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Webzine dal 1999

Valis

La fantascienza è visione del futuro, controcultura, viaggi della mente, spazi sconfinati, costellazioni immense, replicanti umani, pianeti incredibili, capovolgimenti delle morali, filosofie divine, città post-atomiche, il cielo sopra il porto dal colore della televisione sintonizzato su un canale morto, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhäuser,
VALIS è il contenitore della letteratura di Fantascienza su In Your Eyes Ezine, dentro cui si recensiscono i grandi classici ma anche le nuove pubblicazioni, si discute dei grandi autori e delle ultime leve, si cerca di vivisezionare il mondo editoriale fantascientifico in tutte le sue forme, su tutti i pianeti.

Luna Nuova Di Ian Mcdonald

Ian Mcdonald: Sono anni fortunati per le traduzioni italiane di Ian McDonald, dopo i successi di Desolation Road e de Il Fiume degli Dei..

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Pensare L’infosfera Di Luciano Floridi (raffaello Cortina, 2020)

Il 6 febbraio è uscito Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, un saggio di Luciano Floridi pubblicato da Raffaello Cortina nella collana Scienza e idee diretta da Giulio Giorello. Luciano Floridi è professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab. È chairman del Data Ethics Group dell’Alan Turing Institute, l’istituto britannico per la data science, nonché una delle voci più autorevoli della filosofia contemporanea. Posso vantare di aver seguito un corso di Logica all’Università di Bari, nel 2007 e aver assistito a diversi suoi seminari sugli argomenti più disparati. Pensare l’infosfera è la traduzione, rivista e parziale, del terzo libro di una tetralogia di libri dedicata ai fondamenti della filosofia dell’informazione, branca nella quale Floridi è ricercatore e in qualche maniera creatore. Come lo stesso autore afferma nell’Introduzione, il volume ha l’intento di riavviare la filosofia, al fine di rinfrescarne la memoria (intesa in senso prettamente informatico) e prepararla a una delle più grandi rivoluzioni della storia, quella che stiamo vivendo oggi: la rivoluzione digitale. Le nuove tecnologie infatti sarebbero re-ontologizzanti, cioè modificherebbero la natura intrinseca di quello che toccano, aprendo scenari interpretativi che necessitano di nuovi modelli filosofici e concettuali per essere studiati. Ma che cos’è l’infosfera? Vediamo come risponde Floridi: “A partire dagli anni Cinquanta, l’informatica e le tecnologie digitali hanno iniziato a mutare la concezione di chi siamo. Sotto molti profili, abbiamo scoperto che non siamo entità isolate, quanto piuttosto agenti informazionali interconnessi, che condividono con altri agenti biologici e artefatti ingegneristici un ambiente globale, costituito in ultima istanza da informazioni, che ho chiamato infosfera. […] Il nostro comportamento libero si trova posto a confronto con la prevedibilità e la manipolabilità delle nostre scelte, nonché con lo sviluppo dell’autonomia artificiale. Le tecnologie digitali sembrano talora conoscere i nostri desideri meglio di noi stessi.” Per affrontare questa nuova sfida Floridi divide il libro in quattro sezioni. La prima è dedicata alla domanda filosofica, alle caratteristiche che essa deve avere e al saper domandare della (buona) filosofia. Qui l’autore parte da una citazione di Bertrand Russell dal libro I problemi della filosofia (1912) sulle domande fondamentali della disciplina, per Floridi ancora viva tutt’oggi, e apre la strada a una definizione precisa, spazzando il campo da qualsiasi tipo di ricadute scientiste o dogmatiche. La seconda parte si occupa di indagare cosa sia una risposta filosofica. Qui la questione diventa più complessa e ancora più interessante: l’autore fornisce una serie di strumenti concettuali e di metodo che permettono di interpretare in maniera analitica il processo di re-ontologizzazione al quale le nuove tecnologie digitali ci sottopongono. La densità e la forza del materiale in questione affondano le radici nella nostra quotidianità e aprono scenari, etici e noetici, di grande impatto e dal carattere anticipatorio. Si trattano qui i temi più controversi della nostra contemporaneità, dalla pornografia online alla privacy, al fine di capire come è cambiata oggi la concezione di identità, soprattutto quando siamo online (o per dirla alla Floridi, onlife). Il metodo fornito per rispondere filosoficamente a tali questioni, che qui ci limiteremo a chiamarlo genericamente metodo dell’astrazione, è tutt’altro che relativistico e vede nel disaccordo informato (cioè nel razionale e genuino pensarla diversamente) la possibilità di un contraddittorio costruttivo. La terza sezione è dedicata invece all’idea di design concettuale, che cosa significhi e in che modo essa rappresenti un mutamento di prospettiva radicale. Basandosi poi sui risultati ottenuti nelle prime due parti, e dopo aver fatto le pulci a Platone, l’autore accenna all’impostazione di una metodologia di realizzazione di un design filosofico che sia costruzionista, “vale a dire una filosofia che prende sul serio l’idea per cui la conoscenza orientata al costruttore sia il corretto approccio per interpretare ogni espressione della conoscenza umana.” Infine la quarta parte è dedicata a cinque lezioni filosofiche sui nodi centrali spiegati nei precedenti capitoli. Centocinquanta pagine dense di nuovi modelli nelle quali Floridi ci insegna come sia possibile oggi continuare a fare filosofia, quali siano le domande legittime, o meglio quale sia il modo corretto di porle (e come rispondere), e che tipo di rapporto deve avere il pensiero con la realtà che ci circonda, sempre più pervasa di tecnologia, globale e ricca di parametri nuovi. Vi mentirei se vi dicessi che è un libro per tutti. Tuttavia lo ritengo un tassello fondamentale per comprendere, almeno da parte degli addetti ai lavori, i termini della sfida a cui siamo chiamati, in un vero e proprio rinnovamento delle idee e del pensiero. Ma per quanti di voi siano interessati ad approfondire le questioni, da domani 10 febbraio, presso il Teatro Franco Parenti (ore 19:00), avrà inizio una serie di tre incontri (nei restanti tre lunedì del mese, 10, 17 e 24) dedicati al tema dell’infosfera e tenuti da Floridi stesso. Sarà un’occasione imperdibile per capirne di più e per confrontarsi di persona sulla rivoluzione, concettuali e di valore, che stiamo vivendo e che non si esaurirà tanto presto.

