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Racconti

Racconti inediti di scrittori, è vero, ce n’è un sacco, tanto vale conoscerli. Chissà che non ne valga la pena.

Il Barbagianni Innamorato

Il Barbagianni Innamorato: IL BARBAGIANNI INNAMORATO

(Ovvero, tragicommedia di un cuore spezzato e dei ventotto tentati…

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Trenta Giorni Di Ares. #racconto

Giorno uno. Sentire che non ero più autorizzato al volo. Mi sono ritrovato prigioniero. Ero un recluso senza essere davvero un recluso. Mi sono fratturato un ala. Per trenta giorni non potrò usarla. Morirò di dolore? Sì, credo. Senza volo non esisto. Come posso essere me stesso se non possiedo più magia? Il cielo azzurro mi chiama a gran voce. Ed era così bello roteare tra le nuvole nere mentre un fulmine mi sfiorava le piume. Un azzardo di audacia. Sono folle, lo so. Ma sono un pennuto. Come posso frenare la melma d’angoscia che riempie i miei polmoni? Ogni giorno vedo loro, i miei fratelli. Loro volano e non si voltano neppure indietro. Li odio. Si fanno beffa di me, lo sento. Li odio davvero. Crudeli. Perché non restano con me? Il tempo è lento e mi è nemico. Un secondo è passato. Due secondi sono passati. Tre secondi sono passati. Quattro secondi sono passati. Cinque secondi sono passati. Dieci. Venti. Cinquanta. Cento.   No. Non è vero. Solo un secondo è appena passato. Come potrò vedere snocciolare trenta giorni? Tempo mi è davvero nemico. Lo odio. Sta rallentando di proposito, il bastardo. Lo sento. Anche lui si fa beffa di me. Lo sento ridere. Dietro di me. Mi tira sassolini alle spalle per puro divertimento. Odio davvero anche lui.   Ed ora, che succede? Uno strano colpo. Dentro il mio armadio. No. Non può essere. Di certo, è suggestione. Sono solo annoiato.   No. No, no, no. Non mi sono sbagliato. Un altro strano colpo nell’armadio. Ed un altro. Uno più forte degli altri. Devo vedere. Sì. Lo devo vedere. Ma no. Non posso. Ho un ala rotta. Non posso rompermi anche l’altra.   Che posso dire. Sono un pennuto. Sono incosciente. E in più una luce azzurrina filtra dalle ante dell’armadio. Devo vedere.   To be continued.     Giorno due.   Vuoi riuscite ad immaginare il mio stupore di fronte a quella vista? Dentro al mio armadio era stata nascosta una spiaggia. Una bellissima, tiepida spiaggia. Una spiaggia! Il mare d’un azzurro così dolce che sembrava quasi sussurrare di entrare. Mi sentivo stordito. Chi mai aveva deciso di giocarmi questo scherzo idiota? I miei vestiti ora saranno di certo completamente umidi. Dovrò lavarli. E come faccio con un’ala sola? Diamine, ci metterò il triplo del tempo.   La brezza però ha l’odore di cocco e di salsedine. Ed una musica. Lontana. Mi aveva stregato sin da subito. All’istante, il nervosismo era solo un ricordo lontano. Un eco di giornate passate. Anche il dolore era sparito dalla mia testa.   La sabbia era seta sotto le mie zampe ed il vento era molto più caldo di quanto immaginassi. Potrò restare a vivere qui per sempre? Sembra un paradiso. Bellissimo. Un luogo dove nessun’ansia sopravvive. Ne sono certo. Un luogo dove non è importante cosa sei e come di procuri il cibo. Un luogo dove la sveglia non suona mai, è proibito. Perché è lecito (anzi, è obbligo) dormire fino a tardi, senza alcun pensiero. Perché banche e tasse sono abolite e pure il dolore è abolito. Neppure il mal di cuore esiste. Vive solo la felicità. E la serenità. Anche l’insonnia è solo una patetica barzelletta.   Una cosa mi sfugge, solo una. Quest’albero è ben bizzarro: le foglie sono rosse con macchioline gialle a forma di stelle, il tronco è a fantasia leopardata con tutte le tonalità del verde ed è lana la materia di cui è composto. La musica nasce da lui, ne sono certo, da quest’albero: è lui ad emettere musica. Che ora è jazz. Ma poi diventa gothic metal. Per poi virare sul punk aggressivo. E planare delicatamente nel classico. Sono davvero confuso.   “Cos’è questo odore di estraneità?” Una voce, non la conosco. Viene dall’albero. Ma da dentro, dico. “Chi c’è lì fuori?” Devo scappare? “Rispondi o ti spezzo in due!”   To be continued. Giorno zero.   Quando ero un uovo me ne stavo tranquillo e al sicuro. Avevo caldo. Dormivo sempre. Non avevo sete. Non avevo fame. Sono certo che non ho desiderato nulla per tutto il tempo che sono rimasto lì. Sì, è così. Ne sono certo. Non desideravo.   Ero protetto. Al sicuro. Nulla poteva turbarmi. Nessuna stupida ala si sarebbe fratturata se fossi rimasto al suo interno. Nulla mi avrebbe leso. Nulla. Sarei stato al caldo e al sicuro. Sentivo solo una voce. Tutto i giorni. Tutte le ore. Ogni minuto. Una nenia. Dolce. Una ninna nanna. Il guscio che mi cullava e mi abbracciava. Mi parlava. Lui mi amava.   Io ero suo. E lui era mio. Avvolgo. Stringo. E preservo. Luoghi. Cose. Strade. Persone. Uova. Pensieri. Parole. Uova. Mi piacciono molto le uova. Loro hanno un buon sapore. Hanno un bel calore. Di rettile o di uccelli. Ho sempre freddo. E quindi mi piacciono le uova. Ma mi annoio. E sono solo. Io mi annoio e sono solo. Però sono bello. Congelo. Stringo. E soffoco. La mia è solidità ontologica. Io sono un dio. E sono solo. Perciò io stringo. E congelo. Ingoio. Per lo più esseri viventi. Ma anche morenti, perché no. Accelero la dipartita. Mi piace essere il Tutto per ciò che soffoco. All’interno di me esiste la quotidiana stabilità. Che vorresti di più? Non uscire. Ingrato. Che t’importa? Perché vuoi uscire? Dentro di me non esiste il dolore. Non uscire. Sei uno stupido. Qui è quiete. No, non uscire, ti dico. Fuori inciamperesti, sei un incapace. Guscio. Dentro di me nulla ti farà male perché nulla succede / Gù·scio / Sostantivo maschile. Riposati. Sei al sicuro dentro di me. Fuori è una bugia. Fuori fa male. Fuori è dolore. Non guardare il sole. Non esiste. La luce è inganno. Che credi. / Gù·scio / Resta dentro di me. Troverai stabilità. Nulla. Nulla. Nulla. / Gù·scio / Io sono solo. Nulla. E tu devi restare solo assieme a me. Dentro di me non esiste nulla. L’attesa. La sorpresa. La gioia. Che t’importa di queste cose? Il teatro. La vita. La caduta. La ripresa. Il sonno. Il colore. Non ti serve tutto questo / Gù·scio / Sì. Resta con me a non fare nulla.   To be continued.     Giorno trenta.   Ripenso spesso a quel momento. A quel dolore. Lo rivedo. Tutti i giorni io rivedo quel dolore. E ricordo. Il momento preciso in cui la mia ala si è fratturata. Lo ricordo bene. Anche ora. Chiudendo gli occhi, percepisco nuovamente quel suono. Quel rumore. Una frattura. In tutti i sensi, non solo fisicamente. Percepisco la rottura. Era una frattura. Tra il passato ed il futuro. Un secco taglio. Deciso. Una fine. Un brutale segno che qualcosa doveva cambiare.   Ricordo il dolore. Lo ricordo bene. Ricordo la frustrazione. Ricordo la rabbia. Ricordo il desiderio. Di volare. Ancora, ancora, ancora. E ancora.   Ed ora. Oggi. Perché ora ho così tanta paura. Oggi è quel giorno. Oggi è il giorno. Non aspettavo altro, no? Potrò volare.   Io oggi potrò volare. Di nuovo.     Potrò volare? I medici dicono di sì.   Bizzarro come io mi sia affezionato. Al gesso, dico. In questo lasso di tempo è stato tutto per me. Il mio fedele compagno. Mi fratello. Una parte del mio corpo. È stato il mio amore. Il mio odio. È stato il mio scudo. Lui mi ha protetto.   Contro il dolore. Contro la solitudine. Ed era con me. Lui era sempre con me. Ogni giorno nell’armadio. Lui era con me. Mi ha accompagnato. Buffo. Ora mi manca. Sento che questo gesso mi mancherà.   Non vorrei quasi separarmi da lui.   Senza di lui, non potrò più entrare nell’armadio. O meglio. Da oggi, il mio armadio sarà solo ed esclusivamente un armadio. Mi mancherà quel luogo.   Ma sapevo. Quell’essere era stato preciso. Trenta giorni. Non uno di più. Solo trenta giorni e poi avrei dovuto abbandonare per sempre quel luogo.     To be continued.  

