– DEMETRA’S REVANGE di Resti di Effe – GHOST TOWN di Nadir Il nostro diario giorno per giorno. DEMETRA’S REVANGE di Resti di Effe GHOST TOWN di Nadir Mi sveglio. Che giorno di numero è che sono in casa? Non lo ricordo. Come non ricordo se sia mercoledì o giovedì. Mi ero ripromesso di tenere nota del giorno, di non perdere la concezione del tempo, ma poi ho perso il pensiero di non perderla, ed eccomi qui. Mi sento stropicciato mentre cammino alla cucina. Mi scaldo acqua nel bollitore. Preparo una tazza di orzo solubile. Ho smesso col caffè da quando tutto questo è iniziato; mi rendeva nervoso, non riuscivo a dormire. Scartabello in modo lento ma non meno convulso tra gli sportelli a guardare se ho cibo. In realtà spero di non averne, cosi da potermi ritenere in uno stato di necessità sufficiente per uscire. Ma ne sono pieno. Ho anche barrette di cioccolato, e le Galatine. Mi stringo meglio la vestaglia color marrone Jedi, e prendo in mano la scodella ancora fumante. Proseguo verso la porta a vetri che apre sul terrazzo. E’ mattina presto, c’è aria fresca, qualche nuvola sparsa e Genova la sento che si sta ancora stiracchiando. Spazio con lo sguardo sullo scorcio di vista sul centro che il mio minuscolo terrazzo mi concede. L’avevo presa anche per questo motivo l’appartamento: il lusso – contenuto – di un terrazzino un metro e mezzo per tre. La ragione principale si chiamava Barbara invece. Ma poi come molte ragioni e teorie, venne confutata dal tempo. Inspiro l’aria pulita e fresca del mattino, prendo un altro sorso di orzo. Inquadro uno stormo appollaiato sul tetto di un palazzo di quelli che dalla distanza ritengo gabbiani. O forse cocorite adulte, dai colori però insoliti, quasi tropicali. A dire il vero mi ricordo che tempo addietro, si diceva che una specie di pappagalli tropicali aveva prosperato in città, riuscendo poi a riprodursi in modo stabile. Me li osservo con tono soddisfatto: qualcosa di nuovo in questa giornata abbastanza da renderla diversa. Ma è allora che lo vedo spuntare, che corre da una stradina secondaria. E’ un uomo, alto, pallido e vestito in modo trasandato. Ora a guardarlo meglio, mi accorgo che non sta proprio correndo, ma camminando il più veloce possibile. Vorrebbe anche correre, ma non ci riesce. Trattengo il fiato e mi avvicino al parapetto. Ha paura. Lo intuisco per come se ne freghi di essere finito ora in mezzo alla strada, sebbene in effetti sia del tutto deserta. Dalla stessa stradina, spunta uno stormo di volatili dai colori accesi: arancioni, nero brillante e occhi blu intensi. Facendosi più verso il centro della strada, riesco a distinguerli meglio e rifaccio subito all’indietro il passo appena mosso dallo spavento. Corpi di pesce gelatinosi, con ali tipo cormorano, o forse qualcosa di ancora più inquietante ma di cui non so il nome. Lo stormo inseguitore vira rapidamente e punta il malcapitato. Vorrei urlargli qualcosa, ma sono pietrificato. La sua fine sembra prossima, quando lo stormo appollaiato sul tetto si getta in picchiata sulla situazione, impattando con lo stormo di inseguitori con cui inizia a lottare. Schiamazzi, versi di guerra e piume si spargono in tutta la porzione di strada, mentre il fuggitivo continua a correre. Mi sento quasi più al sicuro nell’iniziare a pensare di poter dire che in fin dei conti, lo stormo di “simil-cocorite” che riposava sui nostri tetti fa parte de “i buoni”, quando ecco che una frangia dello stesso si stacca dalla massa principale, e punta verso l’uomo. Anche alcuni esemplari dello stormo dei pesci-cormorano fanno lo stesso, ed arrivando in contemporanea sul malcapitato, lo abbrancano mordendogli le due braccia, bloccandolo ed iniziando poi a contenderselo, strattonandolo da una parte all’altra. Vorrei poter fare qualcosa, ma che cosa? Mi pento di non avere il porto d’armi, di aver sempre creduto nel pacifismo e al no alla caccia. Mi sale poi la rabbia che si mischia a quella stessa paura che ancora in parte mi pietrifica. Guardo le altre centinaia di persiane e tapparelle chiuse che si affacciano sulla via. Urlo. “Hey! Qualcuno lo aiuti!”- La voce è raschiata. Tiro un altro urlo, di vocali mischiate e senza un senso compiuto. Sento le ossa dell’uomo che scricchiolano. Poi lentamente, una imposta dopo l’altra si apre, e dalle finestre escono. Spiriti. Fantasmi. Chiamateli come volete. In piedi davanti ai loro davanzali, atteggiandosi a pubblico, rimanendo a guardare. Come nei migliori talk show di Caracas. L’uomo viene diviso in due, straziato, e le due fazioni si allontano in volo. Anche il resto degli stormi, ora molto più diradati, inizia a ritirarsi, lasciando i resti della propria lotta volante sull’asfalto. Solo allora, abbassando lo sguardo per evitare la totalità della scena raccapricciante, mi rendo conto di essere traslucido anche io. Un fantasma. Impotente e scosso rientro in cucina, chiudendomi bene la porta a finestra dietro. Poso la tazza. Mi metto davanti alla tv per sentire le ultime notizie, e nel rilassamento post picco adrenalinico, quasi non faccio caso alla spilla blu che spicca, sul vestito nero ed arancione della senatrice ospite della trasmissione. Mi rassegno. Domani ci sarà un’altra ragione per morire e nutrire gli stormi che dormono sulle nostre teste, nella città dei fantasmi. Nadir