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Fanta – Scienza (delos, 2019)

Fanta – Scienza (delos, 2019): Dirò una banalità sconcertante: non esisterebbe il genere fantascientifico senza un progresso scientifico. Chiaro, d’acc…

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Lo Sfasciacarrozze Di Alessandro Pedretta (kipple, 2019)

Alessandro Pedretta ha appena pubblicato un romanzo di fantascienza sotto l’egida della casa editrice indipendente Kipple Officina Libraria: Lo sfasciacarrozze, un’avventura interiore e profondamente contemporanea, dalle tinte psichedeliche e lisergiche, che vi trasporterà in un mondo submetropolitano di degrado e fascinazioni post-umane. Il romanzo, pubblicato in formato esclusivamente digitale e che potete acquistare qui, affronta in maniera alternativa le grandi tematiche dell’uomo, la vita, la morte e soprattutto la proliferazione, dandone una lettura radicale del loro significato. Il tutto condito dalla prosa particolare che contraddistingue l’autore. Sinossi Nella campagna dell’hinterland si nasconde un mondo postumano. È reale oppure si tratta del fiorire di deliri, visioni e mancanza di punti di riferimento spaziotemporali? Il paradosso di una società che plasma la mente e la materia si concretizza nella presenza di uova aliene, il cui comportamento prende forza dallo sfruttamento umano della società stessa. A cavallo tra il cyberpunk e le suggestioni di realtà adiacenti, tra il weird e Ballard, il romanzo di Alessandro Pedretta si articola su pochi scenari degradati, come se la periferia fosse l’intero mondo conosciuto; non aiuta il conforto dei ricordi, di una percezione di normalità che sembra raggiungibile, appena dietro l’angolo… Lo sfasciacarrozze vi accompagnerà nel susseguirsi delle pagine in un delirio senza nome, dove l’evoluzione del narrato porta piccole incertezze in aggiunta alle altre col rischio di far crollare ogni certezza: come potrà, il protagonista, sfuggire all’assurdo momento senza fine in cui è prigioniero?   L’autore Alessandro Pedretta nasce nel 1975 e cresce nella periferia milanese. Operaio, poeta e narratore. Si alimenta fin da giovanissimo di filosofie controculturali, di letteratura underground, di autori della beat generation e del cyberpunk, dei grandi scrittori russi, inframezzando la poesia di Ungaretti, Rimbaud, Campana ai cut-up di William Burroughs, l’immaginario di Ballard e la disintegrazione sintattica di Céline. Tra le sue ultime pubblicazioni: il romanzo Golgota souvenir – apostrofi dal caos (Golena Edizioni, 2014), la silloge poetica Dio del cemento (Edizioni Leucotea, 2016), il romanzo breve illustrato È solo controllo (Augh! Edizioni, 2017). Nell’ottobre del 2018 fonda con altri soggetti poco raccomandabili la rivista web di cultura estrema “La nuova carne” e viene pubblicato il libro Carnaio – antologia di narrativa novocarnista, un’antologia con il meglio della rivista.