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La Morte A 10 Passi.

Penso a te che sei ancora nel mondo dei sogni, rapita da Morfeo. Osservo il tuo corpo, i tuoi capelli. Cerco di prendere il ritmo del tuo respiro per diventare un’unica anima. Bacio il tuo interno coscia e già che ci sono inizio un cunnilingus, e dopo 10 minuti inizi a squirtare. Ho il viso tutto bagnato. Ti svegli soddisfatta e mi dici “caffè?”; “no, una birra grazie”. Resto sdraiato sul letto col cazzo dritto. Dal cassetto del comodino prendo un metro da sarta e misuro il mio cazzo di 19.1 centimetri. Sento chiudere la porta di casa: è andata via, ho le palle gonfie… le devo svuotare. Chiudo gli occhi, do un paio di colpi veloci, schizzo forte; rimango fermo sul letto, con un senso di vuoto e l’erezione che pian piano scompare, e la mia pelle è come carta abrasiva; puzzo di alcool e sudore. Faccio una doccia per lavare via i giorni passati. Mi vesto, apro una birra e sono già in strada. Una foglia mi cade addosso. Siamo su una palla rotante in uno spazio infinito; un punto blu nella vastità dell’universo. Il netturbino raccoglie l’immondizia con sguardo schifato. Ho la testa pesante e il corpo flaccido, una foglia di menta e un fiore di marijuana: posso fare una canna mojito. Odore di carne sul fuoco. Carcassa di cane investito. Musica commerciale. Senso di disgusto totale. Sto al sole a non fare un cazzo come un rettile. Le mie funzioni vitali sono ridotte al minimo. Meno male che il respiro è autonomo, solo che ogni volta che ci penso lo devo gestire io. Faccio un tiro alla canna , finisco la birra, penso alle partite di oggi. Puzza di fogna. Un pallone bucato sul ciglio della strada. Questi alberi faranno compagnia ad altri esseri dopo di me: li voglio abbattere per invidia. Per ore non succede niente. Viaggio con la mente, cammino e respiro, e nulla più. Sono le 10 del mattino. Mangio un panino con il salame piccante, bevo una ceres da 10°, per stonarmi ancora di più. Rutto, e un tanfo di animale morto esce dalla mia bocca. Passa una donna con l’aria sconvolta… probabilmente in cerca di droga. Metto le cuffie e ascolto un po’ di musica violenta. Stranamente l’ansia non mi assale; forse sta preparando un assalto per i momenti felici. Ho gli occhi mosci e anche il cazzo, e le mie ascelle grondano sudore. Penso che la morte non esiste. Siamo solo entità di luce e ci muoviamo in questo spazio tempo in un vestito che chiamiamo corpo. Di colpo è sera. Sono in campagna e la luna piena è come un grosso faro che illumina il mio cammino. Vedo un fuoco. Indosso una tunica nera con un cappuccio, non so neanche il motivo. Sento il rumore delle civette e dei rospi. Mi avvicino sempre di più al fuoco; vedo delle persone con delle tuniche nere, al mio arrivo si inginocchiano e dicono in coro “maestro “: sono il capo di una setta esoterica? Come ho fatto a dimenticarlo? Loro sono ancora in ginocchio. Pentacolo disegnato con pietre. 20 persone inginocchiate hanno indòsso tuniche nere e un cappuccio, mi fissano e mi dicono “maestro noi siamo pronti”. Faccio un cenno con la mano. Loro si alzano, mi portano una canna e un bicchiere di vino. Noto che tutti hanno il bicchiere. Dalla mia bocca escono frasi che non riesco a controllare ” sorelle e fratelli brindiamo alla grande Dea che illumina il nostro cammino; beviamo il nostro vino con un solo sorso”. Il vino va giù nelle nostre gole; brucia un po’ perché è veramente forte, credo sia l’alto grado. Accendo la canna, faccio tre tiri e la passo alla mia destra: ” Maestro tocca a te fumarla tutta “. Non mi sembra vero! Loro intonano un canto “questa è la morte a 10 passi, il guerriero di luce troverà la strada”. Sto fumando ma non sembra né hashis né marijuana; cado lentamente all’indietro; non percepisco più il mio corpo. Mi sveglio nel mio letto. Tocco il mio corpo per capire se sto sognando. Tocco la mia faccia, le mie mani, i miei piedi … no, meglio evitare. Non sono morto! Come sono finito nel mio letto? Ho la barba lunga e i capelli rasati. Ho un taglio sulla testa che sembra sanguinare ancora. Che ore sono? che giorno è? per quanto ho dormito? Non riesco ad alzarmi perché la testa gira velocemente, e lo stomaco brucia come la mia gola. Chiudo gli occhi, e ti penso, e nulla più.   I disegni sono di Alberto panegos

