Dei Delitti E Del Pene
Dei Delitti E Del Pene: Erano 35 giorni che vagavo alla sua ricerca,tra stenti,rabbia forse,risate nervose,avevo perso le unghie del piede destr…
Il nostro modo di dire la nostra: pensieri spesso sconclusionati, ma veri che emozionano.
Dei Delitti E Del Pene: Erano 35 giorni che vagavo alla sua ricerca,tra stenti,rabbia forse,risate nervose,avevo perso le unghie del piede destr…
Federico Fabbri del Borda! Fest. Disegnatore e mente del Festival, di recente ha esposto alla Tekè Gallery di Carrara.
(Diario di una maniaco-ossessivo-compulsiva depressa amante del caffè). 23 febbraio 2019. Prologo. Giorno zero. Anno zero. Genesi. Alba. Nascita di un giorno nuovo. Epifania. Illuminazione. Chiamata. Sono Ilda. Salve a tutti. Mi chiamo Ilda. Benvenuti. Accomodatevi. Voglio che vi sentiate a vostro agio. Questo è il mio salotto virtuale. Sono Ilda. L’ho già detto? Non stupitevi. Io amo ripetermi. Sono perfetta. La ripetizione amplifica. Sono perfetta. Depressa, ma perfetta. Devo ripetermi. Ed io devo essere amplificata. Sono in questo modo, ognuno di voi potrà avere un pezzetto di me. Sono Ilda. Ilda. Ricordatevelo. Ilda. Mi chiamo Ilda. Sono depressa. Chi non lo è in questa società? Sono nata. Cresciuta. Ma non sono diventata quello che volevo essere. Per questo mi deprimo. Sono Ilda. Mi chiamo Ilda. Sono perfettamente depressa. Ed amo il caffè. In questa società di mentecatti. Di avvoltoi. Di ciccioni. Di serpi. Di gente con l’acqua del cesso al posto del cervello. Dicevo. In questa società di egoisti. Di bugiardi. Di meschini. L’unica cosa che si salva. E che mi salva. Dal buio inespugnabile della mia mente. Dal grigiore soffocante del vivere quotidiano. È il caffè. Mmmmmh. Il caffè. Io amo il caffè. Mi chiamo Ilda. Ed amo il caffè. Il caffè è schietto. Onesto. Taluni ci vedono anche il futuro, nel suo fondo. In quel che resta di lui. Io personalmente non ci credo. Il caffè non perde tempo in cose futili come la chiaroveggenza. Se il futuro deve venire, perché sprecare energie anticipando eventi a cui è impossibile sottrarsi? Gente comune. Siete degli ignoranti. Non ponete il caffè al vostro livello. Mi chiamo Ilda. Ed amo il caffè. Mi chiamo Ilda. E l’unica cosa che mi concede una parvenza di gioia. È il caffè. Senza di lui, mi sarei già buttata sotto un treno. Da un balcone. Da un terrazzo. Mi chiamo Ilda. Sono perfetta. E sono depressa. Ci sono mattine in cui suona la sveglia. Ed io tremo. Tremo. Ho paura. Ho la nausea. Non credo di potercela fare. Piango. Non posso alzarmi. Affrontare la giornata? La burocrazia reclama la mia gola. So già cosa aspettarmi: volti nascosti da maschere di pietra. Brutti musi che si susseguono. Come finestrini di un treno in corsa. Umiliazioni. Per lo più gratuite e prive di fondamento. Stanchezza. Mentale e fisica. Aridità morale. Avrò sete tutto il giorno. La vista annebbiata. Il cuore pesante. Un sasso posato malamente sulla bocca dello stomaco. Tremo. La sveglia suona ancora. Che fare? Smettila. Puttana. Che suoni come un’isterica in calore. Smettila. Io non voglio alzarmi. Ti ho detto che ho paura. Non voglio muovermi. Voglio morire. Così. Dolce sonno eterno. Basta. Sono stanca. Non voglio più lottare. Non sarò un Don Quijote contro i mulini a vento. Ma poi. Ecco. Mi arriva l’immagine di lui. Rovente. Tiepido. Fuma. È deciso. Il suo corpo robusto. Sento il suo profumo. Ne assaporo il suo carattere. Così amaro e temibile. Ma avvolgente al tempo stesso. Sicuro. Accogliente. Ti vedo giungere a me in una tazzina rovente. Caffè. Solo tu puoi aiutarmi ad alzarmi. Mi sono stancata. Di vivere così. Tra una tazzina e l’altra. Sempre la stessa. Sempre la solita consistenza. Seppur tanto amata. Ho due tappe fisse quotidiane. La prima. Quella della moka di casa. Famigliare. Conosciuta. La