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Il Cloud Celestiale (un Avventura Del Detective Newton Ep. 09)

Il Cloud celesiale (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli Davanti alla sua bibita analcolosintetica Curtis non riusciva a capacitarsi: come aveva fatto a passare da appostamenti e inseguimenti a quel caos di pellegrini, santi e lotte fra bande ancora non riusciva a capirlo. Certo, ripercorrendo cronologicamente gli avvenimenti era tutto molto chiaro, meno lo era se si ragionava e si cercava una logica in quel che era successo. Si, ok le mine, ok gli attentati e ok la domotica impazzita, ma era tutto troppo strano. Era arrivati lì con Osm per trovare chi lo voleva morto o fuori dai giochi, e invece non solo non aveva trovato chi cercava, non solo aveva perso Osm, ma era anche impelagato in una non meglio definita situazione di carattere para-rivoluzionario con un mezzo gorilla biomeccanoide di nome Maximilian Francis Vladimir III, ma che tutti chiamavano Max (e chi fossero questi TUTTI ancora Curtis non lo aveva capito). Era tutto molto strano. Buttò giù un sorso e si girò verso il suo ospite «Mi spieghi a modo cosa vogliono quelli dell’Olorosario e che cosa vuoi te?» Il cybergorilla (Max) stava battendo su una tastiera di un computer qualcosa, e Curtis si sorprese a chiedersi come faceva, con quelle dita enormi, a digitare una qualsiasi parola correttamente. Lo schermo bluastro illuminava il cyberprimate, tanto che gli sembrò una olo-allucinazione da SynthCrak. Il gorilla sollevò lo sguardo dallo schermo e gli rispose: «La Confraternita dell’Olorosario Interrotto è la falange armata del Vicariato: vuole mantenere l’ordine precostituito, lo sfruttamento dei Cieli, il turismo delle Indulgnze. Noi, invece, sia—» «Noi?» lo interruppe Curtis «Si, ok, Io. Io sono il Fronte di Liberazione di Bot, e voglio liberare questo posto da tutto il marciume, riportandolo alla bellezza e alla pace primordiali.» Ci fu un bip ripetuto e il gorilla si portò l’indice perpendicolare alla bocca in segno di fare silenzio. Era il drone-scanner che cercava di capire dove si fossero nascosti. Restarono così per qualche minuto, il tempo di far passare il drone-segugio. «A me non me non interessa, io devo capire come mai hanno cercato di uccidermi giù al distretto e l’unica traccia che ho porta qui, al Vicariato. Devo trovare un informatore, e devo anche ritrovare il mio Osm.» «Come si chiama il tuo informatore?» «Oracolo Paciocco III.» «Oh» fu il laconico commento del gorilla. «Oh cosa?» chiese Curtis. «Oh: è da un sacco di tempo che non sento quel nome.» «Cerco lui, lui sa tutto e sicuramente può aiutarmi in questa mia ricerca della verità.» «La verità ha molte facce, e sicuramente non ti renderà libero» gli rispose Max. «Oh, scommetto di no, ma io devo comunque sapere chi mi sta rubando l’esistenza e ha anche cercato di uccidermi.» Ci fu un lungo silenzio durante il quale il gorilla sembrò soppesare la situazione e misurare il suo interlocutore. Poi si alzò dal terminale a cui stava lavorando e il cui schermo acceso lo sta dipingendo di blu, si avvicinò a Curtis e gli disse: «L’Oracolo non esiste più nella sua forma fisica.» Il Detective Newton alzò lo sguardo e lo fissò senza dire una parola. Il primate proseguì «C’è stata una retata, qualche tempo fa. Una soffiata: l’Olorosario cercava sacche di resistenza nella Piazza delle Indulgenze: alcune informazioni cardine partivano da lì. Sono arrivati… direi meglio si sono materializzati all’improvviso. Sapevano esattamente dove andare e chi prelevare. Lo hanno preso che