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Uccido I Nazisti….

Uccido I Nazisti….: Mi sveglio presto, sono le 6:30 di domenica mattina,la polizia in America ha ucciso un uomo,la città è in fiamme ,rivolt…

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Wunjo Capovolta

L’ascensore è rotto. Devo farmi sei piani a piedi. Vorrei svenire adesso. Lucia mi aspetta nel suo studio. È una psicoterapeuta, ha 50 anni non è sposata. Vuole lette le rune. Primo piano odore di broccoli. Secondo piano odore di broccoli. Terzo piano puzza stile putrefazione di qualcosa di indefinito. Quarto piano devo smettere di fumare. Quinto piano devo eliminare il grasso. Sesto piano cazzo ho dimenticato le rune! Per un attimo ho un principio di infarto. Controllo la tasca, le sento sono qui. Lucia apre la porta, sguardo preoccupato. È vestita di grigio, devo dire un vestito niente male. Ci siamo conosciuti quando mi hanno trovato l’erba, affidato ai servizi sociali. Mi ha chiesto “come mai fumi erba? Che problemi hai?”. Io ho detto che fumo, perché per leggere le rune bisogna entrare in contatto con l’altro mondo, l’erba è ottima per questo scopo. Da quel momento è diventa mia cliente. Ci sediamo. Mi preparo una canna, l’accendo e gli dico di raccontarmi il sogno. “Ero nuda dentro una stanza bianca. Ero sola,ma sentivo come una presenza che non vedevo. Sembrava sempre dietro di me. Mi giravo ma non riuscivo a vederla. Poi mi sono messa con le spalle a terra. Il pavimento è diventato uno scacchiera con i quadrati rossi e bianchi. Sono caduta e mentre cadevo, percepivo l’aria. Ho smesso di avere paura, mi sono fermata a mezz’aria e ho aperto gli occhi “. Mi guarda come per avere una risposta. Io non dico niente, esco il sacchetto delle rune, bevo il caffè do un tiro forte per finire la canna. Faccio fare tre giri al sacchetto, poi dico a Lucia di fare una domanda nella sua testa, Lei chiude gli occhi e con la mano destra cerca nel sacchetto. Questo è il momento magico. La mia connessione con l’inconscio universale fa da tramite al suo. Estrae wunjo capovolta. Sfortunata, tristezza, debole volontà, squilibrio. L’estrazione di wunjo capovolta, indica che ci stiamo rifiutando di affrontare la sofferenza. Travestendoci da Peter Pan e nascondendoci nell’isola che non c’è. Dopo il sogno che ha fatto e questa runa gli chiedo cosa ha chiesto. “Se troverò l’amore” mi risponde. Resto fermo. Cerco di non far trasparire nessuna emozione, nessuna empatia. Uccido le emozioni, fermo il tempo. “Non troverai mai l’amore, se hai la paura nel tuo cuore, devi liberarti, devi crederci tu per prima nell’amore.” Mi da 50 euro, mi accompagna alla porta e mi ringrazia. La puzza di ignoto in putrefazione ha raggiunto il sesto piano. Scendo di corsa, saltando gli ultimi tre gradini di ogni piano. Felice come un sedicenne che riceve il suo primo pompino, come un bambino che va a giocare a pallone. L’uscita è l’impatto con l’aria fresca mi mandano un po’ in coma. L’effetto dell’erba è al suo apice. Sudo freddo. Sono le 10 del mattino, ci vuole una birra. Cammino a testa alta con la sicurezza del leone nella foresta in cerca di prede. Neri, asiatici, est europei, tutti nella piazza principale a scroccare il Wi-Fi gratuito. Una babele di suoni , sono tutti con le birre in mano, ogni tanto vanno oltre e si danno qualche coltellata per passarsi il tempo e la sbornia. Il bar sport alle 10 di sabato mattina è pieno di teorici del calcio. Io prendo una faxe da 10° ghiacciata,perfetta. Ho la testa leggera. Parole nella mente fanno quello che vogliono, vogliono ciò a cui non posso credere. Siamo nudi davanti lo specchio, Riflettiamo incomprensioni. Scuse romantiche. Frasi di rispetto. Ma io non resisto e chiedo se mi ami? Penso che dovrei fare come gli scrittori americani che scrivono solo di mattina. Svegliarmi presto, iniziare a scrivere, Ma se poi il foglio resta bianco? Mi sono svegliato presto per niente. Ti stringo forte restiamo immobili. Finisco la birra leggo il foglio delle partite punto i 50 euro. Un altro giorno di sogni . Un altro giorno di stordimento.

