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Dalla letteratura all’attualità, dalla filosofia all’arte: a noi interessa tutto. Purché non ci si annoi.

The Chats, ad agosto il nuovo album. Ascolta i primi estratti

I giovani e irriverenti punk rockers australiani Chats, stanno per tornare con un nuovo album, il loro secondo complessivo, che arriverà a due anni di distanza dall’esordio “High Risk Behaviour“. La nuova fatica del trio del Queensland si intitola, tanto per gradire, “Get Fucked“, e uscirà il prossimo 19 agosto su Bargain Bin Records.   La band di Sunshine Coast (che da oltre un anno ha visto la partenza del chitarrista e membro fondatore Josh “Pricey” Price, sostituito dall’ex chitarrista degli Unknowns, Josh Hardy) formatasi nel 2016, ha spiegato di aver composto i brani del disco, come avvenuto già nel 2020 per l’album di debutto, durante la pandemia da covid-19, nel giro di sei giorni, e recentemente aveva già condiviso un primo singolo, “Struck by Lightning“, al quale ha fatto seguito, pochi giorni fa, la pubblicazione di un nuovo estratto, l’opener “6L GTR“, accompagnata da un videoclip animato, realizzato dall’artista Marco Imov.   Qui e qui è possibile effettuare il pre-order del 7″ e dell’Lp.   Di seguito artwork, tracklist e streaming del singolo.   1. 6L GTR 2. Struck By Lightning 3. Boggo Road 4. Southport Superman 5. Panic Attack 6. Ticket Inspector 7. The Price of Smokes 8. Dead on Site 9. Paid Late 10. I’ve Been Drunk In Every Pub In Brisbane 11. Out On The Street 12. Emperor of the Beach 13. Getting Better

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GRAHAM DAY – THE MASTER OF NONE

Tra le conseguenze scatenate sul nostro pianeta dalla pandemia da covid-19, in questi ultimi tre anni, almeno una non ha avuto effetti collaterali nefasti e ci ha regalato, finalmente, la prima opera solista di Graham Day, autentico totem della scena garage rock revival esplosa in Inghilterra nei primi anni Ottanta, che non ha bisogno di molte presentazioni (chitarrista, frontman e membro fondatore di diverse band, collaboratore della leggenda vivente del garage rock britannico Billy Childish) e torna incidere materiale per la label Countdown Records, per la quale aveva già registrato coi suoi Prisoners. Questo “Master Of None“, da quanto si apprende, ha avuto una gestazione lunga e tortuosa, coi brani inizialmente strutturati per essere parte del terzo Lp dell’ultima incarnazione di Graham Day, i Gaolers, prima che il lockdown bloccasse le operazioni, procrastinando prove e registrazioni in studio per un tempo indefinito, e così i demo delle nuove canzoni sono stati ripensati per un lavoro solista, con Graham a incidere le parti vocali e tutti gli strumenti. E, a dispetto del titolo, padroneggia alla grande la situazione, donandoci la sua riuscita miscela di garage rock, psichedelia, beat e power pop shakerati in dodici cocktail compatti dal sapore deciso, che sembrano il risultato di un disco registrato in presa diretta da una full band invece che un one-man project. Il disco si apre col garage fuzz di “A Rose Thorn Sticking in your Mind’s Eye” e prosegue su coordinate Kinksiane nella successiva “Out of Your Narrow Mind“, mentre la title track è un solido garage/Mod rock sullo stile (velocizzato) dei primissimi Who, che aleggiano anche in “Stranger on a Joyride“, e coi Kinks di nuovo a fare capolino nel grintoso beat/punk “I will let you down“. Il power pop di “A grain of sand” chiude il lato A aggiungendo un maggiore gusto melodico alla ricetta. Ma la side B irrompe subito attraverso l’aggressivo garage rock di “You Lied To Me” (primo singolo estratto dal 33 giri) brano che sembrerebbe ispirato dai bostoniani Lyres e dalla loro “Help you Ann“, soprattutto nel vibrato chitarristico. Ancora la band dei fratelli Davies e gli Who sono ben presenti tra le ispirazioni principali di Graham Day, che sembra tributare un altro omaggio musicale agli irripetibili anni Sessanta inglesi nel pezzo “Eyes are upon you“, tra chitarre à la Kinks e melodie vocali alla Daltrey/Townshend/Entwistle. Ma c’è anche spazio per un momento soul malinconico di derivazione Motown (con tanto di linee di Hammond) in “Don’t hide away“, il quale però lascia subito il posto a un altro travolgente garage/beat, “Pointless Things“, perfetto per far saltare e ballare il pubblico in sede live. “All that you became” è un altro buon numero Sixties oriented (melodie Beatlesiane e profumi di Nuggets) e la conclusiva “Time is Running Out” è una riflessione sull’impatto devastante che l’inquinamento prodotto dal genere umano sta avendo sull’ambiente dell’intero globo, tra ritmi frenetici e passaggi di chitarra suonati al contrario che quasi emulano il suono del nostro ecosistema che l’essere umano sta distruggendo con le sue stesse mani. “The Master Of None” è un album che, seppur forgiato in circostanze particolari, dimostra che la scena garage-beat inglese del Medway è viva e in salute, prova ne sia l’ascolto di questi dodici brani di breve durata (tutti sui tre minuti, o poco meno) ricchi di uncini melodici e tanti riff azzeccati, innestati su un sound che arriva ancora fresco e immediato. Great job. TRACKLIST 1. A Rose Thorn Sticking in Your Mind’s Eye 2. Out of Your Narrow Mind 3. The Master of None 4. Stranger on a Joyride 5. I Will Let You Down 6. A Grain of Sand (That Gets Washed Out To Sea) 7. You Lied To Me 8. Eyes Are Upon You 9. Don’t Hide Away 10. Pointless Things 11. All That You Become 12. Time is Running Out