dormiva, lo hanno portato al Buco. E lo anno assimilato.» «…» Curtis non riusciva a credere alle sue orecchie «Mi vuoi dire che lo hanno riversato nel sistema ponendo fine alla sua vita fisica?» «Si. Lo hanno giustiziato e hanno salvato la sua coscienza nel Cloud Celestiale, dove tutti un giorno finiremo. «E come si fa ora a sapere qualcosa da lui?» chiese costernato Curtis «COME FACCIO ORA AD AVERE QUELLE STRAMALEDETTE INFORMAZIONI????» «Intanto stai calmo e non urlare che gli olo-ecoscandagli ci fanno a fette. Poi un modo c’è, anche se io lo sconsiglio vivamente perché resta ancora del tutto teorico.» Passarono degli attimi in silenzio. Molti attimi in silenzio. Troppo. «Oh, ma me lo vuoi dire come si può fare o devo urlare?» chiese esasperato il Detective Newton. Il gorilla rimase un attimo pensieroso, poi si girò verso il detective e disse: «Devi morire ed entrare nel cloud.» Curtis restò con la bocca spalancata a fissarlo senza dire una parola o muovere un muscolo. Ne aveva sentite e viste di cose strane, ma lì eravamo improvvisamente saliti a un altro livello. In pratica doveva morire. Chiaramente questo complicava o rendeva inutile, non di poco, tutta la fase successiva di indagine e di interrogatorio. Per non parlare del fatto che il suo scopo fosse quello di migliorare la sua vita, e morire era in leggera antitesi con il migliorare la propria condizione. «Bell’idea, davvero. Bravo!» fu il commento sarcastico che indirizzò al primate cibernetico. «E a cosa mi serve trovarlo nel Cloud Celestiale se sono morto?» «Oh, ma non rimarrai morto. Si da il caso che io abbia inventato un microdosatore a impulsi che di fatto ti rende morto a tempo.» La cosa si stava facendo, se possibile, sempre più complicata. Il problema è che anche al Detective pareva l’unica via da percorrere, a parte quella di tornarsene a casa e vedere cosa quella specie di congiura che aveva contro gli aveva preparato per il suo rientro. «Farà male?» «Il male è un concetto superato, oggigiorno. C’è gente che gode a farsi male, non vedo perchè- «FARÀ MALE?» lo interruppe il detective Newton. «Farà male sia all’andata che al ritorno? Soffrirò molto? Sono sempre tornati tutti o qualcuno c’è anche morto con questo giochino?» «Ah, non saprei, se lo fai tu sarai il primo.» A quelle parole Curtis non seppe cosa rispondere. Doveva prendere una decisione e comunque doveva prenderla abbastanza in fretta. Se non altro non avrebbe preso parte almeno per il momento alla strampalata rivoluzione di Max. «Ok, che ti devo dire, facciamolo. Ma una volta orto come ci arrivo al Cloud?» «Oh, lascia fare a me, appena morto la tua coscienza sarà risucchiata dal sistema. Verrai convogliato nel mio hard disk e tramite wifi verrai sparato al server del Cloud Celestiale. Avrai il tuo username e la tua password, entrerai, troverai il tuo uomo, lo interrogherai e poi tornerai qui.» «E come saprai che ho trovato il mio uomo? Come farai a sapere che è il momento per tornare indietro?» chiese Curtis. «Oh, se lo trovi o meno importa poco, e non saprò affatto quando è il momento. Ma tu hai tre minuti, poi io ti riporto indietro, altrimenti sarai morto sul serio e resterai a galleggiare nel Cloud Celesitale per gli eoni avvenire, finché l’hard disk si rompe o sarete tropi là dentro e formatteranno il sistema per far spazio agli altri.» «Perfetto.» riposte Curtis «Quando cominciamo?» «Subito» E così dicendo il gorilla si alzò. Già stringeva in mano una siringa enorme e piena di un liquido biancastro. «Farà male?» chiese Curtis con un filo di voce «Malissimo, suppongo.» rispose il gorilla.