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Il Cloud Celestiale (un Avventura Del Detective Newton Ep. 09)

Il Cloud celesiale (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli Davanti alla sua bibita analcolosintetica Curtis non riusciva a capacitarsi: come aveva fatto a passare da appostamenti e inseguimenti a quel caos di pellegrini, santi e lotte fra bande ancora non riusciva a capirlo. Certo, ripercorrendo cronologicamente gli avvenimenti era tutto molto chiaro, meno lo era se si ragionava e si cercava una logica in quel che era successo. Si, ok le mine, ok gli attentati e ok la domotica impazzita, ma era tutto troppo strano. Era arrivati lì con Osm per trovare chi lo voleva morto o fuori dai giochi, e invece non solo non aveva trovato chi cercava, non solo aveva perso Osm, ma era anche impelagato in una non meglio definita situazione di carattere para-rivoluzionario con un mezzo gorilla biomeccanoide di nome Maximilian Francis Vladimir III, ma che tutti chiamavano Max (e chi fossero questi TUTTI ancora Curtis non lo aveva capito). Era tutto molto strano. Buttò giù un sorso e si girò verso il suo ospite «Mi spieghi a modo cosa vogliono quelli dell’Olorosario e che cosa vuoi te?» Il cybergorilla (Max) stava battendo su una tastiera di un computer qualcosa, e Curtis si sorprese a chiedersi come faceva, con quelle dita enormi, a digitare una qualsiasi parola correttamente. Lo schermo bluastro illuminava il cyberprimate, tanto che gli sembrò una olo-allucinazione da SynthCrak. Il gorilla sollevò lo sguardo dallo schermo e gli rispose: «La Confraternita dell’Olorosario Interrotto è la falange armata del Vicariato: vuole mantenere l’ordine precostituito, lo sfruttamento dei Cieli, il turismo delle Indulgnze. Noi, invece, sia—» «Noi?» lo interruppe Curtis «Si, ok, Io. Io sono il Fronte di Liberazione di Bot, e voglio liberare questo posto da tutto il marciume, riportandolo alla bellezza e alla pace primordiali.» Ci fu un bip ripetuto e il gorilla si portò l’indice perpendicolare alla bocca in segno di fare silenzio. Era il drone-scanner che cercava di capire dove si fossero nascosti. Restarono così per qualche minuto, il tempo di far passare il drone-segugio. «A me non me non interessa, io devo capire come mai hanno cercato di uccidermi giù al distretto e l’unica traccia che ho porta qui, al Vicariato. Devo trovare un informatore, e devo anche ritrovare il mio Osm.» «Come si chiama il tuo informatore?» «Oracolo Paciocco III.» «Oh» fu il laconico commento del gorilla. «Oh cosa?» chiese Curtis. «Oh: è da un sacco di tempo che non sento quel nome.» «Cerco lui, lui sa tutto e sicuramente può aiutarmi in questa mia ricerca della verità.» «La verità ha molte facce, e sicuramente non ti renderà libero» gli rispose Max. «Oh, scommetto di no, ma io devo comunque sapere chi mi sta rubando l’esistenza e ha anche cercato di uccidermi.» Ci fu un lungo silenzio durante il quale il gorilla sembrò soppesare la situazione e misurare il suo interlocutore. Poi si alzò dal terminale a cui stava lavorando e il cui schermo acceso lo sta dipingendo di blu, si avvicinò a Curtis e gli disse: «L’Oracolo non esiste più nella sua forma fisica.» Il Detective Newton alzò lo sguardo e lo fissò senza dire una parola. Il primate proseguì «C’è stata una retata, qualche tempo fa. Una soffiata: l’Olorosario cercava sacche di resistenza nella Piazza delle Indulgenze: alcune informazioni cardine partivano da lì. Sono arrivati… direi meglio si sono materializzati all’improvviso. Sapevano esattamente dove andare e chi prelevare. Lo hanno preso che dormiva, lo hanno portato al Buco. E lo anno assimilato.» «…» Curtis non riusciva a credere alle sue orecchie «Mi vuoi dire che lo hanno riversato nel sistema ponendo fine alla sua vita fisica?» «Si. Lo hanno giustiziato e hanno salvato la sua coscienza nel Cloud Celestiale, dove tutti un giorno finiremo. «E come si fa ora a sapere qualcosa da lui?» chiese costernato Curtis «COME FACCIO ORA AD AVERE QUELLE STRAMALEDETTE INFORMAZIONI????» «Intanto stai calmo e non urlare che gli olo-ecoscandagli ci fanno a fette. Poi un modo c’è, anche se io lo sconsiglio vivamente perché resta ancora del tutto teorico.» Passarono degli attimi in silenzio. Molti attimi in silenzio. Troppo. «Oh, ma me lo vuoi dire come si può fare o devo urlare?» chiese esasperato il Detective Newton. Il gorilla rimase un attimo pensieroso, poi si girò verso il detective e disse: «Devi morire ed entrare nel cloud.» Curtis restò con la bocca spalancata a fissarlo senza dire una parola o muovere un muscolo. Ne aveva sentite e viste di cose strane, ma lì eravamo improvvisamente saliti a un altro livello. In pratica doveva morire. Chiaramente questo complicava o rendeva inutile, non di poco, tutta la fase successiva di indagine e di interrogatorio. Per non parlare del fatto che il suo scopo fosse quello di migliorare la sua vita, e morire era in leggera antitesi con il migliorare la propria condizione. «Bell’idea, davvero. Bravo!» fu il commento sarcastico che indirizzò al primate cibernetico. «E a cosa mi serve trovarlo nel Cloud Celestiale se sono morto?» «Oh, ma non rimarrai morto. Si da il caso che io abbia inventato un microdosatore a impulsi che di fatto ti rende morto a tempo.» La cosa si stava facendo, se possibile, sempre più complicata. Il problema è che anche al Detective pareva l’unica via da percorrere, a parte quella di tornarsene a casa e vedere cosa quella specie di congiura che aveva contro gli aveva preparato per il suo rientro. «Farà male?» «Il male è un concetto superato, oggigiorno. C’è gente che gode a farsi male, non vedo perchè- «FARÀ MALE?» lo interruppe il detective Newton. «Farà male sia all’andata che al ritorno? Soffrirò molto? Sono sempre tornati tutti o qualcuno c’è anche morto con questo giochino?» «Ah, non saprei, se lo fai tu sarai il primo.» A quelle parole Curtis non seppe cosa rispondere. Doveva prendere una decisione e comunque doveva prenderla abbastanza in fretta. Se non altro non avrebbe preso parte almeno per il momento alla strampalata rivoluzione di Max. «Ok, che ti devo dire, facciamolo. Ma una volta orto come ci arrivo al Cloud?» «Oh, lascia fare a me, appena morto la tua coscienza sarà risucchiata dal sistema. Verrai convogliato nel mio hard disk e tramite wifi verrai sparato al server del Cloud Celestiale. Avrai il tuo username e la tua password, entrerai, troverai il tuo uomo, lo interrogherai e poi tornerai qui.» «E come saprai che ho trovato il mio uomo? Come farai a sapere che è il momento per tornare indietro?» chiese Curtis. «Oh, se lo trovi o meno importa poco, e non saprò affatto quando è il momento. Ma tu hai tre minuti, poi io ti riporto indietro, altrimenti sarai morto sul serio e resterai a galleggiare nel Cloud Celesitale per gli eoni avvenire, finché l’hard disk si rompe o sarete tropi là dentro e formatteranno il sistema per far spazio agli altri.» «Perfetto.» riposte Curtis «Quando cominciamo?» «Subito» E così dicendo il gorilla si alzò. Già stringeva in mano una siringa enorme e piena di un liquido biancastro. «Farà male?» chiese Curtis con un filo di voce «Malissimo, suppongo.» rispose il gorilla.

