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Dalla letteratura all’attualità, dalla filosofia all’arte: a noi interessa tutto. Purché non ci si annoi.

TY SEGALL – HELLO, HI

I just wasn’t made for these times non è solo il titolo di un noto brano dei Beach Boys, ma è una definizione perfettamente azzeccata per un artista come come Ty Segall, giovane e prolifico talento cristallino (classe 1987, appena trentacinque primavere, arrivato già al ventesimo disco solista, e chissà quante altre delizie potrebbe ancora donarci) nato probabilmente nell’epoca sbagliata, in un tempo odierno che non sembra appartenergli, preso com’è, il menestrello californiano, nella salvaguardia del suo piccolo mondo antico, esemplificato in questo suo ultimo album, “Hello, Hi“, nel quale si premura di preservare sonorità psych folk dal sapore Sixties (Pretty Things, Beatles, Neil Young) in cui le chitarre acustiche (le gemme bucoliche “Cement” e l’iniziale “Good morning“) e nenie stranianti (la Donovaniana “Blue” e la conclusiva “Distraction“, una harrisoniana “Over” che potrebbe sembrare quasi una traccia demo scartata dalle sessioni di registrazione del “White Album”) vengono intervallate, in alcuni episodi (come la title track e in “Looking at you“) da sfuriate heavy/glam rock à la Marc Bolan/T.Rex (uno degli idoli indiscussi del nostro) presente anche nella melodia lisergica di “Saturday“, che nella seconda parte deflagra grazie al sax suonato dal vecchio compare Mikal Cronin, suo storico collaboratore.   Se nel precedente lavoro, uscito l’anno scorso, “Harmonizer“, il polistrumentista di Laguna Beach si era divertito a mischiare l’heavy rock distorto con l’elettronica e i synth, in questa occasione lo si ascolta e lo si immagina cullato dal tepore delle registrazioni casalinghe (le dieci canzoni contenute in “Hello, Hi“, sono nate in questo modo) anche se forse è ingiusto chiamarlo un lockdown album: meglio definirlo un rustico back to basics, rappresentato anche dalla semplicità della copertina, una foto in bianco e nero (scattata dalla moglie Denée) che ritrae Ty Segall accovacciato su un albero con una chitarra acustica. C’è anche spazio per la cover di un brano, “Don’t lie” dei Mantles, un tema garage/jangle pop completamente stravolto e riarrangiato in chiave acustica. Tutto sa di buono, odora di vecchi sentieri sonori rielaborati per colorare di magia nuovi mondi.   Ty non è nuovo nel variare sound e aprirsi a nuove sperimentazioni, e questo è un Lp tra i più intimisti e surreali mai usciti dalla sua penna, dal mood contraddittorio (ora triste, ora cupo, ora sognante, ora elettrico) e non sappiamo se questa sarà, da ora in poi, la rotta sonica definitiva intrapresa dal biondo re Mida polivalente dell’indie rock mondiale, ma di sicuro si può affermare che, qualsiasi avventura decida di percorrere, lo fa sempre in maniera dannatamente convincente. E ora portatecelo in tour in Italia, daje!   TRACKLIST   1. Good Morning 2. Cement 3. Over 4. Hello Hi 5. Blue 6. Looking at You 7. Don’t Lie 8. Saturday Pt.1 9. Saturday Pt.2 10. Distraction  

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MITOMANI BEAT – CIONONOSTANTE

Terzo capitolo della discografia dei Mitomani Beat, gruppo (anzi, “complesso”, come si era soliti definire le band negli anni Sessanta….

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Wünderkammer Ep. 1: i dieci dischi più interessanti del primo semestre 2022

Ep. 1: i dieci dischi più interessanti del primo semestre 2022: al giro di boa dell’anno di grazia 2022, molte le uscite di peso: Kendrick Lamar (su tutti), Black Country New Road (attesissimi), Yard Act (incensati dalla critica), Animal Collective, Burial, FKA Twigs, Charli XCX, Beach House, Voivod, Fontaines D.C., SAULT, Sharon Van Etten…

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I Karate tornano a suonare dal vivo e annunciano sei date in Italia