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Max (un’avventura Del Detective Newton Ep. 08)

Max (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli Per alcuni minuti fu tutto un andirivieni di esseri – militari o paramilitari – gente armata. Curtis era ancora seduto sulla sedia di costrizione pur essendone stato svincolato e si guardava intorno cercando di convincere qualcuno a spiegargli cosa stava accadendo, ma nessuno sembrava badargli e mano a mano che passava il tempo anche lui cominciava a essere più concentrato sulla minaccia che incombeva su quel luogo che non sulla propria immediata libertà. «Detective! Sai tenere in mano un blastatore a compressione ionica, suppongo?» gli chiese l’ometto giallo e porgendogli un fucile. «C-certo» rispose titubante Curtis, anche perché non solo non ne era sicuro (lui era più portato per armi leggermente meno d’assalto) ma era anche indeciso sul prendere parte a uno scontro senza sapere chi aveva di fronte e con chi stava facendo squadra. Il capo gli tirò l’arma in braccio e si dileguò in un corridoio attiguo agitando le mani e impartendo ordini a destra e a manca. In quel preciso istante un boato devastante lo gettò sulla parete opposta al punto dove era. Intorno tutto un vorticare di macerie e polvere e traccianti laser. Spari dappertutto e grida disumane. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era come portarsi fuori da quel casino, figuriamoci se avesse intenzione a prendervi parte, che si fottesse il nano giallo e tutta la sua banda. Andando avanti a tentoni e strisciando trovò riparo dietro una consolle di comando che ormai poteva comandare ben poco, visto lo stato in cui era messa. Cercò di guardare oltre per capire che cosa stesse succedendo. Ma oltre al turbinio di polvere e laser non riusciva a capire niente. cercò un modo per uscire da lì, e dopo un po’ che si guardava intorno intravide una possibilità: il corridoio era assediato, ma se fosse riuscito a correre molto veloce e a farsi mancare dai blaster che sparavano fra loro allora sarebbe arrivato al montacarichi del locale adiacente. E certo non sapeva bene dove portava quel montacarichi, ma sarebbe stato sicuramente un posto migliore di quello. Sperava. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, mentre preparava il corpo a quell’impresa. Dove cazzo era Osm, ora si che gli avrebbe fatto comodo immaginare uno scudo. Quell’inutile volatile del cazzo lo avrebbe fatto apparire quello scudo e sarebbe stato tutto sommato semplice venire via da quel luogo. Era pronto. Fece l’ultimo, profondo respiro, e scattò. E rimase piantato dov’era: qualcuno lo aveva afferrato per il colletto e lui cascò indietro a sedere. «Dove vai?» Il gorilla aveva un paio di vistosi tubi che gli uscivano dalla calotta cranica, e un occhio rosso e lucido, come di vetro. Contestualmente un colpo di gigablaster portò via una porzione del corridoio e di tutto quello che conteneva. Si sentì esultare qualcuno in lontananza. «Non mi ringraziare non importa, per di qua.» e così dicendo il gorilla (coperto da una corazza metallica molto cromata e da un mantello nero di un tessuto pesante) si voltò e puntò dritto verso la parete in fondo alla stanza. «È una parete.» tentò di fargli notare il Detective, ma inutilmente: il bestione ci si era ormai