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JON SPENCER & THE HITMAKERS – SPENCER GETS IT LIT

Ci sono dischi che segnano periodi della vita nei quali si decide di chiudere un cerchio e andare avanti, aprendo un nuovo capitolo della propria esistenza, e ciò vale anche per la propria parabola musicale. E così, a sette anni dall’ultima fatica discografica coi suoi Blues Explosion, l’icona garage/blues/trash/punk Jon Spencer ha da poco annunciato di avere chiuso (definitivamente?) la trentennale esperienza col progetto JSBX, che gli ha dato visibilità e notorietà a livello internazionale con album incendiari di punk-blues (senza tuttavia rinunciare alle ibridazioni con generi lontani dal rock ‘n’ roll, come le sperimentazioni fatte con funk, hip hop e musica elettronica in alcuni dischi incisi nella seconda metà degli anni Novanta, sia come Jon Spencer Blues Explosion sia coi Boss Hog, band in cui milita anche la frontwoman e moglie Cristina Martinez) e concerti e tour altrettanto pirotecnici, dei quali ne è testimonianza l’ultima pubblicazione, datata 2016, di un live album, a cui erano seguiti 6 anni di silenzio, finché non è stata messa la parola “fine” all’avventura. Oggi, chiuso un capitolo importante, mister Spencer ci informa di essere tornato con un suo nuovo gruppo, gli HITmakers , affermando che, da ora in poi, saranno la sua priorità, ed è di qualche settimana fa la pubblicazione di un nuovo Lp (prodotto dallo stesso Spencer, a quattro mani con Bill Skibbe) intitolato “Spencer Gets It Lit” e uscito su In The Red Recordings, Bronze Rat e Shove Records.   Gli HITmakers sono una band capeggiata da Spencer (voce e chitarra) e completata da Mr. Sord alla batteria, Bob Bert alle percussioni “trash” (sì, il suo ruolo in studio e sul palco è proprio quello di suonare i bidoni della raccolta differenziata come uno strumento)  e Sam Coomes alla voce, organo e synth. A dire il vero, questi musicisti si esibiscono dal vivo già da qualche anno con Jon e, in realtà, buona parte di questa line up (Coomes, oltre al produttore Skibbe, e Sord, presente sull’ultimo Lp dei Boss Hog, per non parlare di Bob Bert, già nei Pussy Galore con Jon) aveva già preso parte, nel 2018, alle registrazioni di “Spencer Sings The Hits!“, in teoria primo “album solista” del menestrello elettrico del New Hampshire, ma newyorchese di adozione. A questa formazione si è aggiunta, per le date dal vivo, anche Janet Weiss, che, insieme a Coomes, forma anche il duo dei Quasi, che sta accompagnando in tour (o meglio, si sta interscambiando tra le due band) gli HITmakers. Ma non chiamatelo “supergruppo”, sarebbe meglio definirli una s-gang-herata fauna un po’ attempata che vuole ancora prendere a calci in culo il buonismo e la pulizia del rockettino insipido odierno che passa su TV e radio generaliste.   Da “Spencer Gets It Lit” non bisogna però aspettarsi un disco rivoluzionario, indimenticabile, spartiacque, che faccia gridare al miracolo e che sia capace di segnare questa epoca: nessuno lo ha chiesto al buon Spencer, in fin dei conti, e di sicuro non è questo il suo ruolo nel panorama rock ‘n’ roll di oggi, dove egli conserva comunque una consolidata reputazione di animale da palcoscenico e una sua nicchia di estimatori e fan-atici.  A 57 anni suonati, Spencer “si accende” ancora, parafrasando il titolo dell’Lp, ma non si può pretendere che suoni sempre rock ‘n’ roll con la stessa foga e ferocia elettrica, lo stesso ardore e la carica ormonale esuberante dei venti-trenta anni, anche se dal vivo spacca ancora il culo ai passeri e può tranquillamente insegnare a centinaia di frontman e gruppettini insulsi come si sta su un palco. Da Jonathan Kirk Spencer non ci si può attendere che torni a sfornare (capo)lavori  disturbanti, spaccatimpani o irriverenti come ai tempi dei Pussy Galore, degli Honeymoon Killers, degli Heavy Trash, dei Gibson