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Recensione : OSSI – OSSI

Mi accingo a trattare un altro suggestivo esordio tricolore fuori dai radar mainstream, quello dei toscani OSSI.

Almeno una volta l’anno mi capita di avere a che fare con produzioni italiane alquanto singolari. Nel 2021 mi successe con l’esordio dei TOTALE!, mentre a ‘sto giro, alla fine di questo (musicalmente) glorioso/tragico 2022, mi accingo a trattare un altro suggestivo debutto tricolore fuori dai radar mainstream, quello dei toscani OSSI.

 

 

OSSI è un duo composto dal fiorentino Vittorio Nistri e dal pisano Simone Tilli, due amici e colleghi dalle passioni musicali diverse, ma capaci di farle convogliare in collaborazioni fuori dagli schemi e dagli steccati di genere: entrambi già militanti anche nel progetto sperimentale elettronica/noise/avant jazz/free improvisation Deadburger Factory. Ma OSSI, nato inizialmente come progetto di studio, è diventato anche live band, e si differenzia dalla sopracitata esperienza Deadburger per il suo spirito e il suo carattere sonoro ben definito, che si muove su coordinate (garage) rock psichedeliche (amate da entrambi i musicisti) che tuttavia non disdegnano dense contaminazioni elettroniche.

 

 

Simone e Vittorio hanno forgiato questa nuova creatura in gran segreto (non si aveva, infatti, nessuna notizia della sua esistenza, prima dell’uscita dell’album d’esordio) a più riprese, ma con lo stesso entusiasmo di sempre e, step by step, hanno fatto crescere il progetto fino a farlo diventare, oggi, realtà di senso compiuto, rifinita a trecentosessantagradi, nella quale la musica e le parole hanno la stessa importanza, e uguale rilevanza viene conferita all’immagine e al corpus estetico, che si sublimano in un coloratissimo e dettagliatissimo artwork (che per raccontare il disco assume anche le sembianze di un fumetto underground, che omaggia Frigidaire attraverso i disegni “mostruosi” di Ugo Delucchi, i colori e le spirali del disegnatore satirico Lindo Contemori, l’impostazione grafica di Gabriele Menconi, e nella copertina viene citato direttamente l’indimenticato artista Andrea Pazienza, mentre il booklet bilingue italiano/inglese di ventotto pagine si ispira ai comics underground americani dei Seventies, celebrando i Freak Brothers) in cui coabitano satira, parodia, la controcultura, il gusto per lo sberleffo, una finestra ironica e amara sulla multiforme e contraddittoria realtà quotidiana di cui siamo testimoni.

 

 

OSSI“, prima fatica discografica omonima, è stato pubblicato sulla lombarda Snowdonia Dischi (con distribuzione Audioglobe) ed è uscito, in formato fisico, solo in Lp. Simone (alle voci) e Vittorio (organo Farfisa e factotum delle parti elettroniche) che si definiscono “cantastorie psichedelici”, si sono avvalsi di ospiti d’eccezione come il leggendario Dome La Muerte (che ha contribuito alla riuscita del disco con la sua chitarra) il batterista Bruno Dorella (che ha suonato un minimale drum kit ridotto all’osso, composto da due soli tamburi suonati in piedi, in piena filosofia “less is more“) e Andrea Appino (alla chitarra) tutti musicisti con un pedigree di tutto rispetto, e scelti perché ritenuti funzionali al sound che i nostri avevano in mente. Non meno importanti le partecipazioni al long playing di Carlo Sciannameo al basso e dell’armonicista Roberto Pieralli.

 

 

In “OSSI” covivono felicemente Skiantos, Gaznevada (e il fervore culturale della Bologna di fine anni Settanta) Residents, Frank Zappa e Captain Beefheart in una comune ibrida col garage beat. “Sotto l’apparente semplicità – come spiegato da Tilli e Nistri con dovizia di particolari nelle note stampa – si celano milioni di ore di ricerca e sperimentazione, e i suoni non sono affatto vintage né didascalicamente legati al genere scelto, sia per la componente elettronica contemporanea dei filtraggi e dei loop, sia perché i suoni d’epoca sono mescolati in modi che all’epoca nessuno faceva” come accade, ad esempio, nel brano “Hasta la sconfitta siempre“, che mischia Jimi Hendrix coi Kraftwerk. Ma allo stesso tempo è un’elettronica non ingombrante, che lavora sotto pelle, mentre lascia la giusta ribalta alla parte “umana” dell’opera, quella della componente garagistica chitarra/batteria/organo/voce.