lanciato contro come se dovesse abbatterla. A un millimetro dall’impatto lanciò una palla di muco sulla parete e si spalancò un universo con tutte le stelle e il gorilla ci si infilò dentro. Curtis rimase immobile con la bocca spalancata. «Allora, vieni?» si sentì una voce provenire dall’universo nella parete. Si alzò e senza fare domane si tuffò a sua volta e contrariamente a quanto si aspettava, e cioè a un errare calmo e pacifico per i flutti cosmici e le supernove, si trovò in mezzo alla piazza delle indulgenze, con la gente fin sopra le orecchie. «Ma come —» sussurrò fra sé e sé. «Oh, niente di che: un portale plasmatico. Illegale, ma veloce. Se non ti fermi a guardare un fluttuante o se non incappi in una supernova» il gorilla gli stava in piedi accanto. «Chi sei?» chiese fra i denti il Detective che ormai stava perdendo il bandolo della matassa: troppe cose, tutte insieme, tutto troppo. «Mia madre mi ha chiamato con l’altisonante nome Maximilian Francis Vladimir III, ma tutti mi chiamano Max.» Rispose il gorilla. «Chi erano quelli?» «Quelli che ti avevano preso o quelli che li attaccavano?» «Tutti» «Quelli che ti avevano preso erano la banda dell’Olorosario Interrotto, quelli che li attaccavano erano il Terzo Cielo.» «Ottimo. E i cattivi quali sono?» «Dipende da che parte stai.» «Dalla mia.» «Allora tutti. O nessuno. Scegli te.» «E ora dove si va?» «Dipende: che devi fare?» «Nascondermi, e trovare risposte.» «Allora in un posto sicuro, intanto.» «Sicuro da cosa?» «Sicuro da tutti.» «…» Si avviarono in mezzo alla folla finché non trovarono un vicolo completamente deserto, ci entrarono e il gorilla si piantò davanti a un’effige di un santo che Newton non riuscì a distinguere. Max premette la testa della statuetta e di colpo si aprì un passaggio segreto nella parete che avevano di fronte. Lasciarono aprire il passaggio e vi entrarono: si trovarono in una stanza illuminata da led e da piccoli schermi verdastri e neon colorati. Mille suoni e bip e bling bling e intermittenze di spie. Era una stanza di controllo, e faceva ridere che ci fosse così tanta luce colorata in un posto privo della benché minima apertura sull’esterno. «Ma chi sei, il capo della revolucion???» chiese sarcastico il Detective Newton accennando un sorrisetto astuto sulla faccia. «Possiamo metterla anche così.» fu la risposta secca (ma non seccata) del cybergorilla. Curtis smise di sorridere.» «In che senso, quanti siete? che avete intenzione di fare?» chiese un filo allarmato. «Per ora sono solo, e riuscirò a liberare questo cielo da questa manica di inutili pellegrini e ridarò la dignità alla mia patria.» «SOLO?» fu l’unica cosa che registrò Curtis: solo. «Sei solo?» urlò ormai senza contegno il detective Newton. «No, in effetti ora che sei con me siamo in due.» e così dicendo, Max, sorrise «Adesso però dobbiamo capire cosa cerchi e come trovarlo.» Ci fu un BIP molto forte e il gorilla mise una mano sulla bocca di Curtis per zittirlo mentre quest’ultimo stava rispondendo. «Shhhh» disse sottovoce «C’è una scansione sonora delle guardie di sicurezza, se facciamo piano non ci sentiranno.» «E se ci sentono?» sussurrò il Detective «Che succede se ci sentono?» Max fece un eloquente gesto spostando l’indice orizzontalmente lungo il collo. «Appunto» fu il commento di Curtis.