Bros., dei primi Boss Hog e dei Blues Explosion, è chiaro. Il suo lo ha ampiamente fatto e noi non possiamo fare altro che ringraziarlo per il suo passato e gli ordigni di R’N’R in bassa fedeltà che ci ha lasciato, e ora che è (quasi) arrivato alla soglia dei 60 anni è anche giusto che gli si possa concedere il diletto di cimentarsi nel fare tutto ciò che vuole, sbattendosene il cazzo di tutti, pur mantenendo la discriminante della qualità della sua proposta. Oggi possiamo accontentarci di ottimi album di mestiere, come nel caso di questo “Gets It Lit” e dello stesso precedente “Sings The Hits”: dischi suonati per il gusto di farlo, senza la pretesa di cambiare la storia del rock (una storia in cui ormai non si inventa più nulla ed è stato già detto, fatto, scritto, sperimentato, filmato e suonato tutto) ma con la voglia di continuare a divertirsi e a andare in giro per il mondo a fare casino live on stage, perché il rock ‘n’ roll ci fa sentire giovani dentro, imbracciando una chitarrozza distorta anche a 80 anni.   Schegge di furia primordiale sprizzano ancora fuori da brani come l’iniziale “Junk Man” (titolo appropriato, visto che negli HITmakers c’è un membro che percuote i cassonetti della spazzatura…) dal feeling dignitosamente lercio conferitogli dalle stilettate di organo e altri effettacci, con delle liriche (“You talk about gold, but you’re selling trash, you’re just a junk man”) che potrebbero benissimo utilizzate per descrivere, ad esempio, l’operato degli attuali politicanti che siedono al governo-parlamento italiano, statunitense e della cosiddetta Unione Europea. E anche nella seconda traccia, “Get it right now“, il suono è on fire e imperniato su un garage stomp à la Blues Explosion infettato da suoni di synth, mentre “Death Ray” si dipana lungo ipnotici riff reiterati che sfociano quasi nel surf (sempre insudiciati da effetti electro).  “The worst facts” è un drone contorto chitarra/percussioni/effetti in cui il Nostro sembra quasi prevedere il futuro del rock ‘n’ roll come un genere musicale (e soprattutto una attitudine) in via di estinzione, proiettando la visione del se stesso vecchio trombone anziano che ha appeso strumenti e ugola al chiodo e si lamenterà del fatto che “people don’t play that way anymore“. Il veterano del garage rock si diverte a destrutturare il suo amore viscerale per il blues per poi ricostruirlo e dargli nuovi connotati, siano essi freak noise che ricordano da vicino i JSBX (“Primary Baby“, “Strike 3” e il minuto e 58 secondi di “Push comes to shove“) derive electro-funk  (“Worm Town“, “Layabout Trap“) garage pop (“Bruise“) soul-rock intimista (“My hit parade“) trip psichedelici deformati (“Rotting Money“) e boogie (nella conclusiva “Get up & do it“).   “Spencer gets it lit”, nel suo insieme, è un disco compatto, che non ha cali di tensione, e che il suo principale autore ha addirittura definito “il più intransigente mai realizzato”, e noi non possiamo che essere fieri di questa sua coerenza nel portare avanti un percorso di rock ‘n’ roll senza compromessi da oltre tre decenni, sempre dissacrante e iconoclasta, rifiutando l’omologazione, ma a suo agio nello sguazzare nel putridume della società (senza tuttavia adeguarsi alle sue regole) e trovare nei suoi bassifondi l’ispirazione per comporre ancora nuova arte, in un contesto urbano degradante tra fogne a cielo aperto, corruzione, immondizia marcita al sole, rumorismo contenuto, mostri e antieroi. Dite quel che volete, ma io preferisco ancora un losco figuro come Spencer a questa attuale ondata di band post-post-punk pulitine incensata e pompata dalla stampa musicale cartacea e digitale.   TRACKLIST   1. Junk Man 2. Get It Right Now 3. Death Ray 4. The Worst Facts 5. Primary Baby 6. Worm Town 7. Bruise 8. Layabout Trap 9. Push Comes to Shove 10. My Hit Parade 11. Rotting Money 12. Strike 3 13. Get Up & Do It  