seconda. Quella dell’ufficio. L’infallibile macchinetta a cialde. Nota anch’essa. Promettente ed accessibile. Una dose quotidiana di caffeina. Irrinunciabile. Le amo. Entrambe. Senza di loro, come potrei sopravvivere alle giornate? Sono il mio sale. Il mio sole. Il mio io e dio. Che me ne faccio di un pene se ho il caffè? Ho scelto la via e la vita della zitella frigida. Che me ne frega? Io sono soddisfatta. Il sesso per la maggior parte delle volte è sopravvalutato. È noioso. E sudato. Ma ciò che non delude mai, anche perché non suda, è il caffè. Il mio amato. Bellissimo. Nerissimo. Amarissimo. Caffè. Dicevo. Che comunque un po’ mi sono stancata. Una vita prevedibilmente sicura. Una vita priva di sorprese. Una vita fatta di routine irrinunciabili, certo. Ma pur sempre prevedibili, dicevo. Sono in una fase di apatica noia. Ho bisogno di sorprese. Di stimoli. Ho bisogno di scoprire nuovi caffè. Nuove emozioni. Nuovo intensi sapori. Ed ecco. Ho avuto l’illuminazione. Ho ricevuto la chiamata. Sonderò tutti i caffè di ogni bar della mia città. Nessuno escluso. Li proverò e li catalogherò tutti. Un progetto ambizioso, lo so. Me ne rendo conto. Ma io sono Ilda. Sono perfetta. Depressa. Posso fare qualsiasi cosa. Mi chiamo Ilda. E amo il caffè. Che fare se uno nasce con una passione siffatta? Non gli resta che provare ogni caffè. E così farò. Io sono Ilda. Amo il caffè. E da oggi li proverò tutti. Ovviamente, accompagnati da una simpatica brioches. #staytuned #stayIlda #staycoffee
Prima puntanta : Isla Utopia – Parte 1: Uscita B42 Seconda puntata: Isla Utopia – Parte 2: Cosa essere tu? Forse, sognare… La prima edizione di Cent’anni di solitudine è stata pubblicata a Buenos Aires agli inizi di giugno del 1967. Aracataca, il villaggio colombiano in cui è nato Gabriel García Márquez, si trasforma nella fantasia dello scrittore e diventa Macondo, “una città invisibile” più reale di molte città palpabili. Il romanzo verrà letto da quasi cinquanta milioni di persone, mutando l’immaginario dell’America Latina nel resto del mondo. Migliaia di bambini europei e americani si chiameranno con il nome degli abitanti di Macondo, diventando Aureliano, José Arcadio, Remedios o Amaranta Ursula. Bambino, non ho nomi di Macondo, ma a quattro anni il mio nome cambia. Il primo sguardo e le prime scoperte sono di Luca, il mio primo nome, invece, è ancora sulla carta, eredità del nonno che vive in Argentina. Ma un giorno il nonno arriva alla porta e si accorge che a Genova si potrebbe anche fermare: l’allergia lo lascia in pace, ha smesso di starnutire. È un motivo sufficiente per rimanere ed è così che la sua guarigione mi definisce Leonardo. Con l’avvento dei nonni, entra in casa anche una lingua improbabile, una “mezcla” di spagnolo, dialetto calabrese e italiano. La Macondo della mia fantasia prende forma guardando nello stereoscopio le immagini tridimensionali del matrimonio dei miei e la bisnonna baffuta delle foto diventa la mia Ursula Iguarán, capostipite di cent’anni di solitudine. La Plata è il luogo immaginario delle storie ed è anche il luogo da cui affermo di arrivare, che negli anni Ottanta a scuola è più facile dire di essere straniero che meridionale. Ora che ci siamo risvegliati dentro e attraverso le sue strade con mia mamma e i miei figli sento che la vita sa anche essere dannatamente bella e che in sta città quadrata non ci si può perdere manco da ubriachi. Quando l’architetto Benoit l’ha ideata insieme ai suoi fratelli massoni ha chiaramente preferito la squadra al compasso, cosicché ci si muove dentro vie ad angolo retto che non hanno nomi ma numeri. Ogni isolato è un quadrato e ogni sei quadrati c’è una piazza, non ci si può sbagliare, al limite a confondere ci pensano le diagonali che si intersecano. La mia Macondo, se esiste, deve essere un po’ più in là, fuori dal tracciato della città. Sull’autostrada La Plata-Buenos Aires la trovo, a Ensenada, con il cartello “Isla Utopia”. Non c’è altro che un’isoletta lontana e per quanto uno si sforzi di capire non può che dirsi: non so, ho solo le coordinate di un mondo immaginario, Macondo, Utopia, una vibrazione nella mente. Faccio una ricerca e scopro che si tratta di un’intuizione artistica di un universitario platense e che la sua intenzione è di reinventare quel luogo, chiamandolo come il romanzo di Thomas More, dove l’isola utopica è un luogo che non è in nessun luogo e gli uomini hanno imparato a stare insieme. Torno a casa e guardo su Wikipedia la xilografia della prima edizione del 1516 di Utopia, poi guardo l’immagine di copertina della prima edizione di Cent’anni di solitudine: vi sono delle navi che portano all’isola, che vagano nella selva e nelle paludi, che portano oltre il limite della nostra fantasia. “Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso”… e sono passati quasi cent’anni da quando il fratello di mio nonno, il primo a partire, è arrivato in Argentina sull’Ammiraglio Bettolo. Bene, ora posso dipanare la matassa della mia immaginazione. E raccontare il mio viaggio…
Editore:Ass.Culturale Il Foglio “Karma Hostel” è la storia di un giovane italiano che, deluso dal proprio Paese, emigra in Cina. A Houhai, un paesino di pescatori cantonesi sull’isola tropicale di Hainan, apre un ostello per surfisti. Così inizia un’avventura dalle spiagge tropicali del Sud alle montagne del Sichuan fino alla poetica decadenza di Pechino e Chongqing. Tra tifoni, onde tropicali e voli alla De Quincey, De Luca mostra, con uno stile avvolgente, una Cina underground psichedelica e ribelle. Una sanguigna denuncia sociale, ecologica, antropologica, di un mondo avvelenato in cui Occidente e Oriente si specchiano l’uno nell’altro. “Uno straordinario romanzo che vi farà viaggiare fino in Cina e sarà una Cina vera, che non vi aspettate, mica la Cina radical chic di Federico Rampini (Karma Hostel).” – Gordiano Lupi – EDIZIONI IL FOGLIO “Un libro necessario. Che emoziona!” (Renzo Paris) “Con Karma Hostel De Luca scava un tunnel dalle profondità abissali. Dall’Ovest di un mondo pingue e imbolsito all’Est di una realtà che divora e si divora.Sul fondo la forza di una scrittura avvolgente, una scrittura che dice senza ammiccare a giochi di retorica.” (Vladimir Di Prima) “Le parole di De Luca pesano e pensano, formano un corpo nuovo, una transizione tra quel che c’è e quel che sarà.” (Iago) “Un romanzo selvaggio e fuori dagli schemi. Un viaggio dentro un mondo lontano e sconosciuto.” (Andrea Cotti) Francesco De Luca nasce a Roma il 17 Maggio 1979 da famiglia partenopea. Cominca a scrivere i primi versi durante il periodo universitario. Si laurea in Scienze della Comunicazione presso “La Sapienza” di Roma nel 2004. Deluso dalla situazione generale italiana, nel 2005 si trasferisce in Cina dove studia mandarino all’Università di Lingua e Cultura di Pechino. Qui rimane quasi un decennio affascinato dalla decadenza della società comunista capitalista contemporanea in contrapposizione al mondo romantico e cattolico delle sue origini. Tra il 2011 ed il 2014 risiede e lavora come giornalista, scrivendo per Cosmopolitan, Outside Magazine, Traveller e Coastal Life Mag, sull’isola tropicale di Hainan, di fronte al Vietnam. Qui fonda Chinasurfreport, il primo webmagazine cinese dedicato interamente alla promozione del surfing e della cultura surfistica in Cina, stringendo rapporti d’amicizia con John Severson (RIP), Jim Loomis e molti altri veterani. È inoltre musicista, interprete e promotore dei rapporti culturali tra Italia e Cina, svolgendo attività d’interpretariato per il Ministero degli Interni, il Tribunale di Roma e l’Associazione Sviluppo Italia Cina. Traduttore dall’inglese di Jim Loomis e dal cinese dei poeti HaiZi e GuCheng. Ha pubblicato “Anomalie” (Terre Sommerse, 2016). Attualmente vive tra Roma e Anzio. https://www.facebook.com/francescodelucautore/
