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Dalla letteratura all’attualità, dalla filosofia all’arte: a noi interessa tutto. Purché non ci si annoi.

WILD BILLY CHILDISH & CTMF – FAILURE NOT SUCCESS

Puntuale e preciso, come ogni anno, torna a timbrare il cartellino (discografico) il nostro poliedrico menestrello del Kent, “Wild” Billy Childish con una delle sue numerose incarnazioni, i CTMF (Chatham Forts) giunti al loro nono album complessivo, questo “Failure not success“, uscito su Damaged Good Records e arrivato a quasi due anni di distanza dal precedente “Where the wild purple iris grows“. Il trio, che vede Billy (accantonata, per ora, la serie di release col moniker William Loveday Intention, di marcata ispirazione BobDylaniana) coadiuvato, come sempre, dalla moglie Julie “Juju” Hamper al basso/backing vocals e da Wolf Howard alla batteria, ritorna a deliziare i palati degli amanti del garage rock con un altro disco ruvido e ruspante, in cui l’attitudine punk degli Headcoats, dei Milkshakes e dei Mighty Caesars si mischia coi vecchi amori Fifties-Sixties di Childish (musica strumentale, Link Wray, Who e Kinks). Una riuscita cover di “Love comes in spurts” di Richard Hell and the Voidoids (tra l’altro già presente nel set degli Headcoats da fine Nineties) apre l’Lp, che poi prosegue sciorinando subito la title track, che forma un trittico (insieme a “Hanging By a Tenuous Thread” e “Becoming unbecoming me“) già proposto da Billy nei suoi esorcismi Dylaniani del William Loveday Intention, e viene qui risuonato in chiave garage rock. Echi degli Who si odono fragranti in “Beneath the flowers serprents” (che di fatto è l’unico brano originale e inedito dei dodici presi in rassegna) il twang di Link Wray rivive nella strumentale “Walk of the Sasquatch” (già incisa dal Guy Hamper Trio) per tre minuti resuscita anche Jimi Hendrix nel rifacimento di “Fire“, seconda cover del full length (registrata anche l’anno scorso, in versione strumentale, ancora dal Guy Hamper Trio). “The old long bar“, terza riproposizione del lotto, è un singolo folk – prodotto da Childish coi Singing Loins – rielaborato in chiave garage blues. “Come into my life” è un brano dei Mighty Caesars (e coverizzato pure dalle Headcotatees) riadattato a nuova vita, così come le strumentali “Skinwalker” (decisamente LinkWrayana) e l’altra “Moon of the popping trees” facevano già parte del repertorio di un altro degli innumerevoli side projects del nostro (di nuovo The Guy Hamper trio) e la conclusiva “Bob Dylan’s got a lot to answer for” (con tanto di attacco à la “Louie Louie”) è una canzone già edita come singolo nel 2021, qui riarrangiata in una take più breve e decisamente più coinvolgente e in-your-face (quasi un ibrido noise proto-grunge che richiama i Pixies) rispetto a quella del 45 giri. “Failure not success“, oltre a essere la filosofia vita di chi suona un certo tipo di rock ‘n’ roll senza ambizioni da classifica (e gonfiare il conto in banca) e solo per il gusto di farlo, è una variegata raccolta di materiale del recente passato e presente di mister Steven John Hamper, riassemblato per dare un nuovo senso a un percorso musicale e artistico (anche se lui si definisce un amatore/dilettante, benché sia anche scrittore, poeta, pittore e film maker) che va avanti da oltre quaranta anni e non vuole saperne di terminare. Restare fedeli alle proprie origini DIY e radici indipendenti, orgogliosamente “sfigati”, senza svendersi all’orco capitalista. Ma se anche in un giorno non lontano il buon Billy Childish (che va per le 64 primavere) decidesse di appendere gli strumenti al chiodo, saremmo dispiaciuti, ma avremo per sempre le orecchie e il cuore carichi di meraviglia, data l’incredibile messe di materiale sonoro pubblicato, sia da solista sia nelle numerose formazioni in cui ha militato e continua a suonare, sia nella lista di collaborazioni, che elencare tutto è quasi impossibile (probabilmente neanche lui conserverà una copia di tutto ciò che ha creato) e ci resterà per sempre la sterminata produzione di uno dei migliori figli partoriti dal ciclone del punk settantasettino inglese, sempre celebrato meno di quanto meriterebbe, ma che rimane un solido punto di riferimento per la scena rock ‘n’ roll mondiale e un esempio di integrità e coerenza, sempre fedele al verbo dell’indie (quello vero) e un suo credibile praticante. Non ne nascono più di rockers così.  

