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Live Report

I nostri inviati sul territorio.

Children Of The Beach 2019

SABATO 14 SETTEMBRE ore 19:00 // CHILDREN OF THE BEACH SPOTORNO The Rock’n’Roll Kamikazes Ottone Pesante La Morte Viene Dallo Spazio One Horse Band Followtheriver Tutte le foto sono di RestidiEffe. Instagram: @restidieffe Website: https://restidieffe.com/

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Monobanda Crew Fest Iii

Oggi è proprio una bella domenica, che sa molto di sabato. Prendiamo la macchina, partiamo… direzione Loreto. Ad attenderci c’è la terza edizione del Monobanda Crew Fest. A bordo della mia Renault Kangoo ho sempre fatto strade diverse per raggiungere la provincia di Macerata e questa volta nulla è cambiato. Percorriamo la Salaria fino a Rieti, poi giù fino a Terni, passando per Spoleto (dove si trova l’amata norcineria Dai Lupi) fino alla ss.77, superstrada che ci porta molto vicino alla destinazione desiderata. Infatti prima di raggiungere il Reasonanz AssCult abbiamo giusto il tempo di perderci per qualche strada sterrata delle valli marchigiane. Alla fine però ne vale la pena. Il locale si affaccia su una vallata con una vista mozzafiato, tra le colline e il mare, sovrastate dal Conero. Ad attenderci ci sono alcuni monobanda che stanno già armeggiando con le varie strumentazioni, Riccardo (l’organizzatore del Festival) e la sua eccezionale compagna Alessandra, con altri fantastici personaggi, non solo delle Marche, e un’atmosfera calma e infuocata allo stesso tempo… come se tutti già sapessero che non parteciperanno al classico festival, ma andiamo con calma. Io mi preparo con una mezz’oretta di riposo su una sdraio, rinfrescato dal piacevole vento (magari ad averlo nella mia afosa Roma) e, successivamente, con un gustoso burger di ceci e riso accompagnato da una Keller, che sarà la mia compagna del festival (avevo promesso a me stesso di non esagerare, il tutto è rimasto a puro stato di promessa). Poco dopo le 19.00, dopo che i selezionatori vinilici i selezionatori vinilici (Mr. Daniele Nando Luconi, Wasted Hank XIII, Marco MisterBad Bargagna e Freddie Koratella, il pessimo navigatore autore della perdita di orientamento di cui sopra) ci hanno iniziato a scaldare, parte la festa. Il primo a salire sul palco è Extreme Blues Dog, one man band brasiliano che porta in giro per il mondo il suo dirty blues…You Wanna Blues? Yeah!!!! Per raggiungere certe note con la voce ha sviluppato muscoli sovraumani nella gola. Durante il suo concerto ci racconta di come ha comprato in giro durante una sua tournée le sue scarpe da monobanda (One Man Band Shoes) e riscalda i fortunati che sono arrivati presto con un ottimo live. Amante di Hasil Adkins non farà She Said, ma più tardi delizierà tutti ballando il Chicken Walks. Dall’interno ci spostiamo al giardino del Resonanz, dove Pat Pend ci attende in versione acustica. Ho visto già parecchie volte il suo frenetico Cinga Cinga, ma questa volta, si capisce, sarà un po’ diverso. Chitarra acustica e pedana costruita artigianalmente dallo stesso ci regalano un live al tramonto più rilassato…Go Go Go!!! Rivisita i suoi classici brani, canta in francese e alla fine ci butta dentro anche l’armonica. Come dice Pat non si può andare sempre a 180/h, e lui riesce benissimo ad andare anche più lento. Io personalmente impazzisco per la sua “La Mia Ragazza”. Scende la notte e il terzo che si esibisce è One Horse Band. Per chi non lo conoscesse il suo Trash Blues è davvero coinvolgente e restare fermi è impossibile. Il monobanda mascherato porta con sé il suo album, Keep On Dancing, fresco di uscita per Area Pirata Records. Un live esplosivo accende il pubblico e il concerto, dopo una richiesta Howling At Your Door, finisce con danze selvagge, sdraiati per terra e non solo. Secondo il programma previsto il prossimo dovrebbe essere il francese Ronan Onemanband, ma per problemi ha dovuto disdire all’ultimo momento. Nessun problema. Le Marche, oltre ai tanti prodotti gastronomici, è una terra prolifica di one man band. In un attimo viene chiamato Mr. Deadly, che dalla spiaggia chiude la sua sdraio, passa a casa, carica la strumentazione e arriva al Resonanz. Non ho mai sentito il francese, ma il nostrano non me lo fa rimpiangere. Un live travolgente in cui presenta il suo primo disco, Breakdown, condito da due cover eccezionali: Straight To Hell dei Clash e la tenchiana Io Sono Uno. Anche se manca un solo giorno alla luna piena l’ultimo a esibirsi è il mannaro Hombre Lobo Internacional. Per chi non lo abbia mai ascoltato il suo primitivo wild rock’n’roll è contagioso e riesce a tirare fuori il lato selvaggio del pubblico (impossibile resistere al morso della sua Rickenbacker mentre suona Surfin Bird). Un live infuocante nel quale il monobanda esegue, tra le tante, la sua You Better Listen To Me Baby (canzone che è entrata nel mio cervello, difficilmente ne uscirà). Prima del finale invita anche Pat Pend per un duo monobanda frenetico (tra i tanti progetti senza prove del one man band nostrano) che scalda ancora di più l’atmosfera. Lo spagnolo ci saluta tutti con un’altra cover…Shout…chi non c’era può solo immaginare la follia. La serata prosegue con i selezionatori che continuano a trasportarci verso la fine in questa family reunion, con un’atmosfera ultra positiva. Io, prima della fine, faccio un salto ai vari banchetti per accaparrarmi qualche disco (Keep on Dancing di One Horse Band, un 10″ di Hombre Lobo Internacional e due 7″). Avrei potuto passare una solita domenica sul divano, ma la strada fatta per arrivare fin qui ne è valsa la pena, fino all’ultimo metro. Alle volte basta poco per stare bene, sta solo a noi prendere alzarci e partire.

