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Recensione : Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani

Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani: Saranno le leggi razziali fasciste emanate in Italia dal 1938 in poi, ad avvicinare i tre giovani che, spesso, s’incontreranno nel vasto e magnifico giardino di casa Finzi-Contini, centro pulsante del libro.

“Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani, edito da Feltrinelli

In questo romanzo il narratore ci guida fra i suoi ricordi, nei suoi incontri con i due figli dei Finzi-Contini, resi quasi irraggiungibili dal divario sociale; i ricchissimi Finzi-Contini appartengono a una presunta élite ebraica e non hanno molti rapporti con gli altri israeliti della comunità di Ferrara.

Saranno le leggi razziali fasciste emanate in Italia dal 1938 in poi, ad avvicinare i tre giovani che, spesso, s’incontreranno nel vasto e magnifico giardino di casa Finzi-Contini, centro pulsante del libro.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Ogni azione, ogni comportamento, venivano giudicati (…) attraverso il rozzo vaglio del patriottismo o del disfattismo. Mandare i propri figlioli alle scuole pubbliche era considerato in genere patriottico. Non mandarceli, disfattistico: e quindi, per tutti coloro che ce li mandavano, in qualche modo offensivo.
  • (…) lo scorso 22 settembre, dopo il primo annuncio ufficiale del 9, tutti i giornali avevano pubblicato quella tale circolare aggiuntiva del Segretario del Partito che parlava di varie “misure pratiche” di cui le Federazioni provinciali avrebbero dovuto curare l’immediata applicazione nei nostri riguardi. In futuro, “fermi restando il divieto dei matrimoni misti, l’esclusione di ogni giovane, riconosciuto come appartenente alla razza ebraica, da tutte le scuole statali di qualsivoglia ordine e grado”, nonché la dispensa, per gli stessi, dall’obbligo “altamente onorifico” del servizio militare, noi “giudei” non avremmo potuto inserire necrologi nei quotidiani, figurare nel libro dei telefoni, tenere domestiche di razza ariana, frequentare “circoli ricreativi” di nessun genere.
  • (…) soltanto la Russia aveva capito fin dall’inizio chi fossero il Duce e il Fuhrer, lei sola aveva previsto con chiarezza l’inevitabile intesa dei due, e agito per tempo di conseguenza. Le destre francesi e inglesi, al contrario, sovversive dell’ordine democratico come tutte le destre di tutti i paesi e di tutti i tempi, avevano sempre guardato all’Italia fascista e alla Germania nazista con malcelata simpatia. Ai reazionari di Francia e d’Inghilterra il Duce e il Fuhrer potevano sembrare dei tipi certo un po’ scomodi, un tantino maleducati e eccessivi, però da preferirsi sotto ogni aspetto a Stalin, giacché Stalin, si sa, era sempre stato il diavolo.
  • Giolitti? Se Mussolini aveva potuto superare la crisi seguita al delitto Matteotti, nel ’24, quando tutto attorno a lui sembrava sfaldarsi e perfino il Re tentennava, noi dovevamo ringraziare di ciò proprio il nostro Giolitti, e Benedetto Croce, anche, ambedue disposti a mandar giù qualsiasi rospo purché l’avanzata delle classi popolari incontrasse impedimenti e ritardi. Erano stati proprio loro, i liberali dei nostri sogni, a concedere a Mussolini il tempo necessario perché riprendesse fiato. Nemmeno sei mesi dopo, il Duce li aveva ripagati del servizio sopprimendo la libertà di stampa e sciogliendo i partiti.
  • Amendola e Gobetti erano stati bastonati a morte; Filippo Turati si era spento in esilio, lontano da quella sua Milano dove pochi anni prima aveva sepolto la povera signora Anna; Antonio Gramsci aveva preso la via delle patrie galere (era morto l’anno scorso, in carcere: non lo sapevamo?); gli operai e i contadini italiani, insieme coi loro capi naturali, avevano perduto ogni effettiva speranza di riscatto sociale e di dignità umana, e ormai da quasi vent’anni vegetavano e morivano in silenzio.
  • Era vero: Mussolini e compari stavano accumulando contro gli ebrei italiani infamie e soprusi d’ogni genere – diceva (…) –; il famigerato Manifesto della Razza del luglio scorso, redatto da dieci cosiddetti “studiosi fascisti”, non si sapeva come considerarlo, se più vergognoso o più ridicolo. Ma ammesso ciò – soggiungeva –, gli sapevamo dire, noialtri, quanti erano stati prima del ’38 in Italia gli “israeliti” antifascisti? Ben pochi, temeva, un’esigua minoranza, se anche a Ferrara, (…), il numero di loro iscritti al fascio era sempre altissimo.
  • Gli operai dello stabilimento dove lui lavorava, cosa credevamo che fossero, dei bruti senza sensibilità? Lui avrebbe potuto nominarcene parecchi che non soltanto non avevano mai preso la tessera, ma, socialisti o comunisti, e per questo motivo picchiati e “oliati” più volte, continuavano imperterriti a rimanere attaccati alle loro idee. Era stato a qualcuna delle loro riunioni clandestine, con la lieta sorpresa di trovarci, oltre che operai e contadini venuti apposta, magari in bicicletta, (…), anche tre o quattro avvocati dei più noti in città: prova questa che anche qui, a Ferrara, non tutta la borghesia stava dalla parte del fascismo, non tutti i settori di essa avevano tradito.
  • Guardavo in giro ad uno ad uno zii e cugini, gran parte dei quali di lì a qualche anno sarebbero stati inghiottiti dai forni crematori tedeschi, e certo non lo immaginavano che sarebbero finiti così, né io stesso lo immaginavo (…).
  • (…) è da precisare che ogni qualvolta si parlava di loro come famiglia, come “istituzione” (…), Malnate non risparmiava le critiche, anche le più dure. Che gente impossibile! – diceva –. Che nodo curioso, assurdo, di contraddizioni insanabili, rappresentavano “socialmente”! Certe volte, pensando alle migliaia di ettari di campagne che possedevano, pensando alle migliaia di braccianti che gliele zappavano, le campagne, disciplinati, sottomessi schiavi del Regime Corporativo, certe volte gli veniva quasi da preferire a loro i truci agrari “normali”, quelli che nel ’20, nel ’21, nel ’22, decisi a mettere in piedi e a foraggiare le squadracce di picchiatori e oliatori in camicia nera, non avevano esitato un momento solo ad allargare le borse. Quelli là, “almeno”, erano fascisti. Quando se ne fosse presentata l’occasione, non sarebbero certo sorti dei dubbi su come trattarli. Ma i Finzi-Contini?

 

Cos’altro aggiungere?

Da questo romanzo Vittorio De Sica trasse un film che nel ’72 vinse l’Oscar come miglior film straniero; il regista considerò seriamente di affidare il ruolo della protagonista ricoperto poi da Dominique Sanda, a Patty Pravo che, però, rifiutò per i troppi impegni di lavoro.

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