Puntata Precedente – Uscita B42 Vado dove sono stato e siamo stati una possibilità. E questa possibilità è venuta dal mare, mio padre, e mia madre si è fatta terra. Tocchiamo terra, Buenos Aires. È giorno. Si riaccendono i telefoni, uno sciame di schermi si dirige verso la dogana e così noi. Il cammino verso l’uscita si biforca, prendiamo la strada degli stranieri e ci mettiamo in coda mezzo stralunati: a colazione sull’aereo mi sono mangiato una salsiccia, sono in uno stato alterato di coscienza British Airways. Inizia il processo di identificazione: “Brucaliffo: Cosa essere tu? Alice: Bè non so più neanche io signore, mi son trasformata così tante volte oggi che…” Ci fotografano gli occhi e ci prendono le impronte e ci chiedono dove andremo a stare. Infine il timbro sul passaporto, le valigie e nulla da dichiarare. Infine la porta. Siamo consapevoli di apprestarci a vivere il momento che la mente fotografa e trattiene, la porta che si apre quando fuori c’è qualcuno che ti aspetta… Il desiderio di vedersi, di colmare il vuoto dell’assenza, l’entusiasmo, l’eccitazione di essere arrivati, i sorrisi, gli abbracci.. Mia madre nuovamente terra, Buenos Aires, oggi. Ci spogliamo del nostro autunno freddo e il caldo umido ci assale. José, il compagno di mia madre, ci guida fuori da Ezeiza, dove la polizia aspetta i tifosi di ritorno da Madrid. La nostra destinazione è La Plata, calle 3 entre 79 y 80, nel barrio dove i suoi genitori e i miei nonni sono arrivati insieme da Mongrassano, Cosenza, finita la seconda guerra mondiale. Siamo approdati in un nodo cruciale del nostro spazio-tempo, vorrei poter dire ai miei bambini “es un lugar mágico”, il luogo sperato, romantico, disperato, perduto e drammatico in cui si sono mossi i trisnonni, i bisnonni, i nonni, vostro padre e, ora, voi. Ma è troppo anche per me e inizio a rileggere Cent’anni di solitudine, così, per digerire la salsiccia, e poi dormire…
ESCLUSIVA IYE Dopo le esperienze con i JWTJ e i Der Tod, dal 2000 Enomisossab e’ un progetto sulla vocalita’ e il linguaggio. L’idea di performance, in continuo divenire, lega il canto al corpo e al teatro. E a luoghi diversi: club, chiese sconsacrate, sale d’arte contemporanea, installazioni… “O’er the land of the freaks” e’ il suo quinto album. Fabrizio Naniz Barale, durante la sua (lunga) carriera ha suonato la chitarra elettrica per Yo Yo Mundi e icone pop come Ivano Fossati e Giorgio Gaber. E’ il proprietario di Piave 34, uno studio di registrazione e mastering: negli anni, come tecnico del suono, ha lavorato con tanti (bei) nomi del settore (Sade, Celentano, etc.). E’ anche insegnante di computing al conservatorio di Cuneo. “O’er The Land Of The Freaks” nasce da nove sessioni di registrazione, nel 2017, sull’onda della collaborazione sul disco precedente (“Kykeon”). Parte dal cut-up, maniacale, di “American Psycho” per poi abbandonarlo, riprendendo (mille) altre suggestioni: tutte, Savinio, Bowie, Servais, Morselli, etc., presagi del futuro che stiamo vivendo. Il lavoro, in tandem, è stato caratterizzato da un metodo (rigoroso) di improvvisazione. L’estetica pop, orgogliosamente radical chic, gioca col formato canzone, simulandolo per quasi tutto l’album con l’eccezione di due brani (“Death To Amerika” e “How Small We Are”), i soli rock (dunque, stereotipi). Nascoste in superficie (..), si ritrovano tecniche e modalità sperimentali, inserite in un contesto (volutamente ambiguo) al servizio della narrazione. Un film per le orecchie con un libretto, da seguire, e un impianto complessivo operistico. Che vive di sottrazione continua, di