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The Best Gigs Cost Five Bucks, Institute Live

Institute live at EKH, Vienna, Austria/31 Maggio 2019 È una calda serata di fine primavera quella in cui vengo accolto nella capitale austriaca; Vanja, mia storica compare di marachelle in provincia, stabilitasi da due anni al nord, viene a raccattarmi in stazione con l’indispensabile bicicletta rosa. Dopo il gossip di rito, le fresche notizie da portineria che porto in grembo dalla riviera, giungiamo in Rüdengasse (letteralmente “la strada delle cagne”), nel palazzo dove la “sister” condivide casa con una manciata di ragazzi e ragazze prevalentemente altoatesini. Giusto il tempo di sorseggiare un par de birrette (rigorosamente viennesi e in maxi-latta)di accomodamento che si fa ora di mondanità; non volendo sprecare nemmeno un istante di questa mia rara comparsata lontano dal focolare domestico, mi lascio trascinare in uno storico edificio occupato di Keplerplatz, l’E.K.H.. Entrati, preso d’assedio il giardinetto interno, apprendiamo di un fatto singolare: quella stessa sera suona uno dei gruppi più interessanti del nuovo punk a stelle e strisce, gli Institute from Austin, TX. I miei commensali non si sorprendono del mio malcelato entusiasmo, dicono: “You’re a fuckin music nerd, Puglia” e mi trascinano al piano di sopra dove si trovano due luoghi di grande interesse sociale, il bar e la minuscola ed oscura sala concerti. Attaccano gli americani. Dopo dieci secondi di rullate marziali siamo travolti da una miscela sonora unica e travolgente. Scampanellii chitarristici degni del Metal Box, varie attestazioni di stima verso Rikk Agnew e altro punk americano vedi i Flipper (il cui adesivo campeggia sul thunderbird del bassista), debito verso la nuova scuola wavepunk nordeuropea, vedi IceAge e Lower, la cui foga hardcore è però rimpiazzata dallo stilealbionico ’77 del cantante (frangetta, movenze epilettiche e rantolo irresistibili). Gruppo EXTRAORDINAIRE, per dirla con Arrigo. Notare che nonostante la violenza del sound gli uditori fossero molto focalizzati sulla musica e poco sull’attitudine, certamente travolgente, della band, ovvero, delle volte ho come l’impressione che basti sconfinare dal bel paese per trovare, a parità di contesto e ambiente, chi esca di casa per ascoltare della buona musica e non per scaricare le frustrazioni della working week in atti di violenza e virilità non dissimili dalle pratiche di chi si diverte a far cinghiamattanza. Comunque… mi ritrovo a fine live ancora ebbro di suoni mirabili e birre bianche a gridare che “(Post) Punk’s still alive!!!” tra l’imbarazzo e l’ilarità dei presenti. Compro una cassetta live (The Beat Session – Shout recordings, 2018) contenente una versione dilaniata di Pictures of Matchstick Men originally by Status Quo e torno a casa senza pive nel sacco. Il più bel live a cui mi sia capitato di assistere negli ultimi tempi mi è costato cinque euri e l’affluenza non superava i trenta cristiani, tutto questo nei giorni del Firenze Rocks e dei grandi festival. Rimango inamovibile nel pensare che quel tipo di format consti di una dimensione dispersiva e disumanizzante dell’esperienza live, che sia raro incontrare gruppi che non siano dinosauri semoventi del rock sui palchi grossi, quindi in ultima analisi, sparatevi voi e i fottutissimi Cure.   Readjusting the Locks by Institute