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Übermensch Di Davide Del Popolo Riolo (delos, 2018)

L’opera di Del Popolo Riolo nasce da un felice cortocircuito mentale. Il primo a coniare l’espressione Uebermensch, come noto, fu Friedrich Nietzsche, all’interno della sua summa filososfico-romanzesca Also Sprach Zarathustra. Con tale termine il filologo tedesco intendeva, più che il “superuomo”, come sarebbe stato sbrigativamente tradotto, un “oltreuomo”, un essere futuro che superasse le miserie e il nichilismo passivo che, a suo avviso, paludavano l’uomo contemporaneo (“corda tesa tra la scimmia e l’angelo”, come aveva avuto modo di esprimersi altrove: un essere ancora vacillante tra il passato ferino e il superamento migliorativo prossimo venturo). Il concetto nicciano ebbe enorme fortuna, sebbene il suo destino fosse quello di essere ampiamente travisato. In campo letterario, il nostro D’Annunzio farà presto ad attingervi per il suo “superomismo”: una forma di dandismo estremizzato, in cui l’alto-borghese può reputarsi al di sopra delle norme e della morale comuni. In campo politico, grazie alla connivenza di Elisabeth Förster-Nietzsche, il Nazionalsocialismo depredò e fece propria la figura dell’Uebermensch, fraintendendone a sua volta il suffisso Ueber, in modo da applicare il concetto al puro ariano, che il III Reich colloca “sopra” piuttosto che “oltre” il resto dell’umanità (un’ulteriore beffa per il pensamento di Nietzsche, dichiaratamente anti-tedesco). Anche se l’appropriazione indebita più arguta del termine è da rintracciarsi oltreoceano: in quegli stessi anni in cui, nel Vecchio Continente, lo sbavante fanatismo antisemita di Hitler postulava un individuo superiore che avrebbe dovuto dominare di lì a breve l’intero pianeta, sbarazzandosi senza pietà delle razze umane a lui nemiche, nel Nuovo Mondo, per la precisione a New York, una coppia di giovani fumettisti ebrei creava un essere sovrumano, onnipotente, invincibile, il cui nome nasceva anch’esso dalla traduzione letterale del neologismo nicciano: Superman, il primo supereroe di tutti, sia in senso logico che cronologico, l’insuperato antesignano della nutrita pletora di paladini dagli incredibili poteri, che sarebbe stata creata dopo di lui. Il vero nome di Superman è Kal-el, in cui è lampante la desinenza el che in lingua israelitica indica Dio. Egli tuttavia si cela sotto le mentite spoglie del ragazzone finto wasp Clark Kent, adottato a suo tempo da una coppia di tipici redneck americani, in circostanze non dissimili – seppure riversate su un piano fantascientifico – da quelle che videro il neonato Mosè salvato e cresciuto presso la corte del Faraone. C’è chi è giunto a ravvedere un parallelismo tra la figura Superman e quella del Golem, plasmato nel ghetto praghese dal Rabbi Levi. Superman è potentissimo, ma è anche buono e giusto, e anziché approfittare dei propri superpoteri per soggiogare i terrestri, li impiega a loro beneficio. Ora, immaginatevi che la capsula proveniente dal pianeta Krypton fosse caduta nella regione sotto statuto nazista della Baviera, anziché nello stato del Kansas durante il regime democratico di stampo roosveltiano, ricollegando così il personaggio alla sua originale accezione suprematista. Questa è l’idea fulminante che sta all’origine del romanzo sci-fi di Del Popolo Riolo, il quale ci si presenta come un’ucronia e una distopia assieme. La Germania di Hitler ha vinto la Seconda Guerra Mondiale, come già in Fatherland e in La svastica sul sole. Solo che qui ad aver reso possibile uno scollamento così clamoroso rispetto all’effettivo corso degli eventi storici è stata proprio la presenza di Uebermensch, il supereroe ariano, chiamato a mettere i propri poteri al servizio del Reich. Gli Alleati sono stati stracciati. Churchill è riparato negli USA, che a loro volta sono stati piegati dall’intervento del supermalvagio, trasformandosi nei Territori Orientali, sotto il diretto comando del Führer. I vinti sono allo stremo, campi di lavoro e di sterminio ricoprono il suolo statunitense, la croce uncinata garrisce, apparentemente invincibile, su tutti i cieli dell’Occidente. Eppure, Oltreoceano, come pure in Italia e all’interno del pangermanesimo, qualche irriducibile fermento di resistenza pare ancora animare chi non si voglia dare per vinto, tra partigiani, terroristi, agenti segreti. Certo, il problema primario rimane quel ragazzotto inespressivo e fuori forma (così diverso, nella descrizione, dal bell’energumeno della DC Comics), dotato però di poteri sovrannaturali. Sinché c’è lui, tutto è perduto. È possibile sconfiggerlo? Anche in questa dimensione parallela esiste un qualche genere di kryptonite con cui tentare di contrastare l’essere invulnerabile? Davide del Popolo Riolo (già autore del curioso steampunk ambientato ai tempi dell’Antica Roma De bello alieno, già vincitore del premio Kipple, attualmente nelle edicole nazionali con un suo racconto inserito in un’antologia Urania) firma un’opera godibile e ben costruita. La narrazione si muove su e giù per lo spazio e il tempo, tra Torino, Berlino, Baviera, Stati Uniti, tra il periodo prebellico e il dopoguerra. Il pauroso scenario di un mondo governato e tenuto in ordine dai nazisti è ben reso. La trama viene arricchita da intrighi spionistici e momenti di un’amara riflessione sulle sorti di ebrei e dissidenti sotto l’avanzata totalitaria. Anche se il punto forte del libro resta il personaggio eponimo, che non ci viene mai presentato sfacciatamente, ma attraverso un sapiente gioco di suspense, cadenzando l’intero racconto con la sua presenza/assenza. Resta a voi gustarvelo attraverso questa lettura rapida e appagante. DATI TECNICI: Copertina flessibile: 288 pagine • Editore: Delos Digital (12 marzo 2019) • Collana: Odissea digital. Fantascienza • ISBN-10: 8825408269 • ISBN-13: 978-8825408263 • Prezzo ebook: 3,99 • Prezzo cartaceo: 17

