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Recensione : Il caso di Joseph Conrad

Scritto nell’arco di quindici anni e uscito nel 1913, “Il caso” fu il primo vero successo popolare di Joseph Conrad, e l’unico suo romanzo ad avere come protagonista una donna.

“Il caso” di Joseph Conrad, edito da Adelphi

Scritto nell’arco di quindici anni e uscito nel 1913, “Il caso” fu il primo vero successo popolare di Joseph Conrad, e l’unico suo romanzo ad avere come protagonista una donna; su questa straordinaria storia d’amore l’autore ha scritto: “Un critico ha osservato che se avessi scelto un altro metodo di composizione, e con un piccolo sforzo in più, avrei potuto raccontare la storia in circa duecento pagine. Confesso di non comprendere esattamente il senso di una tale critica, e neanche l’utilità di una osservazione del genere.

Senza dubbio, scegliendo un dato metodo e a costo di grande fatica il racconto si sarebbe potuto scrivere su una cartina per sigarette. Se è per questo, l’intera storia dell’umanità potrebbe essere scritta così, se solo la si affrontasse col dovuto distacco.

La storia degli uomini sulla terra, fin dall’alba dei tempi, si può riassumere in un’unica frase infinitamente evocativa: nacquero, soffrirono, morirono…

E tuttavia, che grande racconto! Nelle storie infinitamente minute di uomini e donne che mi è toccato in sorte narrare, però, io non sono capace di un simile distacco.”

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Da quando aveva lasciato il mare era rimasto stupito nello scoprire che le persone istruite non erano meglio delle altre. Nessuno mostrava un qualche giusto orgoglio per il proprio lavoro; dagli idraulici, che erano semplicemente dei ladri a, poniamo, i giornalisti (a quanto pareva li considerava una classe particolarmente intellettuale), i quali mai, neanche per puro caso, fornivano una versione esatta delle questioni più semplici.
  • (…) non ho mai creduto al diavolo così tanto da averne paura; un uomo invece può rivelarsi alquanto spiacevole.
  • (…) mi fece capire che una legge dello Stato non ha un significato proprio, bensì soltanto quello che le viene attribuito; e questo spesso si rivela poca cosa.
  • Le divergenze politiche, etiche, perfino estetiche, non necessariamente suscitano rabbiosi antagonismi. Si può mutare d’opinione; i gusti possono cambiare – anzi, succede spessissimo. Il nostro concetto di virtù è alla mercé delle tante piacevoli tentazioni che si presentano di continuo. Son cose perpetuamente altalenanti. Ma il temperamento è immutabile, e una differenza di temperamenti genera odio. Per questo i conflitti più feroci sono quelli di religione.
  • (…) nessuno scrupolo, nessuna delicatezza d’animo, tenerezza, o considerazione, dovevano impedire a una donna (che per via del suo sesso era comunque la vittima predestinata delle condizioni create dalle egoistiche passioni degli uomini, dai loro vizi e dalla loro abominevole tirannia) di imboccare qualunque scorciatoia le assicurasse un’esistenza più facile possibile. Aveva anche il diritto di dire addio a quell’esistenza senza tener conto dei sentimenti o del disagio altrui, visto quanto insopportabile è la vita di alcune donne per colpa della miope meschineria degli uomini.
  • A quei tempi la parola Risparmio andava per la maggiore. Sai bene il potere che hanno le parole. Passiamo da un periodo all’altro, ciascuno dominato da questa o quella parola: può essere sviluppo o concorrenza, oppure istruzione, purezza o efficienza: anche santità. È la parola che girava per le strade, sottobraccio a rettitudine, la inseparabile compagna e sostenitrice di tutti questi slogan patrii, che ci guardano dritto negli occhi, per così dire.
  • Può mai essere affare di un giornalista capire qualcosa? Mi sa di no. Lo condurrebbe troppo lontano dalle realtà che sono il pane quotidiano della mente del pubblico.
  • Inutile girarci intorno: a questo mondo chi, come i poveri, non ha amici è sempre guardato con sospetto, quasi che l’onestà e la sensibilità siano appannaggio di pochi privilegiati.
  • (…) i sogni del sentimento – come i consolanti misteri della Fede – sono invincibili; non è mai, mai la ragione a guidare gli uomini e le donne.
  • Ci sfioravano di continuo una, due, tre persone alla volta; gli abitanti di quella parte della città dove la vita scorre spoglia di grazia e splendore; ci passavano accanto coi loro indumenti logori, le facce smunte, macilente, angosciate o stremate, o semplicemente inespressive, in un flusso tetro, lugubre non di vite ma di mere esistenze anonime le cui gioie e lotte, i cui pensieri, dolori, le speranze stesse agli occhi del mondo erano miserabili, tristi, e insignificanti. E ti si stringeva il cuore all’idea di cosa fosse per loro la loro realtà.
  • Rimanemmo muti nell’odioso baccano di quel vialone intasato da pesanti carri. Grandi furgoni che trasportavano enormi carichi avanzavano ondeggiando come montagne. Sembrava che il mondo esistesse solo per vendere e comprare e che chi non c’entrava in alcun modo con il movimento delle merci non contasse nulla.
  • (…) un uomo in carcere mi sembra una cosa da incubo, così incredibile e crudele che a malapena riesco a credere alla sua esistenza.
  • (…) un ideale, spesso, non è altro se non una visione ardente della realtà.
  • (…) ridiamo per un senso di superiorità. Nota bene che la schiettezza, l’onestà, il calore umano, un cuore tenero, la gentilezza, la sicurezza di sé e la magnanimità sono oggetto di derisione, perché colui che presenta tratti del genere si mette spesso in situazioni difficili, crudeli o assurde e noi, la maggioranza, che di regola siamo immuni da simili stramberie, abbiamo il piacere di sentirci superiori.
  • Siamo creature della nostra letteratura di consumo molto più di quanto non si pensi di solito in un mondo che si vanta d’essere scientifico, pratico e provvisto di teorie incontrovertibili.
  • Camminò e camminò. C’era poca gente in quel polmone verde di un quartiere povero. Vi sono condizioni di vita in cui non rimane molto tempo anche solo per respirare.
  • Da parte mia so così poco delle prigioni che non ho la minima idea di come le si lasci. Sembra un’operazione tanto abominevole quanto l’altra, il rinchiudere, che evoca uno sbattere di porte, uno sferragliare di chiavistelli, e il silenzio vuoto là fuori – dov’eri fino a un attimo prima: dov’eri e ora non sei più. Assolutamente infernale. E il rilascio! Non so cosa sia peggio. Come funziona? Sfili un cordino, la porta si spalanca, schizza fuori un uomo: Vattene! Adios! E nello spazio, dove un secondo prima non c’eri, nello spazio silenzioso, c’è una figura che si allontana zoppicando. Perché zoppicando? Non lo so. Me la immagino così la scena. Ci si fa l’idea di un sistema che storpia, mutila; di individui che ritornano sottilmente menomati.

 

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