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Primavera Sound – Report

A più di una settimana dal mesto ritorno a casa dopo quattro giorni intensi passati a Barcellona per il Primavera Sound rieccoci pronti a buttar giù delle memorie che sappiano raccontare in maniera esaustiva ciò che è stata questa edizione appena conclusa. Preciso che questo report, se di report si tratta, arriva così tardi perché nel frattempo il mio portatile ha smesso di esistere e quindi nel frattempo mi sarà capitato di veder scorrere nel mio feed decine di articoli riassunto sul tema, perciò mi sarebbe piaciuto dare a questo articolo un tono più catchy-paraculo come la roba che saltuariamente continua a uscire su Vice, ma purtroppo non ho superato i controlli di sicurezza con degli ovuli nel culo e anzi la droga che ho trovato lì è stata piuttosto deludente. Perciò andiamo con ordine: I concerti Sì, perché al netto di tutto il chiacchiericcio e le polemiche (cui talvolta prendo parte molto volentieri perché sono latentemente biscardiano) che puntualmente accompagnano il Festival, il Primavera Sound resta ancora oggi un evento mondiale in cui a essere assoluta protagonista è la musica, che con artisti e artiste di tutto il mondo occupa letteralmente la città per una settimana di concerti, concertini, produzioni mastodontiche e minimali, set attesissimi che si alternano a sorprese e delusioni, scelte dolorose e dj set fiume in attesa dell’alba. Passeggiando per il parco del Forum a inizio giugno nel primo pomeriggio si avverte davvero la sensazione che ci si trovi dinanzi a una realtà che sappia far coesistere mondi lontanissimi, senza mai scadere in un fastidioso sovrapporsi di voci e suoni: ogni realtà musicale ha il suo spazio in cui manifestarsi, davanti a una nutrita commistione di volti devoti, curiosi, attenti, talvolta troppo chiassosi che prendono parte alla cerimonia, in un flusso continuo di gente che da tutto il mondo pare essere lì per prendere parte a un rituale, in parte sfacciatamente pop ma senza strizzare troppo l’occhio alla pomposità del Coachella. Stiamo parlando di un festival in cui non è inusuale godersi in religioso silenzio una suite dei Necks (spesso presenti in Italia ma mai al Sud almeno negli ultimi anni), tra le più grandi band experimental jazz del mondo, che performano un unico brano di 45 minuti, per poi ritrovarsi in spiaggia a godersi un momento post aesthetic sulla spiaggia al Lotus Stage tra ragazzi fluttuanti tra glitter e bottigliette di acqua. Un momento si è in pace a godersi il sole con i Big Thief sullo sfondo e poco dopo si ondeggia in un Ray Ban gremito per una leggenda come Nas, che prende fiato, temporeggia, ma alla fine porta a casa il cuore di tutti i presenti. Una classifica finale a sto punto non credo abbia poi troppo senso, sia perchè appunto nel frattempo ne sono uscite decine e poi anche perchè essendomi perso parecchi show molto attesi, alcuni inspiegabilmente, Erykah Badu e Rosalìa su tutti, la mia versione sarebbe troppo parziale al pari dei commenti degli arab ex/b/erts sotto le fanpage delle squadre di calcio. Perciò mi limiterò ad elencare 5 momenti che per me hanno reso indimenticabile questa edizione: 1 – Janelle Monae Chi ha seguito le mie storie instagram non sarà sorpreso: Janelle è una vera regina del pop, insieme alle ragazze ha messo su un show davveRo totalizzante, trasversale, memorabile: ha fatto ballare tutti prendendosi la scena in modo sublime, tra Prince e Janet Jackson senza mai dare l’impressione di none Essere in fondo sè stessa, una delle più grandi performer contemporanee, in uno show che tra un cambio d’abito e l’altro ha saputo essere smaccatamente pop senza dimenticare tematiche politiche e sociali.   