 

 

Anarchia concettuale, attitudine dadaista dissacrante, naïveté, iconoclastia, idealismo non indottrinato, attenzione ai dettagli, lucida follia analitica e surrealismo straniante caratterizzano questo full length, nel quale convivono boutade linguistiche, estro, provocazione, nonsense (ma non troppo) e ritratti di scorci di una società contraddittoria e isterica che si (mal)nutre di diseguaglianze, iniquità, deliri di onnipotenza, stupidità, apparenza, egoismi, ignoranza ostentata come un vanto, arroganza, crudeltà, furberie, superficialità, idiozia, neomoralismi, neopuritanesimi, povertà mentale (oltre a quella socio-economica) nuove tecnologie invasive usate come clave dal Potere per creare una società distopica fondata sull’omologazione e sul controllo delle masse, ed è lo specchio fedele di un mondo forte coi deboli e debole coi forti, sempre più sprofondato in una deriva malata di populismi, qualunquismi, fake news, false flags e complottismi un tanto al chilo. Tutto questo delirante degrado morale e intellettuale è magistralmente sintetizzato nella traccia di apertura, “Ventriloquist Rock“, un allucinato collage di samples che riassumono alla perfezione il peggio degli ultimi venti anni del teatrino vomitato dalla (mala)politica ufficiale del mainstream mediatico, di cui uno dei “protagonisti” indiscussi è stato (ed è ancora) Matteo Renzi, al quale è dedicata “Hasta la sconfitta siempre“, che narra di una delle sue mirabolanti “gesta” che hanno portato, nel giro di pochi anni, al suo suicidio politico-elettorale. O nei campionamenti vocali raccolti nei nove minuti di “Out demons out“, una delirante freak suite (cover della Edgar Broughton Band) che nella parte samples raccoglie molte delle castronerie, dichiarate pubblicamente da varia fauna a dir poco bizzarra e grottesca (che hanno segnato la “weirdness” del biennio pandemico 2020-2021, durante il quale gli equilibri già fragili della sanità mentale della stragrande maggioranza del genere umano sono definitivamente deragliati in una feroce irrazionalità superstiziosa e in una furiosa guerra tra poveri fomentata dalle elités reazionarie) ai quali si accoda anche il marciume che corrode gli apparati delle religioni monoteistiche, esemplificato dal parroco maschilista-omofobo campionato nella rilettura di “Monk Time” dei Monks (mai scelta fu più azzeccata, in effetti).

 

 

Ossi - Ossi - Ossi

 

 

Il campionario di bestialità italiote (ma, a ben vedere, in questi casi vale il detto: “Tutto il mondo è paese”) prosegue in “Ricariche“, che a livello musicale vede la presenza al basso del succitato Sciannameo, e a livello lirico prende spunto da un fatto di cronaca (quello delle ragazzine di scuola media che concedevano favori sessuali ai maschietti in cambio di ricariche telefoniche) accaduto nel 2008 nel “ricco e industrializzato” Nord-Est dello Stivale, quello in cui gli adolescenti benestanti si annoiano facilmente e allora cercano “emozioni forti” per sfidare la routine quotidiana e vedere l’effetto che fa. E ciò che fa da contorno all’evergreen delle storie di provincia a sfondo erotico, tanto cialtronesche quanto mefistoteliche, come nel caso di “Toy Boy” (niente a che vedere con l’omonima e più nota “hit estiva“) ambientato nel trevigiano e incentrato su una moglie che truffa il marito, denunciando una falsa rapina e rubando i soldi dalla cassa del negozio di famiglia per pagarsi un escort ragazzo-oggetto che dia una ventata di novità alla sua vita sessuale inappagata.