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Tra Poco è Natale

Quando il sole è accecante come oggi ti vedo con altri occhi cioè affatto ti vedo cioè non ti vedo il che sarebbe meglio forse dal momento che i miei sentimenti nei tuoi confronti poco di buon hanno forse ti odio boh non ne sono sicuro ma il fatto è che non mi sono mai posto il problema dei miei sentimenti sempre che io li abbia mai avuti ma in genere si deve provare qualcosa che ne so per l’alba e il tramonto per un cucciolo di pitbull per un gelato alla crema per un’auto semi-nuova per un paio di scarpe nuove…boh per tutte queste cose insieme e altre ancora ma io sinceramente mi sento indifferente rispetto all’universo conosciuto pur facendone parte e tenendomi gelosamente in disparte sai cos’è forse bevo troppo fin da giovane e fumo anche troppo conta no? i neuroni vanno tenuti bene curati e lucidati e nutriti come una mamma nutre il suo amante eh si sclera quel che si può gli anni ci sono e a pensarci bene e a quello che abbiamo fatto insieme tutte cose belle all’apparenza si ma mortificanti soffocanti tediose forse è la prospettiva senile che spazzaturizza tutto o forse no la logica conclusione di pensare ruminando sempre alle stesse cose/menate guarda come sono ridotto ma tu non credere che sei messa meglio secondo me muriamo più o meno nello stesso mese perché abbiamo avuto gli stessi vizi e gli organi ci si sono infradiciati più o meno alla stessa maniera tra poco è natale  

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Max (un’avventura Del Detective Newton Ep. 08)

