iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999

Blog

Dalla letteratura all’attualità, dalla filosofia all’arte: a noi interessa tutto. Purché non ci si annoi.

Luna Nuova Di Ian Mcdonald

Ian Mcdonald: Sono anni fortunati per le traduzioni italiane di Ian McDonald, dopo i successi di Desolation Road e de Il Fiume degli Dei..

LEGGI »

Note sui 25 anni di “Come On Die Young” dei Mogwai

Venerdì 29 marzo, mattina presto. Piove a dirotto, il cielo plumbeo sembra il diaframma di un enorme animale: pulsa, vibra. Mai domo, muove acqua e venti, sposta le onde del mare con la forza incontenibile di un megalodonte. Solo, nella stanza, osservo la mia copia personale di Come On die Young. Ce ne sono tante come lei, ma questa è la mia; comprata all’uscita, esattamente 25 anni fa, è più che un semplice oggetto. Le vibrazioni che mi trasmette, anche solo al tocco, sono qualcosa di indicibile, qualcosa che si avvicina al vero senso del tutto. Già, perché questo, per me, non è un album qualsiasi, è un vaso, una sorta di intelletto universale, un contenitore metafisico di essenza ineffabile. “And that music is so powerful that it’s quite beyond my control and, uh, when I’m in the grips of it I don’t feel pleasure and I don’t feel pain, either physically or emotionally Do you understand what I’m talking about? Have you ever, have you ever felt like that?” Non lo ascolto molto spesso; quasi mai, a dire il vero. Perché mi travolge, ogni fottuta volta mi prende al petto e mi fa stare male. E il problema è che non capisco mai, una volta ultimato l’ascolto, se esso abbia avuto o meno un effetto catartico: invece di sublimarle, mi pare che accentui sensibilmente le emozioni più irrefrenabili che covano dentro me. È un amplificatore di pulsioni, quindi lo devo prendere a dosi molto, molto ridotte, altrimenti rischio davvero di stare male. Soprattutto in questo periodo, in cui mi sento travolto da un vortice di emozioni incontrollabili, in cui sono particolarmente vulnerabile, non dovrei neppure avvicinarmi a un disco del genere, mai e poi mai. Purtuttavia, vista l’occasione speciale, non ho potuto non concedergli un ascolto. Glielo dovevo. “Old songs stay ‘til the end Sad songs remind me of friends And the way that it is, I could leave it all And I ask myself, would you care at all?” Questo disco non è certo un capolavoro, tutt’altro: è pieno di difetti e imperfezioni; è scostante, troppo lungo e un po’ monotono. I Mogwai hanno fatto decisamente di meglio nel corso della loro lunga carriera. Ed è questa una caratteristica che me lo fa sentire ancora più vicino: non amo la perfezione, non l’ho mai amata e di certo non l’anelo; anzi, la rifuggo il più possibile, perché non mi rappresenta e non mi soddisfa. Le cose che sento più affini sono proprio quelle che hanno la forma di Come On Die Young, quelle cose che meglio riflettono il vero aspetto delle cose. Già, perché non ce la faccio proprio a concepire un universo teleologicamente determinato verso l’autorealizzazione di sé: mi sento naturalmente più vicino al caos, a ciò che dritto non è e che qualcosa che non funziona ce l’ha eccome. Ecco perché questo è uno dei miei dischi della vita, ecco perché oggi ne festeggio i venticinque anni. Grazie, Come On Die Young.

LEGGI »

Daikichi Amano

Daikichi Amano è un fotografo giapponese, Richiama a riti tribali e viaggi sciamanici nei nostro intestino.

LEGGI »

Intervista Algos

In questa intervista, Massimiliano Elia, uno dei fondatori della band, ci parla della nascita degli Algos, del loro approccio alla musica e dei loro progetti futuri.

LEGGI »

Intervista No Man Eyes

Intervista al chitarrista della band genovese No Man Eyes Spane, che ci spiega la genesi del loro ultimo ottimo disco “Harness the sun” e di tanto altro.

LEGGI »

Intervista Alos

Lasciati incantare dallo sciamanesimo e dalla magia di Alos con Stefania Pedretti. Scopri il significato nascosto di Embrace the darkness in un’intervista straordinaria a cura di Massimo Argo.

LEGGI »