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BOB CILLO & MAFIA TRUNK – MINIMUM WAGE GUARANTEED

“Un tassista di Chicago, vedendoci carichi di strumenti, esclamò: “Don’t worry, I have a Mafia Trunk!”“. Inizia così, con questa esperienza raccontata a mo’ di sceneggiatura cinematografica, l’avventura del moniker Bob Cillo & MAFIA TRUNK, ma non scambiateli per una gang di paisà malavitosi italo-ammerrecani. O forse qualche nesso c’è, perché il progetto ha salde radici nell’Italia meridionale, e precisamente in Puglia (un quartetto composto dal chitarrista e frontman Bob Cillo dei Dirty Trainload, dal batterista JJ Springfield, proveniente dai Santamuerte, dall’armonicista Mino Lionetti degli Shuffle’s Brothers e dal bassista Maurizio Leonardi dei Sangue) ma la natura della loro proposta musicale affonda mani, piedi, orecchie e cuore in un altro tipo di America, quella del Delta blues e della scuola di Chicago, che ha più a che vedere coi canti degli schiavi afroamericani sfruttati dall’uomo bianco nei campi di cotone, invece che relazionarsi con la mafia esportata dalle famigghie italiane emigrate negli States nei secoli scorsi. Dall’uomo bianco, però, i nostri hanno ereditato la passione sana per il Sixties garage rock slabbrato e fragoroso, che hanno pensato (bene) di miscelare con l’amore per la musica nera, il blues acustico/elettrico di Robert Johnson (citato da Bob e soci per descrivere la loro musica con la frase: “Blues falling down like hall” tratta dal brano “Hellhound on my trail“) Muddy Waters, Howlin’ Wolf, John Lee Hooker, Little Walter, Bo Diddley, BB King, Willie Dixon, Jimmy Reed (e altri) che all’inizio degli anni Sessanta del Novecento è stato saccheggiato proprio dalla British Invasion degli Stones, Kinks, Pretty Things, Yardbirds e company, che pure sono presenti come influenze sonore dei quattro finti picciotti. Una delle uscite più apprezzate di questo inizio 2023, su Ciqala Records, “Minimum Wage Guaranteed” rappresenta l’album d’esordio per Bob Cillo & MAFIA TRUNK, e sono loro stessi a descriversi come “quattro compagni perdutamente innamorati di blues e irrimediabilmente intossicati di garage rock ‘n’ roll“, infondendo nuova linfa vitale nel genere che amano creando un sound di sicuro impatto creativo e freschezza espressiva. Un Lp che profuma di “antico moderno” già dalla copertina, raffigurante un vecchio giradischi (oggetto feticcio tornato di moda negli ultimi anni) e dai suoi solchi viene fuori un passato che dialoga col presente, con sonorità ruvide e dirette che non si limitano solo a far battere il piedino e saltare (come nella trascinante title track posta in apertura, o nella scatenata “Crawling at your door“) ma fa anche riflettere, come nel caso di “Old homeless man” (dedicata alle fasce sociali più deboli, marginalizzate da questa società odierna disumanizzata in cui conta solo l’apparenza e che tira dritto senza guardare in faccia a nessuno, soprattutto i poveri anziani che restano senza fissa dimora a causa di indigenza, e che obbedisce solo al credo capitalistico che ha il culto del dio denaro e il disprezzo/criminalizzazione degli “ultimi”… oggi essere povero è considerata una colpa) e in “Just because you’re paranoid“, incentrato sul modello di società Orwelliana distopica in cui il cittadino è ossessionato dal sapere di essere spiato e costantemente monitorato da un Grande Fratello autoritario che controlla la sua vita. Completano il lotto tre cover di standard della tradizione blues: “Don’t start crying now” di Slim Harpo, “Trouble in mind” di Lightnin’ Hopkins e “I wish you would” di Billy Boy Arnold, tutte reinterpretate con un approccio personale rigoroso ed energico. Un album suonato da “terroni” che rendono omaggio alla musica dei “negri” antenati dei “clandestini” nuovi schiavi morenti e/o sopravviventi sui barconi odierni, e cosa c’è di più politicamente scorretto di questo da rivendicare oggi, soprattutto nella nostra Italietta a trazione fascioleghista? Di sicuro è materiale incandescente che non piacerà ai sovranisti di cartone che gli italioti hanno votato e si meritano.   Minimum Wage Guaranteed by Bob Cillo & Mafia Trunk    

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20 MINUTES – CRAWL!