Max (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli Per alcuni minuti fu tutto un andirivieni di esseri – militari o paramilitari – gente armata. Curtis era ancora seduto sulla sedia di costrizione pur essendone stato svincolato e si guardava intorno cercando di convincere qualcuno a spiegargli cosa stava accadendo, ma nessuno sembrava badargli e mano a mano che passava il tempo anche lui cominciava a essere più concentrato sulla minaccia che incombeva su quel luogo che non sulla propria immediata libertà. «Detective! Sai tenere in mano un blastatore a compressione ionica, suppongo?» gli chiese l’ometto giallo e porgendogli un fucile. «C-certo» rispose titubante Curtis, anche perché non solo non ne era sicuro (lui era più portato per armi leggermente meno d’assalto) ma era anche indeciso sul prendere parte a uno scontro senza sapere chi aveva di fronte e con chi stava facendo squadra. Il capo gli tirò l’arma in braccio e si dileguò in un corridoio attiguo agitando le mani e impartendo ordini a destra e a manca. In quel preciso istante un boato devastante lo gettò sulla parete opposta al punto dove era. Intorno tutto un vorticare di macerie e polvere e traccianti laser. Spari dappertutto e grida disumane. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era come portarsi fuori da quel casino, figuriamoci se avesse intenzione a prendervi parte, che si fottesse il nano giallo e tutta la sua banda. Andando avanti a tentoni e strisciando trovò riparo dietro una consolle di comando che ormai poteva comandare ben poco, visto lo stato in cui era messa. Cercò di guardare oltre per capire che cosa stesse succedendo. Ma oltre al turbinio di polvere e laser non riusciva a capire niente. cercò un modo per uscire da lì, e dopo un po’ che si guardava intorno intravide una possibilità: il corridoio era assediato, ma se fosse riuscito a correre molto veloce e a farsi mancare dai blaster che sparavano fra loro allora sarebbe arrivato al montacarichi del locale adiacente. E certo non sapeva bene dove portava quel montacarichi, ma sarebbe stato sicuramente un posto migliore di quello. Sperava. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, mentre preparava il corpo a quell’impresa. Dove cazzo era Osm, ora si che gli avrebbe fatto comodo immaginare uno scudo. Quell’inutile volatile del cazzo lo avrebbe fatto apparire quello scudo e sarebbe stato tutto sommato semplice venire via da quel luogo. Era pronto. Fece l’ultimo, profondo respiro, e scattò. E rimase piantato dov’era: qualcuno lo aveva afferrato per il colletto e lui cascò indietro a sedere. «Dove vai?» Il gorilla aveva un paio di vistosi tubi che gli uscivano dalla calotta cranica, e un occhio rosso e lucido, come di vetro. Contestualmente un colpo di gigablaster portò via una porzione del corridoio e di tutto quello che conteneva. Si sentì esultare qualcuno in lontananza. «Non mi ringraziare non importa, per di qua.» e così dicendo il gorilla (coperto da una corazza metallica molto cromata e da un mantello nero di un tessuto pesante) si voltò e puntò dritto verso la parete in fondo alla stanza. «È una parete.» tentò di fargli notare il Detective, ma inutilmente: il bestione ci si era ormai lanciato contro come se dovesse abbatterla. A un millimetro dall’impatto lanciò una palla di muco sulla parete e si spalancò un universo con tutte le stelle e il gorilla ci si infilò dentro. Curtis rimase immobile con la bocca spalancata. «Allora, vieni?» si sentì una voce provenire dall’universo nella parete. Si alzò e senza fare domane si tuffò a sua volta e contrariamente a quanto si aspettava, e cioè a un errare calmo e pacifico per i flutti cosmici e le supernove, si trovò in mezzo alla piazza delle indulgenze, con la gente fin sopra le orecchie. «Ma come —» sussurrò fra sé e sé. «Oh, niente di che: un portale plasmatico. Illegale, ma veloce. Se non ti fermi a guardare un fluttuante o se non incappi in una supernova» il gorilla gli stava in piedi accanto. «Chi sei?» chiese fra i denti il Detective che ormai stava perdendo il bandolo della matassa: troppe cose, tutte insieme, tutto troppo. «Mia madre mi ha chiamato con l’altisonante nome Maximilian Francis Vladimir III, ma tutti mi chiamano Max.» Rispose il gorilla. «Chi erano quelli?» «Quelli che ti avevano preso o quelli che li attaccavano?» «Tutti» «Quelli che ti avevano preso erano la banda dell’Olorosario Interrotto, quelli che li attaccavano erano il Terzo Cielo.» «Ottimo. E i cattivi quali sono?» «Dipende da che parte stai.» «Dalla mia.» «Allora tutti. O nessuno. Scegli te.» «E ora dove si va?» «Dipende: che devi fare?» «Nascondermi, e trovare risposte.» «Allora in un posto sicuro, intanto.» «Sicuro da cosa?» «Sicuro da tutti.» «…» Si avviarono in mezzo alla folla finché non trovarono un vicolo completamente deserto, ci entrarono e il gorilla si piantò davanti a un’effige di un santo che Newton non riuscì a distinguere. Max premette la testa della statuetta e di colpo si aprì un passaggio segreto nella parete che avevano di fronte. Lasciarono aprire il passaggio e vi entrarono: si trovarono in una stanza illuminata da led e da piccoli schermi verdastri e neon colorati. Mille suoni e bip e bling bling e intermittenze di spie. Era una stanza di controllo, e faceva ridere che ci fosse così tanta luce colorata in un posto privo della benché minima apertura sull’esterno. «Ma chi sei, il capo della revolucion???» chiese sarcastico il Detective Newton accennando un sorrisetto astuto sulla faccia. «Possiamo metterla anche così.» fu la risposta secca (ma non seccata) del cybergorilla. Curtis smise di sorridere.» «In che senso, quanti siete? che avete intenzione di fare?» chiese un filo allarmato. «Per ora sono solo, e riuscirò a liberare questo cielo da questa manica di inutili pellegrini e ridarò la dignità alla mia patria.» «SOLO?» fu l’unica cosa che registrò Curtis: solo. «Sei solo?» urlò ormai senza contegno il detective Newton. «No, in effetti ora che sei con me siamo in due.» e così dicendo, Max, sorrise «Adesso però dobbiamo capire cosa cerchi e come trovarlo.» Ci fu un BIP molto forte e il gorilla mise una mano sulla bocca di Curtis per zittirlo mentre quest’ultimo stava rispondendo. «Shhhh» disse sottovoce «C’è una scansione sonora delle guardie di sicurezza, se facciamo piano non ci sentiranno.» «E se ci sentono?» sussurrò il Detective «Che succede se ci sentono?» Max fece un eloquente gesto spostando l’indice orizzontalmente lungo il collo. «Appunto» fu il commento di Curtis.

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Il Mercato Delle Indulgenze (un’avventura Del Detective Newton Ep. 07)