 

 

O ancora, le tecniche di corruzione materiale e di manipolazione mentale operate da chi detiene il Potere sulla gente comune arrivista e smaniosa di diventare “famosa”, che pur di essere ripresa in televisione venderebbe anche la madre e si spaccia per finta terremotata, come nell’episodio di “Miss Tendopoli“, basata sullo squallore delle vicende post-terremoto in Abruzzo (2009) e in particolare sulla storia di una donna che accetta un compenso di trecento euro in cambio del millantare, in un noto programma televisivo in onda su un canale facente parte di un notissimo impero mediatico, di essere stata colpita dal terremoto dell’Aquila e una falsa professione per confezionare la marchetta di elogi per il governo dell’epoca, presieduto proprio dal padrone del canale televisivo che ha permesso alla “signora” di andare in tivvù (insomma, ci siamo capiti) perché la tecnica del “panem et circenses” funziona da millenni, e ancora oggi al popolino possono essere negati i più basilari diritti, ma per tenerlo buono è sufficiente consentirgli di partecipare al concorso di bellezza per eleggere miss Tendopoli. O la piaga del lavoro precario elevato a sistema in “Naturalmente non possiamo pagarti“, l’assurda pretesa da parte dei “datori di lavoro” di offrire un impiego alle persone (specialmente giovani e alle prime armi) senza pagarle, lavoretti non retribuiti in cambio di “riconoscenza” (come se la gente campasse d’aria) e omertà, perché passa il folle messaggio secondo cui è il “capo” a concederti il “piacere” di farti lavorare, e quindi in Italia i diritti vengono scambiati per favori, niente stipendio, ma quella frase che dà il titolo al brano, ripetuta come mantra, tanti lavoretti che rimpinzano “curricula” vuoti a perdere.

 

 

C’è anche spazio per perculare i nuovi mostri creati dalla degenerazione delle nuove tecnologie, i fashion influencers (in “Lei è grunge, lui urban cowboy“) che creano e impongono nuove “mode”, sono acriticamente venerati da decine di migliaia di “followers” loro seguaci che, come un gregge di pecore, imitano il loro modo di vestire, di esprimersi, di pensare, di agire, di mangiare, perché sostanzialmente vorrebbero essere come i loro idoli ed emularli (sostenuti anche dalle riviste “del settore”, che usano definizioni pompose, esotiche e arzigogolate per descrivere le baggianate dell’era “social”).

 

 

E nella cantilena “O’ Pisciaturu” si parla dell’atavica piaga del rapporto tra mafie e certa politica ambigua e prestanome, e la “parte per il tutto” è esemplificata dalla figura di un ex assessore lombardo eletto coi voti delle cosche della ‘ndrangheta calabrese (che ha colonizzato Milano e dintorni da almeno mezzo secolo) e finito agli arresti domiciliari perché considerato testa di legno (anzi, orinatoio, “pisciaturo”, dal dialetto meridionale) che avrebbe dovuto favorire i loschi affari della cosca malavitosa al Nord… per finire col culto della personalità del leader, “Per sollevare il morale del capo“, uno dei tanti deleteri marchi di fabbrica del berlusconismo (e del resto non erano già stati i Punkreas a dire che il risultato più evidente del “miracolo italiano”, promesso da Mastro Lindo da Arcore, sia stato il lasciapassare per la ‘ndrangheta a Milano?) recentemente incarnato dall’ignobile e impresentabile figura del “capitano” leghista Salvini a esercitare i perversi meccanismi di seduzione del Potere (che fa presa su gente che utilizza le scorciatoie e farebbe di tutto, pur di “fare carriera”) e al quale i nostri eroi OSSI provano a contrapporsi, proponendosi ufficialmente come nuovi sex simbols nazionali per un cambiamento che, ne sono sicuro, farebbe solo bene a questo sgangherato e disgraziato Paese.

 

 

Ma, alla fine del disco, dopo tante brutture, la chiusura è affidata a un barlume di umanità, compassione ed empatia che ancora riesce a far breccia nel cuore di alcuni esseri viventi dotati di intelletto funzionante. “Navarre“, infatti, è il racconto musicato dell’azione di una ragazza toscana che ha rianimato, via respirazione artificiale, e riportato in vita un lupo ferito che stava morendo nelle acque gelide di un fiume. Un gesto dall’incredibile potenza simbolica, che vorrebbe provare parzialmente a riscattare l’animo della nostra specie che ancora tenta di ritardare il suo, meritato, processo di estinzione.

 

 

Datemi retta, anzi date retta a Vittorio e Simone: oggi, per fare un album psichedelico, non serve più sballarsi con gli acidi: basta guardarsi intorno e prendere ispirazione dalla pazzia collettiva che è sotto i nostri occhi, ogni giorno. Del resto, come ebbe modo di notare il noto influencer ante litteram Charles Bukowski, la gente è il più grande spettacolo del mondo, e non si paga il biglietto. Ma soprattutto, la zuppa di Ossi che ne viene fuori da questo troiaio è sciroccata, ma sonoramente saporita. Power to the bones.

 

 

 

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