elementi appena accennati che circondano il flusso di coscienza delle parole. Trattasi di hip hop senza hip hop: bassi ovunque, che si passano il testimone da un bordone all’altro, a guidare l’assalto sonoro, un pò di elettronica e una voce che esibisce tanti colori risuonando. Una struttura minimale per provocare il massimo effetto. Persino i titoli delle canzoni hanno una doppia lettura, “Patrick Says” omaggia Lou Reed, “Yes Logo” il “No Logo” di Naomi Klein, in uno scenario che mescola la realtà digitale (i tweet di Trump, gli slogan della Apple, i jingle delle suonerie, etc.) con i fattoidi, Clint Eastwood che si ammazza pulendo un fucile, e la realtà di un venticinquenne che muore perchè non riesce a raccogliere abbastanza denaro – con una colletta via web – per la sua insulina. “O’er The Land Of The Freaks” è la colonna sonora di un momento creativo che rifiuta lo schiacciamento sul presente continuo e pure l’italiano (televisivo..) canzonettaro. Sostiene che la voce cantata è un pezzo importante della letteratura e che la vocalità stessa è inscindibile da una ricerca poetica. info@enomisossab.com / enomisossab.com e totenschwan.bandcamp.com / toten.info@gmail.com
Scrivere di un viaggio è scrivere della mente di un viaggiatore, della sua partenza, del suo arrivo e del suo ritorno.
La Dichiarazione universale dei diritti umani illustrata da giovani artisti italiani”, che racchiude un’illustrazione per ciascuno dei 30 articoli della Dichiarazione universale.Ad affiancarli ci sono gli scritti del presidente e del portavoce di Amnesty Italia, Antonio Marchesi e Riccardo Noury, e dei due curatori del libro, Michele Lionello e Melania Ruggini (che sono anche i direttori artistici di Arte per la libertà). In questi nostri anni bui penso sia importante andare a rivedere magari anche con i propri figli che cosa è La Dichiarazione universale dei diritti umani perchè tutti nasciamo liberi e uguali in dignità e diritti, vero “Salvo piccolo?” A questo indirizzo è possibile acquistare il volume: https://graficheperuzzo.it/in-arte-dudu-2 Titolo: IN ARTE DUDU – La Dichiarazione universale dei diritti umani illustrata da giovani artisti italiani Autore: Melania Ruggini – Michele Lionello Illustrazioni: Alessio-B, Alessio Bolognesi, Tony Gallo, Psyco, Marco Mei,Federica Carioli, Giusy Guerriero, Alessandra Carloni, Brome, Zentequerente, Artax, Eliana Albertini, Phobos, Anita Barghigiani, Centocanesio, Riccardo Buonafede, Federica Manfredi, Stefano Reolon, Cristina Chiappinelli, Flavia Fanara, Giulia Quagli, Alberto Cristini, Violetta Carpino, Herschel & Svarion, Ivano Petrucci, Camilla Garofano, Miriam Serafi Testi: Riccardo Noury, Michele Lionello, Melania Ruggini,Antonio Marchesi
Equilibrio Precario è una fanzine trentina che tra il 1992 e il 2002 ha pubblicato 8 numeri. Personalmente devo avere in casa almeno 2/3 numeri. Equilibrio Precario si muove tra dischi e concerti. Spesso è musica dissonante e rumorosa, ma altre volte è lenta e intima. Articoli su : La Crus, Laddio Bolocko, Lalli, Marlene Kuntz, Massimo Volume, Motorpsycho, Neurosis, New Bomb Turks, Negazione, The Notwist, Old Time Relijun, One Dimensional Man, Perturbazione, Rage Against The Machine, RSU, Scisma, Shellac, Sottopressione, Splatterpink, Stefano Giaccone, Skin Yard, Trumans Water, Unsane, Unwound, Voivod, Us Maple, Will Oldham, White Tornado, Zeni Geva e molto altro. Equilibrio Precario 0.2 Equilibrio Precario 0.3 Equilibrio Precario 0.4 Equilibrio Precario 0.5 Equilibrio Precario 0.6
Euskadi Ta Askatasu: Le notizie dei giornali del 17 settembre, riportavano con evidenza due notizie riguardanti la Spagna. Per primo i giorna…
Fucking Amal – Svezia, 1999: Fucking Amal – Svezia, 1999 – Diretto da Lukas Moodysson
“Voglio essere felice adesso, non tra venticinque anni”. Que…