Il mercato delle indulgenze (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli In mezzo alla piazza che doveva avere – a una prima rapida analisi – la superficie dell’equatore di Marte, c’era il Mercato delle Indulgenze. Quel mercato era famoso in tutto quel quadrante, perché era possibile entrarvi da stupratore di droni e uscirne con la coscienza di un bimbo di tre cicli. Sempre che uno avesse l’adeguato conto in banca. O che qualcuno garantisse per lui. O che fosse interessato. «Questo posto è agghiacciante, Osm. Ma se stiamo cercando un indizio, una traccia, una voce o un pettegolezzo, allora questo è il posto.» Lo disse sottolineando con enfasi la parola “posto”. Camminavano (in realtà solo il Detective camminava, Osm svolazzava) l’uno dentro la sua toga e col cappuccio da pellegrino, l’altro con mini toga e riccioli posticci da putto. «Dobbiamo trovare l’Oracolo Paciocco III. È il capo bastone di questa piazza, colui che regola il traffico, sia in entrata che in uscita. Una volta era un nostro informatore, giù alla centrale. Non proprio…» si corresse Curtis. «Diciamo che noi abbiamo spesso chiuso uno o due occhi sui suoi traffici in cambio di alcune indicazioni. Ecco. Comunque è lui che dobbiamo trovare.» Continuarono a spostarsi in mezzo a quel marasma di droidi, semiorganici, organici, oloalias e Operatori che trafficavano e contrattavano. Ognuno in cerca di una indulgenza, ognuno in cerca di qualcosa che le sue tasche potessero comprare. Ma non solo. Quello era anche il posto in cui si trafficava di tutto, sotto banco, fra un ammicco e un sussurro, potevi procurarti una dose di Cybercrak senza compire un grosso sforzo. E lì, spesso, la polizia non arrivava: quella era terra consacrata, ed era giurisdizione del Vicariato. «Ma che posto di merda. È il momento di aprire le danze, Curtis.» Osm voleva accelerare la faccenda, non gli piaceva affatto quel posto. Sterzò verso destra infilandosi in un piccolo condotto per l’acqua piovana. «Te vai avanti, mi puoi contattare tramite il tuo A.I.O.C. (Apparecchio Intelligente per Ogni Cosa). Ci incontriamo nella piazza principale fra due ore» e sparì. Newton non ebbe neanche il tempo di replicare. Restò lì, piantato come un ebete a fissare il buco in cui era sparito il suo partner. Passato il momento dello sbigottimento il Detective Newton decise che era vero: doveva darsi una mossa. Si infilò allora in un portone rattoppato, tramite il quale si accedeva a una cantina. Il locale era pieno di gente per lo più ubriaca che parlava a un volume altissimo nel vano tentativo di soverchiare il suono della musica. Curtis si avvicinò al bancone, fece un cenno col dito al barista (un tipaccio con meno denti che capelli, dall’incarnato cianotico e dagli occhi vitrei) che gli si fece vicino. Con fare complice Curtis gli sussurrò all’orecchio: «Cerco l’Oracolo. Ho offerte e domande.» Il barista lo fissò con questi suoi occhi disabitati a lungo, poi dette un cenno di vita, si girò e andò a confabulare con un tipo dalla pelle nera e grosso come un armadio. Il barista gli dava le spalle e lo indicava, l’altro gli stava di fronte e gli aveva piantato gli oggi in faccia senza mollarlo di un grado. L’armadio fece un cenno all’altro come a dire non ti preoccupare e si diresse verso il Detective che attendeva impazientemente giocherellando con un sottobicchiere che qualcuno aveva abbandonato sul bancone. L’energumeno gli piantò la faccia a tre sentimenti dalla sua. «C..eee.,z—ooi…» «NON HO CAPITO!» urlò Curtis – il frastuono del locale non permetteva di sentire niente che non fosse urlato da un centimetro dall’orecchio, figuriamoci una frase detta in tono normale frontalmente. «CHI CAZZO SEI!» urlò l’omone assestandogli un pugno in pieno petto che lo fece cadere al suolo con un sibilo, come fosse un pallone forato. L’ultima cosa che Curtis vide, prima di perdere i sensi, fu l’armadio che lo afferrava per il bavero e se lo caricava sulle spalle. Poi si spense. «Spero tu non gli abbia procurato danni permanenti, Coso.» «Ho solo fatto quello che andava fatto.» Le voci arrivavano dallo spazio siderale, a giudicare dalla eco che le seguiva e dal tono fievole con cui arrivavano al suo cervello. Piano piano riaprì gli occhi e si trovò investito da una luce penetrante che gli impediva di mettere a fuoco qualsiasi altra cosa. «Vedi, capo? Vivo. Ora capo contento? Ora Coso andare?» «Non credo. Stai qui, mi servi ancora.» Le due voci si compensavano. Tanto era profonda e lenta la prima, tanto era veloce ed acuta la seconda. La prima la riconosceva, era quella del treno che gli aveva asportato lo sterno al bar. La seconda era la prima volta che la sentiva. «Oh, ci sei?» Chiese la voce acuta. Nella sua testa rispose: “Sì, chi siete, perché sono legato?” ma la sua bocca pronunciò una serie di suoni indefiniti ed approssimati. «Cazzo, Coso. Ti avevo detto forse di renderlo invalido? Ero stato chiaro, no? Evidentemente no. Oppure te non capisci un cazzo. Ho detto: Portamelo qui che voglio parlarci. Mica ti ho chiesto di menomarlo… Poi perché è legato ora che ci penso? Che senso ha? Ma lo sai si o no che lavoro fa? Slegalo.» Curtis sentì armeggiare di fianco alla sedia dove era seduto, poi una serie di bip e sfrigolii, infine la costrizione che lo immobilizzava incollato alla sedia cessò. «Ora, riproviamo. Detective, ci sei?» la voce acuta adesso si era fatta più vicina. «Porca puttana» fu la prima cosa che Curtis riuscì ad articolare. «Che ho fatto?!» «Fai domande. E si sa che a volte fare domande a seconda delle domande che si fanno può essere un hobby pericoloso.» La faccia che Curtis aveva di fronte era piccola e giallognola, incorniciata da capelli e barba riccioli che si susseguivano senza soluzione di continuità, che non riuscivi a capire dove finissero i primi e dove cominciassero i secondi. «E che domanda pericolosa avrei fat— Curtis non fece in tempo a finire la domanda (sulla domanda) che una porta si spalancò, entrò un essere con la testa completamente cromata e con la voce altrettanto cromata che urlò: «Capo! Stanno arrivando!» «In anticipo» rispose il capo «Tutti ai vostri posti.»