Esordio bomba che mi ha letteralmente fritto il cervello, questo “Crawl!” dei 20 Minutes, combo dal moniker inglese ma italianissimo negli interpreti, di stanza in Piemonte,

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THE MEN – NEW YORK CITY

Tutte caratteristiche che ho ritrovato in “New York City”, nuovo album dei garage rockers statunitensi Men, sulle scene da ormai tre lustri e giunti oggi al nono album ufficiale, uscito a inizio mese su Fuzz Club Records (e che segna il debutto del quartetto di Brooklyn sull’etichetta inglese) e arrivato a tre anni dall’ultima fatica discografica “Mercy”.

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YO LA TENGO – THIS STUPID WORLD

Yo la tengo : “This stupid world” è un titolo perfetto per riassumere la follia nella quale tutta l’umanità è immersa, un mondo degenerato e sempre più imbruttito da vedere e vivere

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La scomparsa di Dave Trugoy dei De La Soul

David Jude Jolicoeur in arte Dave Trugoy è stato uno dei fondatori e membri del gruppo hip-hop De La Soul, ed è mancato all’affetto dei suoi cari e nostro sabato scorso come affermato dal suo manager.

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BRIAN JONESTOWN MASSACRE – THE FUTURE IS YOUR PAST

Lo aveva promesso a tempo debito, il nostro vecchio caro Anton Newcombe, che per farci ascoltare il ventesimo album ufficiale della sua creatura, i Brian Jonestown Massacre, non avremmo dovuto attendere a lungo, e che il nuovo disco sarebbe arrivato meno di un anno dopo l’ultima fatica in studio, “Fire doesn’t grow on trees” (datato estate 2022). E noi rispondiamo che, parafrasando lo slogan pubblicitario di una nota marca di dolciumi, avere a che fare col materiale dei BJM è sempre un piacere.   E così proprio oggi viene pubblicato “The Future is your past“, long playing composto (come il precedente) nella quasi totalità del lotto, da brani provenienti dalle sessioni di composizione e registrazioni quotidiane (delle quali almeno sessanta sono state pubblicate sul loro canale YouTube) che, tra il 2020 e il 2021, nei vari lockdown dovuti alla pandemia sanitaria da covid-19, avevano risvegliato nel leader Newcombe la sua proverbiale vena compositiva prolifica, dopo un periodo di blocco creativo.   Coadiuvato da Hakon Adalsteinsson alla chitarra e Uri Rennert alla batteria (oltre alla partecipazione del figlio Wolfgang) il polistrumentista Newcombe, californiano di nascita, e berlinese di adozione, arrangia e mette a punto altri dieci viaggi sensoriali (neo)psichedelici (omettendo dalla tracklist, da buon furbacchione quale è, la title track dell’album) facendoci partire per la tangente esplorando i consueti territori ultraterreni, cari a Newcombe, nei quali ritroviamo droni chitarristici, ritmi ammalianti (ok, l’aggettivo “lisergico” è un po’ troppo abusato, nelle recensioni, per descrivere le sensazioni evocate dai dischi di psichedelia) strutture sonore dal sapore orientaleggiante, passaggi vorticosi ardenti di distorsioni e ipnotizzanti paesaggi sonori fuzzati, ampliando l’universo del rock psichedelico dei Brian Jonestown Massacre a elementi blues, folk e pop.   Tutto il meglio del canzoniere Newcombiano risponde “presente” all’appello: il jingle-jangle sound dell’opener “Do rainbows have ends“, la ritmica spezzata dell’agitata “Nothing can stop the sound“, che dalla metà in avanti deflagra in un caos cacofonico) la classica irresistibile cavalcata (neo)psichedelica in “The light is about to change“, il mantra stonato psicotropo di “Fudge” e quello a trazione spirituale in “Cross eyed gods“, vivide atmosfere psych sognanti in “As the carousel swings“, intensità sfrenata in “The mother of all fuckers“, goduriose commistioni di melodia e rumore in “All the feels“, rock ‘n’ roll à la Newcombe in “Your mind is my café” e nenie malinconiche nella conclusiva “Stuck to yous“.   Mentre il popolino italico-italiota in questi giorni si bea dello squallore, ogni anno sempre più imbarazzante, del festivàl di Sanscemo, noi ringraziamo Anton Newcombe e i suoi Brian Jonestown Massacre per l’ennesimo ottimo full length sfornato al momento giusto, e fatto risuonare ad altissimo volume per tenere i nostri timpani occupati e i nostri cuori lontani dal marciume nazional-popolare imperante. Grazie di esister… ah no, questa frase l’ho già sentita in bocca a un fenomeno da baraccone partorito dalla kermesse sanremese. E allora correggiamo il tiro, e al menestrello losangelino/berlinese ci sentiamo di dire, semplicemente: Grazie per esserci ancora.  