A diciassette anni di distanza dallo scioglimento e dall’ultimo concerto ufficiale, tenutosi a Roma nel luglio 2005, i Karate hanno annunciato di aver ripreso l’attività dal vivo e di avere in programma un reunion tour che, oltre a toccare gli Stati Uniti, per sei date (tra fine luglio e inizio agosto) passerà anche per l’Italia.   Il combo indie/alternative/post-hardcore di Boston, fondato nel 1993, interruppe il suo percorso nel 2005 a causa dei gravi problemi di udito sofferti dal frontman e membro fondatore Geoff Farina, procurati dai rumori generati durante i live, ma nel 2022 l’ensemble (completato dal batterista Gavin McCarthy e dal bassista Jeff Goddard) ha deciso di tornare insieme e, agli inizi di luglio, hanno suonato dal vivo dopo diciassette anni di assenza dai palchi, a Cambridge (Massachusetts) mentre le date annunciate per la tournée italiana sono le seguenti:   31 luglio @ Link, Bologna 1 agosto @ Circolo Magnolia, Milano 2 agosto @ Giardino Scotto, Pisa 3 agosto @ Villa Ada Festival, Roma 4 agosto @ FestiValle, Agrigento 5 agosto @ IndieRocketFestival, Pescara   E inoltre, come vi avevamo già riferito l’anno scorso, l’etichetta di Chicago Numero Group si sta incaricando di ristampare, in formato digitale, l’intero catalogo discografici dei Karate, a cominciare dai primi lavori, il singolo “Death Kit/Nerve” e il primo album omonimo, per poi proseguire con gli album “In place of real insight” (1997) e “The bed is in the ocean” (1998) ed è stata annunciata anche la pubblicazione, prevista per il prossimo 30 settembre, di un box set di cinque Lp intitolato “Time Expired” (del quale è possibile effettuare il pre-order a questo indirizzo) che conterrà “Unsolved” in doppio vinile e tre tracce inedite, gli album “Some Boots” e “Pockets” e la prima stampa in vinile dell’Ep “Cancel/Sing”.

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Unsane, in arrivo la ristampa del primo album

Gli Unsane, seminale trio HC/noise newyorchese, hanno annunciato la ristampa del loro disco debutto, omonimo, originariamente pubblicato nel 1991. La reissue sarà disponibile dal prossimo 23 settembre e uscirà sulla label Lamb Unlimited in formato cd, vinile e digitale.   Il self-titled album, completamente rimasterizzato dall’ingegnere del suono (e collaboratore di lunga data) Andrew Schneider, rappresenta un classico della band (con l’iconica copertina cruenta che raffigura un corpo decapitato nella linea metropolitana di New York) e di tutta la scena noise rock, ed è l’unico full length in cui ha suonato il batterista e membro fondatore Charlie Ondras, morto di overdose nel 1992 mentre il gruppo era in tour.   Il frontman Chris Spencer (sua l’etichetta Lamb Unlimited) nel 2019, aveva temporaneamente decretato la sospensione dell’attività degli Unsane (entrando a far parte del supergruppo Human Impact) salvo poi riprenderne in mano le redini nell’agosto 2021, ripartendo con una nuova line up insieme a Cooper e Jon Syverson, e l’obiettivo dichiarato di concentrarsi nel suonare e riproporre il materiale dei primi anni.   Lo stesso Spencer ha spiegato la genesi del loro primo Lp, raccontando che la maggior parte delle canzoni era già stata registrata per un Ep intitolato “Improvised Munitions“, che uscì per la piccola label emergente Circuit Records, poi tuttò andò a monte dopo la consegna del test pressing a causa del gestore dell’etichetta, che fece perdere le proprie tracce per sfuggire a una considerevole somma debitoria accumulata nei confronti di un pusher di cocaina. Da lì l’idea di ri-registrare le canzoni dell’Ep ed aggiungerne alcune nuove per raggiungere la lunghezza di un long playing, a cui la band non diede un titolo (e che uscì per la Matador Records) aggiungendo rumori di feedback e delay loops estrapolati dai concerti del trio catturati su cassetta, per ricreare l’atmosfera elettrica dei live shows tra un brano e l’altro.   Qui è possibile effettuare il pre-order. https://www.youtube.com/watch?v=mwmzCojpczE&list=OLAK5uy_kImoIrjJeWIE86p9bwqj9cGf1AR-6AD9M

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Gli Unwound si riuniscono per un tour e ristampano live album

A vent’anni dal loro scioglimento, avvenuto nel 2002, la leggendaria post-hardcore/noise band americana Unwound ha annunciato, a sorpresa, una reunion per dei concerti in programma nel febbraio e marzo 2023 negli States, all’interno di un tour che, per il momento, toccherà soltanto gli Stati Uniti.   Il gruppo di Olympia (Washington) nato nel 1991 e riformato dalla batterista Sara Lund e dal chitarrista Justin Trosper, tornerà a suonare dal vivo con l’ausilio di Jared Warren al basso (collaboratore di lunga data del bassista originario del combo, nonché uno dei suoi membri fondatori, il compianto Vern Rumsey) e Scott Seckington alla seconda chitarra e alle tastiere.   La label Numero Group ha condiviso, sui profili social, un video teaser che mostra l’attuale line up degli Unwound in preparazione per la tournée, e la stessa etichetta di Chicago dal 2013 a oggi sta ristampando il catalogo (in formato cd e vinile) del rinnovato trio/quartetto, e la prossima reissue riguarderà il live album “Live Leaves” originariamente pubblicato nel 2012, in una nuova edizione prevista per il 2 settembre, che festeggia il decimo anniversario dalla sua uscita, e si può pre-ordinare a questo indirizzo.

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Codeine, a settembre in arrivo un album inedito del 1992

Continua l’opera meritoria della Numero Group, label specializzata in ristampe e nello scavare tra gli archivi di band fondamentali del post–hardcore americano degli anni Novanta (Karate, Unwound) e in generale di altre formazioni indie rock, con l’obiettivo di ritrovare chicche inedite e altre registazioni perdute o dimenticate, e mai pubblicate e farle uscire.

