno sull’altro. Parevano i pupazzi di un teatro di marionette fallito, gettati alla rinfusa in un cantone polveroso perché ormai inutili. Allora pensai (…) i morti sembrano tremendamente morti.
  • Era un cattolico devoto; teneva un crocifisso sopra il letto e la domenica andava regolarmente a messa. Il sabato sera si ubriacava.
  • (…) i reali rovinano una festa. (…) È la gente più ingrata del mondo; ti usano, e quando non gli servi più ti buttano in un canto come una camicia sfilacciata; accettano da te innumerevoli favori, ma non ce n’è uno che attraverserebbe la strada per contraccambiarti con una minima cosa.
  • Il 24 ottobre del 1929 la borsa di New York andò a rotoli. (…) ho passato il settembre del ’29 a Roma. (…) I miei amici del Vaticano mi dissero che il crollo era prossimo e mi consigliarono vivamente di vendere tutti i miei titoli americani. La Chiesa cattolica ha dietro di sé la saggezza di venti secoli e io non esitai un attimo. Telegrafai di vendere tutto e comprare oro (…). Non ho perso niente, anzi ho fatto una barca di soldi. Tempo dopo potei ricomprare i miei titoli per una frazione del prezzo originario (…).
  • Mi venne fatto di congetturare che il diavolo, vedendo le guerre crudeli causate dal cristianesimo, le persecuzioni e le torture inflitte da cristiani a cristiani, la cattiveria, l’ipocrisia, l’intolleranza, debba considerare con compiacimento il bilancio consuntivo.
  • (…) sono un libero pensatore e credo che la religione sia solo una congiura dei preti per dominare il popolo (…).
  • Sapevo che erano stati uccisi uomini a centinaia di migliaia, ma non li avevo visti morire, e a me non diceva molto. Poi vidi un morto con i miei occhi. La sua vista mi riempì di vergogna. (…) Vergogna, perché quel ragazzo, era appena tre o quattro anni più vecchio di me, quel ragazzo che aveva tanta energia e coraggio, che un momento prima era così pieno di vitalità, che era così buono, adesso era un pezzo di carne maciullata e sembrava non fosse mai vissuto. (…) Quella notte non dormii. Piansi. Non avevo paura per me; ero indignato, era l’infamia di una cosa simile che mi atterrava. La guerra finì e tornai a casa.
  • Non riuscivo a credere. Volevo, ma non potevo credere in un Dio non migliore di una comune persona perbene. I monaci mi dicevano che Dio ha creato il mondo per sua glorificazione. A me non sembrava un fine molto meritorio. Beethoven creava le sue sinfonie per essere glorificato? Non credo. Credo che le creasse perché la musica che aveva nell’anima esigeva espressione, e poi le rendesse quanto più perfette poteva. Ascoltavo i monaci ripetere il Padrenostro; mi chiedevo come mai continuassero imperterriti a pregare il padre celeste di dare loro il pane quotidiano. I bambini implorano il loro padre terreno perché li sostenti? Si aspettano che lo faccia, non provano né occorre provino gratitudine perché lo fa, e noi biasimiamo un uomo che mette al mondo figli cui non può o non vuole provvedere. Mi pareva che un creatore onnipotente, se non era disposto a provvedere le sue creature del necessario per l’esistenza, materiale e spirituale, avrebbe fatto meglio a non crearle.
  • Avevo conosciuto dei furfanti a Parigi e altri ne conobbi quando tornai a Chicago; ma per lo più la loro furfanteria era dovuta all’ereditarietà, che non dipendeva da loro, o all’ambiente, che non avevano scelto: non so se la società non fosse responsabile più di loro dei loro crimini. Se fossi stato Dio non mi sarei indotto a condannare nessuno, nemmeno il peggiore, alla pena eterna.
  • Aveva il fare pomposo e la falsa cordialità di un politico di mezza tacca (…).
  • Che una cosa sia creduta da molti non è garanzia della sua verità.
  • Per parte mia penso che il bisogno di adorare sia solo un relitto dell’antico ricordo di dèi crudeli che andavano propiziati.
  • Mi è sempre sembrato che ci sia qualcosa di patetico nei fondatori di religione i quali pongono a condizione della salvezza che si creda in loro. È come se avessero bisogno della nostra fede per aver fede in sé stessi. Mi ricordano quelle vecchie divinità pagane che diventavano esangui e deboli se non erano sostentate dagli olocausti dei fedeli.
  • Loro (gli indiani, nda) pensano che con le nostre innumerevoli invenzioni, con le nostre fabbriche e macchine e tutto ciò che producono, noi cerchiamo la felicità nelle cose materiali, mentre non in esse sta la felicità, ma nelle cose dello spirito. E secondo loro la via che abbiamo scelto porta alla distruzione.
  • I filistei hanno abbandonato da un pezzo la gogna e il rogo come strumenti per spegnere le opinioni che temono; hanno scoperto un’arma molto più micidiale: il ridicolo.
  • “Risulta che questa Macdonald aveva una pessima reputazione. Era un’ubriacona, una drogata e una ninfomane. Usava andare a letto non solo con i marinai in libera uscita ma con tutta la marmaglia della città. Com’è che una persona della sua età e rispettabilità conosceva un tipo simile?”. Ero incline a dirgli che non erano affari suoi, ma dalla diligente lettura di centinaia di racconti polizieschi ho imparato che con la polizia è bene essere cortesi.

 

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