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Cosa resta del duemilaventidue

  Un altro anno se n’è andato, portandosi dietro le scorie di dodici mesi costantemente vissuti al di sotto delle nostre possibilità, castrati da un contesto sociale che non riusciamo a modificare in alcun modo. I sogni anche per questa volta sono rimasti tali, immutati nella loro veste illusoria che da troppo tempo costantemente accompagna l’incedere implacabile delle giornate che ritualisticamente consumiamo più per forza di inerzia che per reale interesse. Spinto dalla voglia di capire quanto possa essere condivisibile la mia apatia in seno alla redazione di IYE ho chiesto ai miei compagni di viaggio di buttare giù, senza stare a pensarci troppo, quelle che sono state, a loro avviso le tappe di questo nefasto duemilaventidue 2022 che si è appena spento. Ne è uscita la lista che segue, solo in apparenza un’asettica ridda di titoli, nomi ed eventi. Mi piace infatti pensare a quanto incolonnato come a una scala di valori delle persone con cui ho scelto di combattere il degrado sociopolitico dell’Italia contemporanea. Avrei voluto una partecipazione più ampia, ma mi rendo perfettamente conto che le persone non hanno tempo da perdere dietro alle mie sollecitazioni. È già difficile star dietro alle proprie cose, figuriamoci prendere seriamente anche le mie. Grazie comunque a tutti quelli che hanno scelto di accompagnarmi in questo tentativo. TOMMASO SALVINI 3 Album da riascoltare nell’anno nuovo • Not Moving “Love Beat” • Dadar “Iron Cage” • Sick Thoughts “Heaven Is No Fun” 3 libri da rileggere nel 2023 • Il libro del sangue di Matteo Trevisani • Cronorifugio di Georgi Gospodinov • Azione Antifascista di Mark Bray 3 film da rivedere nel 2023 • Suicide Squad di James Gunn • This film Should Not Exist di Gisella Albertini, Massimo Scocca e Nicolas Drolc • Mondocane di Alessandro Celli 3 motivi per ricordare il 2022 • La cassetta Orrendo_2 del mio gruppo • Quello che ho scritto e pubblicato on-line o su cartaceo, non perché sia fondamentale ma perché mi ha dato un motivo in più per stare al mondo • La decisione di cambiare lavoro, che non si è ancora realizzata ma che porto con me nel 2023 per non abbattermi o, men che mai, arrendermi: “non esistono guerre perdute, esistono solo vittorie rimandate” 3 motivi per dimenticare il 2022 • Giorgia Meloni • Mario Draghi • Flavio Briatore SIMONE BENERECETTI 3 album da riascoltare nell’anno nuovo • RIAH – A man and his nature • Notwist – Vertigo day • Gilla Band – Most Normal 3 libri da rileggere nel 2023 • M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati • Furore di John Steinbeck • Pastorale americana  di Philip Roth 3 film da rivedere nel 2023 • Paura e delirio a Las Vegas • White Noise • Il signore delle formiche 3 motivi per ricordare il 2022 • In Italia viene per la prima volta concesso il suicidio assistito • Scoppiano le proteste in Iran • Iyezine vive! 3 motivi per dimenticare il 2022 • Eletta il primo Premier donna Meloni • Sting torna a suonare • Jovanotti ha fatto un altro disco ANTONIO ROMANO 3 album da riascoltare nell’anno nuovo • Never Mind the Bollocks, Sex Pistols • Orizzonti perduti, Franco Battiato • Rock ‘n’ Roll Gumbo, Professor Longhair 3 libri da rileggere • Fuoco fatuo, Pierre Drieu La Rochelle • Il lupo dei mari, Jack London • Fame, Knut Hamsun 3 film da rivedere • C’era una volta in America, Sergio Leone • Compagni di scuola, Carlo Verdone • L’attimo fuggente, Peter Weir 3 motivi per ricordare il 2022 • I dischi ballati con mio figlio in braccio • La famiglia che si ingrandisce • Casa nuova 3 motivi per dimenticare il 2022 • L’invasione russa dell’Ucraina e la guerra • Le temperature estive altissime (surriscaldamento globale) • …tutto sommato “solo” questi qui STEFANO (ÜTO) 3 album da riascoltare nell’anno nuovo: • Chat Pile, God’s Country. • Soul Glo, Diaspora Problems. • Moor Mother, Jazz Codes. 