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Ty Segall, a luglio il nuovo album. Ascolta il primo singolo

Ty Segall non è certo il tipo di artista che ama restare con le mani in mano per tanto tempo, e non è un musicista che ama cullarsi sugli allori e rimanere fermo e inattivo per troppi mesi o un anno. E così, a un anno di distanza dall’ultimo studio album, “Harmonizer” (escludendo la sua ultimissima produzione, la colonna sonora per “Whirlybird“, documentario di Matt Yoka del 2020) il menestrello californiano ha annunciato la pubblicazione del suo ventesimo disco solista, che si intitola “Hello, Hi” e uscirà il prossimo 22 luglio su Drag City Records. Qui è possibile effettuare il pre-order. Il 33 giri è stato inciso dal (quasi) trentacinquenne di Laguna Beach basandosi principalmente su registrazioni casalinghe, e in questi giorni è stato diffuso il primo (distorto heavy rock) singolo estratto dall’Lp, la title track omonima, “Hello, Hi”. Di seguito artwork, tracklist dell’album e streaming del singolo. 1. Good Morning 2. Cement 3. Over 4. Hello, Hi 5. Blue 6. Looking at You 7. Don’t Lie 8. Saturday Pt. 1 9. Saturday Pt. 2 10. Distraction  

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Intervista Francesca Bianchi & Marco Simi

Intervista Francesca Bianchi & Marco Simi : Marco e Francesca sono delle persone bellissime che vi invito a conoscere perché sono una coppia meravigliosa, vi invito soprattutto a posare per loro perché mettersi a confronto con l’obiettivo fotografico e con una visione di sé filtrata da un’occhio esterno è, in generale, un’esperienza formativa che fa mettere in discussione la maggior parte delle volte, soprattutto se vi affidate ad un occhio critico che sa il fatto suo.