2 – FKA Twigs Nell’anno del New Normal e della parità di genere i primi due show che mi vengono in mente sono tutti al femminile e non credo sia un caso: se Janelle ci ha fatti divertire, Twigs ci ha fatti vibrare. Al Primavera Sound non è certo una novità quella di imbattersi in set mesmerizzanti alle 3 del mattino (Flying Lotus due edizioni fa coi i visual in 3d ne è un esempio calzante). Tra danze, abiti svolazzanti, copricapi piumati, impalcature e pure un momento per farci vedere quanto è brava con la spada (lo show che porta in tour è questo) l’artista formerly known as ha saputo catturare tutti gli occhi a sè con un live memorabile per sonorità, movimento e intensità, in un perfetto mix di trip hop (reminiscenze dei migliori Portishead) e sferzate di “archiana memoria”, ed io che l’avevo approcciata con un po’ di scetticismo perché al netto di nuovo materiale annunciato in uscita LP1 è datato 2014 e sappiamo come in questi anni dell’internet una settimana abbia ormai il valore di un decennio.   3 – Low Ciò che è passato in secondo piano durante le polemiche che hanno alimentato l’annuncio della Line Up e dell’abbattimento del gender gap per bocca del chiacchieratissimo claim New Normal è stata la cospicua presenza di artisti e band che negli anni hanno contribuito ad alimentare la fama del Primavera come festival alternativo tra i migliori al mondo, capofila in Europa almeno per una manifestazione di quella portata (solitamente 55k persone a sera, 12 palchi ecc). Anche quest’anno questa essenza non è venuta meno e così oltre ai riuniti Stereolab, Guided by Voices, i soliti (ma pare al solito impeccabili) Shellac e i forse un po’ spenti Built to Spill su tutti questa resterà l’edizione in cui i Low hanno saputo dominare con classe assoluta il Primavera Sound, ereditando il ruolo che fu degli Slowdive lo scorso anno, quando mi parve che una Golden Hair suonata a volumi impressionanti avesse spazzato letteralmente via tutto quanto c’era attorno. Visual minimale, set intenso, penetrante, con tutto il garbo che ci può essere nelle loro divagazioni noise, la storica band slowcore americana ha saputo ripercorrere tutta la carriera mettendo a nudo ancora una volta la nostra sensibilità.   4 – Sons of Kemet XL XL sta per quattro batterie ma a dominare al solito è stato il sax di Shabaka Hutchings, perso il giorno prima con i Comet is Coming e per questo imperdibile anche alle 4 del pomeriggio sotto un sole che avrebbe stuzzicato le fantasie di uno qualsiasi degli artisti itpop senza talento che ci tocca sorbirci in Italia in ogni discount. C’è stato quindi tempo per un’ora no stop di balli, preghiere e danze del terzo millennio, senza pause, senza timori, il corpo si è sciolto e si è completamente abbandonato sulle note di quelle che per me rimangono tra le canzoni più significative di questi anni infami in cui ci tocca aver timore di merdate come suprematismo e xenofobia.   5 – Suede Il Primavera Sound in definitiva è il festival del mio cuore anche perché passeggiando ci si ritrova per caso a imbattersi in pezzi di vite passate: così quando mi sono imbattuto in Brett Anderson che si issava sul pubblico sulle note di Life is Golden ho capito ancora una volta quanto un festival musicale è capace di farti sentire a casa anche tra migliaia di sconosciuti che vivono situazioni anni luce diverse dalle tue. Mai sottovalutare le conseguenze dell’amore, specie se gli Suede ti regalano un set così potente, graffiante, carico, chiuso ovviamente con una Beautiful Ones cantata in coro per completare la festa Quindi come è andata questa prima edizione New Normal? Per quanto mi riguarda il Primavera non ha fatto altro che proseguire egregiamente con un lavoro che porta avanti da anni, mettendo sempre la musica e chi la produce al centro di tutto, non sono mancate scelte che hanno creato qualche malumore ma al tempo stesso alla fine della festa scambiandoci i feedback e i saluti prima di metterci in fila in aeroporto siamo parsi tutti contenti. Se poi in un festival di questa portata si riesce per un attimo a mettere da parte l’eteronormatività si ha davvero l’impressione che per almeno una settimana all’anno (anche se in direzione hanno grandi progetti, durante le varie giornate sono stati annunciati altri due appuntamenti in Spagna e addirittura in California), il Primavera Sound Festival sia ancora il migliore dei mondi musicali possibili.

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Nick Cave A Lucca 2018

Nick Cave A Lucca 2018: Breve storia felice:

Due giorni fa era il 17 Luglio.

Azzurra si è diretta a Lucca con l’amica,

E a Lucca ha vis…

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