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Maledetti Putti (un’avventura Del Detective Newton Ep.06)

Maledetti putti (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli   Osm uscì dal meandro di cappotto dove fino a quel momento si era nascosto. «Che caos» commentò, guardandosi intorno. Era tutto un vorticare di pellegrini in vesti bianche e svolazzanti, e strani volatili scattosi e fischianti traboccanti riccioli dorati e alette di pollo bianchissime che sbattevano fra loro. «Maledetti Putti. Schifosi esseri sibilanti. Cacano ovunque». Osm li odiava principalmente perché appartenenti alla sua solita specie (Semiorganici Ridotti Volanti) a suo dire la degradava al livello di insetto. «Su, ignorali. Anzi, mi è venuta un’idea» sorrise Curtis. «So cosa stai pensando ed è un’iniziativa a cui non voglio prendere parte. Tu e le tue idee idiote. Sei malato. Sei una brutta persona». «Eccolo là: presto!» e così dicendo il Detective Newton si diresse con passo veloce in un orinatoio pubblico, in cui un pellegrino si era appena infilato. Ne uscì pochi minuti dopo con indosso la toga bianca orlata d’oro del pellegrino e il suo cappuccio a punta. «Molto furbo: e quando si sveglia?» gli chiese Osm. «Cosa può dire, che ha ricevuto un colpo da dietro? Che chi lo ha derubato ha indosso una toga da pellegrino con cappuccio a punta? Come i tre quarti delle persone presenti su questo cielo?» In effetti non aveva tutti i torti: sarebbe stato impossibile stabilire quale fosse la toga di chi, nel momento in cui qualcuno ne avesse rivendicato la proprietà: erano tutte uguali e non avevano tratti distintivi: era proprio della religione: tutti uguali. «Ora tocca a te!» e così dicendo Curtis afferrò al volo uno dei putti che ronzavano in piccoli stormi vicino a loro. Lo disattivò, gli tolse la parrucca ricciola bionda e la microtomi e le mise addosso a Osm. «Con un po’ di fortuna nessuno noterà che non hai le ali». «Mi sento violato» disse Osm. «La voce: più acuta. Presta attenzione, abbiamo una missione non possiamo permetterci di farci scoprire. Ricordati che hanno cercato di farmi fuori in un distretto di polizia, figurati se si faranno problemi qui. Quindi più entusiasmo, più impegno e meno lamentele». Così conciati si diressero verso la scalinata che portava al secondo livello. Che era anche quello dominato dalla Basilica di Bot. Il posto da dove il Vicariato di Bot dirigeva tutto quel circo. Salirono gli scalini tempestati di devoti penitenti che si auto flagellavano in lamentele estatiche e lacrime di gioia. Ogni tanto Curtis scivolava su una chiazza di sangue o una gora di sudore. Un paio di volte furono fermati da Operatori che fra un Ippurrà e l’altro gli chiesero una preghiera segno di devozione il primo, e una mazzetta il secondo. Chiaramente il Detective Newton non era nella posizione di poter trattare o rifiutarsi, quindi ottemperò alle richieste e poterono proseguire. Arrivati in cima alla scalinata che furono, si trovano a dover seguire l’ennesima, lunghissima e lentissima coda, che portava dritta dentro una casetta di legno prefabbricata ma con mille lucine colorate di natale. Era la casa del Capetto dei Cancelli. I devoti dovevano passare da lì dentro in modo che potessero essere valutati e in base a tale valutazione accedere alla Basilica (o almeno, alla sua piazza) oppure tornarsene mesti indietro. I pellegrini entravano uno alla volta in un immobilismo esasperante. Tutto intorno a loro era uno svolazzare di putti e un mormorare di nenie religiose e lamenti sommessi. Una cosa da far accapponare la pelle. «Questo posto mi dà i brividi, sembra un documentario sulla sociopatia. Mi sento pronto a sterminare una famiglia». Osm era sinceramente sconcertato. Il suo ruolo gli imponeva una sorta di equidistanza da ogni tipo di considerazione personale o gusto, ma quando era troppo era troppo. In più, dentro di lui, qualcosa stava cambiando. «Hai ragione, ma ormai dobbiamo venire a capo di questa storia. Non posso passare il resto dei miei giorni a guardarmi le spalle, non credi?» «Già». Intanto il tipo davanti a loro – un damosiano alto come un pilone della luce, con la testa quadrata, piena di rami e intermittente con la solita tunica che avevano tutti, alla richiesta dei documenti aveva dato una testata all’Operatore che si era accasciato al suolo in un lago di sangue e poi si era dato alla fuga, saltando la fila per l’ingresso, scartando di lato evitando la casetta per il visto e infilandosi nel dedalo luccicante della piazza oltre il Cancello. La piazza del Vicariato lo nascose, tunica bianca fra le tuniche bianche, e gli Operatori poterono solo raccogliere da terra il malcapitato collega e portarlo dove avrebbe ricevuto le prime cure. Il resto della fila non si scompose: evidentemente accadeva più frequentemente di quello che si potesse immaginare. Piano piano arrivò il loro turno: un Operatore vestito di rosso li fece entrare nel casotto prefabbricato e fece cenno a Curtis di sedersi. All’interno un omino piccolo con la testa calva, due baffoni verdi a manubrio e un enorme paio di tette li accolse meccanicamente. Allungò una mano per chiedere il documento mentre con la testa fece un cenno distratto verso Osm camuffato da Putto. «È Suo?» chiese, e senza dare il tempo al Detective Newton di rispondere. «Può restare a patto che non sporchi e non svolazzi a caso in giro». Lesse distrattamente il documento falso e lo riconsegnò a Curtis. «Siamo qui per rendere omaggio al Vicario per la graz—» «Guardi: non me ne frega un cazzo» lo interruppe bruscamente l’ometto. «Mio compito è controllare chi entra, vi ho controllati, e ora entrerete. Di chi siete o cosa venite a fare qui non me ne può fregare di meno» e così dicendo gli fece cenno di andarsene con il dorso della mano. Curtis e Osm uscirono senza fare altre affermazioni. Quando furono fuori convennero che il vecchietto fosse una persona scortese. «Mamma mia che ometto scortese» considerò Osm. «Un cafone proprio» convenne il Detective. Erano dall’altro lato, immersi nel trambusto della piazza principale, quella su cui si affacciava la basilica. Era tutto un viavai di devoti, pellegrini, Guardie Vicariali, Operatori, Putti. «E ora sì che cominciamo a divertirci» disse il Detective Newton. Si incamminarono, avevano peccati da far assolvere.

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