3 libri da rileggere nel 2023: • K. Vonnegut, Tieniti stretto il cappello. • H.P. Lovecraft, H.P. Lovecraft. Edizione annotata, Mondadori. • M. Heidegger, L’inizio della filosofia occidentale. Interpretazione di Anassimandro e Parmenide, Adelphi. 3 film da rivedere nel 2023: • Belle, Mamoru Hosoda. • Pinocchio, Benicio Del Toro. • Chip’n Dale: Rescue Rangers, Akiva Schaffer. 3 motivi per ricordare il 2022: • Il concerto dei Maserati al Raindogs. • Il ritorno discografico di Fulvio Giglio. • Il centenario di The Waste Land. 3 motivi per dimenticare il 2022 (ma in realtà è uno solo): • Il post mortem di Calasso. La morte di Roberto Calasso, avvenuta nel 2021, ha rappresentato un fatto gravissimo e irreparabile, un evento talmente enorme da non lasciare spazio ad altro, neppure nell’anno successivo, il 2022. Infatti, ho scelto di non elencare altri motivi per dimenticare l’anno appena trascorso, tanto è profonda la ferita. Con lui, se n’è andato l’ultimo, grande, immenso intellettuale italiano. Ci ha lasciati un gigante, un mostro sacro di intoccabile bravura e genio. La sua dipartita ha creato un deserto, arido e senza vita, un panorama sconsolato e inconsolabile, in cui non uno sprazzo di vitalità, di intelligenza, di cultura. Esiste un prima e un dopo Calasso: da questo momento in poi, nulla è stato più come prima: il niente assoluto che è stato l’anno appena trascorso, a livello letterario e filosofico in Italia, lo dimostra appieno. MARCO VALENTI 3 album da riascoltare nell’anno nuovo • Nero Kane “Of Knowledge and Revelation” • Dalila Kayros “Animami” • A Tergo Lupi “UnHidden” 3 libri da rileggere nel 2023 • Ilaria Palomba “Vuoto” • Pupi Avati “L’altra fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” • Megan Campisi “La custode dei peccati” 3 film da rivedere nel 2023 • “Crimes of the future” (David Cronenberg) • “Bones and all” (Luca Guadagnino) • “X” (Ti West) 3 motivi per ricordare il 2022 • la morte di Masha Amini e l’inizio delle proteste in Iran • la morte del PD spentosi nell’incapacità di capire che cosa sia in realtà • vedere “Moonage Daydream” di David Bowie al cinema tre volte in una settimana 3 motivi per dimenticare il 2022 • la dicotomia Russia vs Ucraina che sostituisce quella tra no vax e pro vax • la retorica e l’isterismo per la morte della Regina inglese • l’aumento dei costi del vinile e la dilatazione dei tempi di consegna LEODURRUTI 3 album da riascoltare nell’anno nuovo • Big Thief – Dragon New Warm Mountain I Believe in You • Gilla Band – Most Normal • The Black Angels – Wilderness of Mirrors 3 libri da rileggere nel 2023 • Laura Pugno – La metà di bosco • Erica Jong – Fanny • Davide Orecchio – Mio padre la rivoluzione 3 film da rivedere nel 2023 • For Sama (Waad Al-Kateab, Edward Watts) • L’ultimo valzer (Martin Scorsese) • La sesta stagione di Peaky Blinders (Anthony Byrne) 3 motivi per ricordare il 2022 • La fuga in massa da twitter verso mastodon e il fediverso • Forse ho ricominciato a leggere • La regina Elisabetta e il papa emerito hanno tolto il disturbo 3 motivi per dimenticare il 2022 • L’invasione russa dell’Ucraina • Se ne sono andati Mark Lanegan, Jaimie Branch, Keith Levene, Mimi Parker e Terry Hall (tra gli altri) • L’estate calda, troppo calda, troppo lunga

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Luca Ottonelli

Luca Ottonelli. E’ nato a Genova nel 1969 e ho completato i primi studi artistici avendo come maestro di Figura G. Fasce.

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Rossomalpaolo

La prima volta che ho interagito con Paolo aka Rossomalpaolo è stato in un periodo in cui ero curiosa di sperimentare i limiti del mio corpo.

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E’ morto Van Conner

Il 17 gennaio, infatti, ci ha lasciati anche Van Conner, universalmente noto per essere stato, dal 1984 al 2000, bassista, seconda voce/backing vocals e uno dei membri fondatori degli Screaming Trees.

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