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BRIAN JONESTOWN MASSACRE – FIRE DOESN’T GROW ON TREES

Torna l’inossidabile Anton Newcombe, icona a tutto tondo della scena neopsichedelica degli ultimi tre decenni, e lo fa rimettendo in moto la sua creatura prediletta, autentica croce e delizia, i Brian Jonestown Massacre, arrivati ormai al diciannovesimo capitolo (che arriva a tre anni di distanza dall’ultima fatica discografica omonima) del loro stonato e scoglionato, turbolento ma anche coerente e fiero percorso musicale che dura dall’ormai lontano 1990. “Fire Doesn’t Grow on Trees” è il risultato di una rinnovata ispirazione (non ancora terminata: il nostro ha già annunciato di avere in cantiere un nuovo disco, la cui uscita è in programma nel mese di ottobre) che segna una nuova rinascita artistica di Newcombe che, dopo un periodo di blocco creativo, ha impiegato fruttuosamente questi ultimi due anni contrassegnati dallo stop forzato a concerti e tour mondiali, dovuto alla pandemia da covid-19, per ritrovare la vena compositiva che gli ha sfatto sfornare un prolifico lotto di nuove canzoni (almeno sessanta negli ultimi due anni) dal quale sono stati estratti i dieci brani che formano questo nuovo Lp e, in fatto di psichedelia fuzzata, ormai raggiunto sul campo un importante livello di stima e rispetto guadagnato sia presso il mainstream, sia in termini di credibilità underground (pur rimanendo nell’ambito etico dell’essere indipendenti e prodursi da soli gli album) i BJM hanno pochi rivali quando si tratta di riproporre una formula sonica che fa sempre affidamento sugli stessi stilemi (Velvet Underground, Spacemen 3, Galaxie 500, My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain, Stones, Floyd Barrettiani) e sa miscelarli sapientemente in un riuso intelligente (o furbo?) di immagini e suoni del passato, ricontestualizzati in uno scenario sognante tardo-hippie, come frammenti di un pianeta “altro” ricuciti nel qui e ora per far godere l’ascoltatore delle visioni lisergiche musicate dal vulcanico frontman californiano (ma di stanza a Berlino, dove incide i suoi dischi nel suo studio di registrazione) Newcombe.   La comune psichedelica dei Brian Jonestown Massacre si arricchisce quindi di un nuovo Lp, che certo non si risparmia quanto a litanie epiche (come nell’iniziale “The Real” o in “Whats in a name?“) suoni spaziali e droni (“Before and afterland“) groove noise pop accelerati (“Ineffable Mindfuck“, “Don’t let me get in your way“) tamburini, stomp psych (“Silenced“, “#1 lucky kitty“) echi Morrisoniani (“Wait a minute“, “You think I’m joking?“) le immancabili maracas (“It’s about being free really“) e una azzeccata combinazione di chitarre acustiche ed elettriche.   “Il fuoco non cresce sugli alberi“, come del resto anche il denaro, e ci piace pensare che il titolo del disco rappresenti un invito per tante persone a non starsene con le mani in mano, tornare a vivere e lottare, non lasciarsi trascinare alla deriva dal mare di questi anni di merda e tentare di fare qualcosa di importante per se stessi e per gli altri, sviluppando il proprio “fuoco”, coltivandolo, migliorandolo e confrontandolo ogni giorno con quello di altre anime simili, mettendolo alla prova e non permettendo alla propria fiamma (sia essa creativa, di un particolare talento, sia anche quella della “semplice” volontà di rendere questo mondo un posto meno schifoso di quel che è oggi) di essere spenta da niente e nessuno.

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E’ morto Van Christian (Green on Red, Naked Prey)

Ci ha lasciati, a 62 anni, anche Van Christian, musicista originario di Tucson (Arizona). Era afflitto, da diverso tempo, da problemi cardiaci.   Nato il 4 luglio e morto il 5 luglio, a un solo giorno di distanza dal suo compleanno, Van Christian è stato un performer rispettato e stimato all’interno della scena desert rock americana, personaggio umile, anti-rockstar e iconoclasta, protagonista soprattutto della scena punk e post-punk di Tucson e della comunità del Paisley Underground, movimento underground rock sviluppatosi nella vicina California nella prima metà degli anni Ottanta, al quale lui ha dato un importante contributo, prima fondando nel 1979 i Serfers (dei quali, inizialmente, è stato batterista) che in seguito cambiarono nome in Green on Red, e poi diventando, nel 1981, chitarrista e frontman dei Naked Prey, con cui ha registrato cinque studio album e tre Ep all’insegna di un matrimonio sonoro tra ruvido country rock e folk rock distorto, ottenendo un certo seguito in Europa, prima che la band congelasse le sue attività dalla fine degli anni Novanta a oggi, salvo occasionali reunion, e prendendo parte anche a diversi side projects. Il lungo silenzio discografico del songwriter era stato interrotto nel 2013 dal debutto solista, “Party of One“, pubblicato dalla label italiana Lostunes Records.  

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