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Honeymoon Killers, recuperato un album inedito

Secondo quanto riportato dal sito britannico Pop-Catastrophe.co.uk,  molto vicino alle vicende che riguardano la parabola musicale di Jon Spencer e le sue varie incarnazioni, è stato ritrovato un album inedito registrato dagli Honeymoon Killers, alternative/noise/punk blues band di New York attiva nella seconda metà degli anni Ottanta e scioltasi nel 1994. Questo disco sarà pubblicato postumo (diventando il sesto Lp ufficiale della discografia del gruppo) il 20 maggio sull’etichetta basca Bang! Records (in esclusivo formato vinile) ed è stato intitolato “The Love, The Lost and The Last“. E’ stato inciso nel 1991 con una line up che comprendeva, oltre a Lisa Wells al basso e il futuro Chrome Cranks/Knoxville Girls Jerry Teel (chitarra, voce e armonica) anche tutti i tre membri che, di lì a breve, avrebbero dato vita alla Jon Spencer Blues Explosion band (Jon Spencer e Judah Bauer alle chitarre e Russell Simins alla batteria) e quest’ultimo 33 giri rappresentò un’evoluzione sonora nella band, che inglobava elementi del sound dei Pussy Galore e dei nascenti Blues Explosion nella formula degli Honeymoon Killers, e furono incise anche due cover, una dei Ramones e una degli Scientists. Qui e qui è possibile effettuare il pre-order. Di seguito, artwork e tracklist dell’album. Side 1 1. Guess I’m Falling In Love 2. Love Man 3. Oh Oh I Love Her So (Ramones cover) 4. What Love Is 5. Love Love Love Love Love 6. Love Is All Around Side 2 1. Who’s Driving Your Plane? 2. Dead Again 3. Doesn’t Matter 4. What’s That? 5. Murderess In A Purple Dress (Scientists cover) 6. Joe’s House

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The Saints, è morto Chris Bailey

Un altro orrendo avvenimento ha colpito la comunità mondiale del rock ‘n’ roll. Nella serata del 9 aprile, infatti, ci ha lasciati, a 64 anni, Chris Bailey, frontman, cantautore, musicista e produttore australiano, noto soprattutto per aver co-fondato e guidato i Saints, seminale rock ‘n’ roll band originaria di Brisbane. La notizia della morte (le cui cause non sono state ancora rese note) è stata purtroppo confermata dai profili social dello stesso gruppo. Nato in Kenya nel 1957 da genitori irlandesi, Christopher James Mannix Bailey (questo il suo nome completo all’anagrafe) ha trascorso l’infanzia a Belfast, prima di trasferirsi con la famiglia in Australia, a Brisbane, dove all’età di 16 anni, insieme agli amici Ed Kuepper (alla chitarra) e Ivor Hay (alla batteria) che frequentavano la stessa high school, formò nel 1973 gli Eternals, che l’anno successivo si ribattezzarono Saints, band oggi riconosciuta come prime mover (insieme ai Radio Birdman e ai primi AC/DC con Bon Scott) che ha tenuto a battesimo la scena rock aussie underground e mainstream, un movimento che tante gemme e cult band avrebbe sfornato dai primi anni Ottanta in avanti, ma soprattutto un combo tra i precursori mondiali del punk rock, che nel febbraio 1977 diede alla luce “(I’m) Stranded“, Lp dal sound slabbrato e grezzo, oggi rivalutato e considerato, all’unanimità, uno tra gli indiscussi capisaldi della prima scena punk e uno degli album di debutto più incendiari della storia del rock ‘n’ roll tutto (a tal proposito, dell’album in questione e del suo contesto musicale, che ha da poco compiuto 45 anni dalla sua uscita, si è già parlato in maniera dettagliata in una nostra nuova rubrica di approfondimenti e retrospettive, “FLASH ON YOU“). Bailey è stato l’unico membro fondatore della band a far sempre parte delle varie line up dei Saints succedutesi nel corso dei decenni, e che hanno prodotto sedici studio albums (dei quali l’ultimo, “King of the Sun”, è stato inciso nel 2012) e altro materiale tra Ep, compilation e dischi dal vivo. Nel corso degli anni Chris, oltre a cantare, ha suonato anche chitarra e basso e, negli anni Ottanta, intraprese anche un percorso da artista solista in cui pubblicò sette album, un Ep, due raccolte e svariate apparizioni su diverse compilation.

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