Confessioni di una maschera “580” Febbraio MMXXIV

Recentemente ho scelto di portare sulle pagine di Libroguerriero “La vita di chi resta”, il romanzo di Matteo B. Bianchi dedicato a chi si ritrova catapultato in quell’inferno terreno conseguente al suicidio di una persona cara. Nonostante l’argomento mi tocchi molto da vicino, non ho pensato nemmeno per un istante alla possibilità di chiedere a qualcun altro della redazione di farlo al mio posto. Non ci si libera del dolore di queste dinamiche mettendo la testa sotto la sabbia, fingendo che non sia toccato a noi, illudendoci che riempiendo la nostra vita di mille altre cose, si possa dimenticare la sofferenza. Finiremmo per fare come chi colleziona acciacchi immaginari, pur essendo sanissimo, convinto che questo possa in qualche modo proteggerlo dalle malattie reali. L’oblio non serve a nulla. Nella mia vita, priva, o quasi, di certezze, uno dei pochi punti fermi è rappresentato dall’impossibilità – e dall’inutilità – di evitare il confronto con il passato, ostentando sicurezze irreali. Esacerbare il dolore può, razionalmente, non essere la via maestra per venire a patti con la vita. Ma è senza ombra di dubbio il modo migliore per iniziare a conviverci. Fingere che non sia toccato a noi, o semplicemente allontanarne il ricordo, possono, nell’immediato, farci star meglio, ma alla lunga dovremo esser pronti a fare i conti con noi stessi. Come dice anche Bianchi nel suo romanzo, questo è un dolore da cui non è semplice affrancarsi. Affermazione incontrovertibile, cui però sento di dover aggiungere che ce lo porteremo dietro per sempre, e, anche quando penseremo di essere riusciti a metterlo in quell’angolo del cuore più nascosto, in cui può farci meno male, ce lo ritroveremo davanti, forte e fiero come se fosse successo tutto il giorno prima, e il tempo passato non fosse mai esistito. Il suicidio non è un dolore qualunque. È un qualcosa che uccide sia chi lo mette in atto che chi resta. È uno spartiacque nelle nostre vite, e che sancisce, in modo inappellabile, che non saremo mai più quelli di prima. Quello che ero un tempo non esiste più, è morto in quel sabato di settembre del duemiladiciannove, e non tornerà. Ora sono “altro”. Un qualcosa di indefinito che non ha preso la sua forma definitiva, che si sta modellando sotto i colpi di un incontro scontro con me stesso che non mi lascia tregua, ricondizionato da tutto quello che il destino mi mette tra le ruote in questa nostra corsa verso l’estinzione. Secondo Bianchi “Il dolore è un anestetico. Avvolge, protegge. Mi rende inattaccabile anche dalle cattiverie del mondo. Possono dirmi, farmi qualunque cosa, non reagisco, non mi importa Sono già passato attraverso il peggio. Non può succedermi nient’altro.” Io invece credo che al peggio non c’è mai fine. Il ricordo di quei drammatici momenti non serve per anestetizzare tutto il male del mondo con cui mi devo confrontare quasi quotidianamente, in ogni sua forma e manifestazione. Sono due dolori diversi, figli di due dinamiche contrapposte. La prima ci ha ucciso, la seconda ci tiene vivi. Quando ripenso a DR capisco che quello che oggi mi manca di più sia la sua voce, intesa come capacità di analisi e di giudizio. In un mondo in cui è sempre più difficile trovare qualcuno che abbia davvero qualcosa da dire, e che sia soprattutto capace di ascoltare, anziché specchiare il proprio ego in conversazioni unidirezionali, DR rappresentava la mia necessità di confronto. Non fatico a individuarlo come la persona da cui abbia tratto i maggiori (e migliori) insegnamenti, quella che non solo mi ha ridato la voglia di fare, ma che mi ha anche ricordato l’importanza dei sentimenti, e della necessità di rallentare mentre tutti corrono sempre più velocemente incontro all’estinzione. L’unico mio rammarico sta nel non esser riuscito a intercettare il suo pensiero in quei giorni. Avrei voluto che avvisasse della sua intenzione di scendere in corsa prima dello schianto finale cui siamo destinati. Non lo avrei giudicato per la scelta. Non avrei cercato di disilluderlo dal suo progetto. Mi sarei limitato ad abbracciarlo sapendo che sarebbe stata l’ultima volta in cui ci avremmo sorriso insieme. È fin troppo ovvio che qualunque cosa gli avessi detto non sarebbe servita a nulla, men che meno a farlo desistere dalle sue intenzioni. Mi sarei accontentato di parlarne insieme, cercando il modo più indolore per evitare di ferirci ulteriormente, perché, come sottolinea il romanzo, il problema è tutto per “quelli che restano”. L’avrei fatto. E potendo tornare indietro lo farei. Consapevolmente incurante di andare a infrangere l’articolo 580 del Codice di Procedura Penale, “Istigazione o aiuto al suicidio”, che recita testualmente: Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, e’ punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Non mi sono mai preoccupato della legislazione. In tutte le occasioni in cui ho ritenuto di doverla infrangere l’ho fatto, consapevole dei rischi e delle conseguenze, ma fermamente convinto dei miei propositi. Non è mai stata, e non sarà, una legge che considero iniqua il freno alle mie intenzioni. Le ho infrante e continuerò a infrangerle. Pagherò quello che ci sarà da pagare, in nome di un reato che lo Stato considera tale, ma che non solo non riconosco, ma che inquadro come l’unica strada per esercitare il mio libero arbitrio. Rileggendo quest’ennesima “confessione” sorrido pensando che sono oltre trent’anni che sono pagato per tenere in vita le persone, e stavo per aiutarne una a morire. Un paradosso, ma solo per chi ragiona in modo unilaterale e superficiale. Non per me, e non per chi, come me, tocca il dolore e vede spegnersi gli occhi delle persone a cui tiene, e non può nemmeno immaginare la disperazione che si cela dietro a freddi sorrisi di circostanza, e routine che mascherano l’attesa per il gesto liberatorio.

LEGGI »

Centri commerciali

I centri commerciali dai soffitti come cattedrali, che si innalzano verso quegli dèi creatori che fanno loro percepire le compere come atti di fede…

LEGGI »

Space Yantra

Ho raggiunto via email gli Space Yantra nel bel mezzo del loro viaggio in Amazzonia per una chiacchierata, ecco cosa ne e venuto fuori. Di Andrea Parodi.

LEGGI »