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I Giocatori Di Titano – Di Philip K. Dick

I giocatori di Titano, pubblicato nel 1963, è il decimo romanzo di Philip K. Dick. In poco più di un anno, dal ’64 al ’65, Dick sfornerà ben cinque romanzi, causa anche l’uso in quel periodo di gran quantità di anfetamine. Nel 1964 vedranno la luce, tra gli altri, Follia per sette clan, una bizzarra esposizione fantametaforica dei disturbi psicotici (di cui l’autore ne era afflitto fortemente, in maniera alterna e allucinata), e La penultima verità, sintomatica storia in cui la paranoia e l’ossessione per una verità nascosta pulsa nelle recondite profondità di città sotterrate. Insomma, l’humus creativo di Dick di quel periodo era condizionato non poco dalle sostanze stupefacenti, e le sue manie complottiste affiorano ancor più palpabili, rendendo se si può, ancor più disorientanti le sue trame, e più densa la sua qualità narrativa nel disarcionare una cosiddetta Realtà unica. Certo, prima di uscire con I giocatori di Titano Dick forse ebbe il successo più netto e acclamato da pubblico e critica che fu il romanzo vincitore del Premio Hugo La svastica sul sole del 1962, ed era arduo riuscire a restare a quel livello. Non lo raggiungerà quell’apice con i romanzi appena successivi, è vero, ma Dick non manca comunque di stupire, soprattutto per la sua continua ricerca di disvelare la sua particolarissima visione del mondo e della società, spesso azzerante, nevrotica, ma mimetizzata come un mondo/ombra che sfugge ai normali accadimenti quotidiani, ma che spesso con infinitesimali avvenimenti si scopre in tutta la sua traumatica, distopica essenza. In un futuro non lontanissimo dopo una guerra che ha diminuito drasticamente la popolazione terrestre, il pianeta viene occupato dai titaniani, esseri gelatinosi, dalle fisionomie a metà tra un blob e spugne metamorfiche e qui instaura la procedura di un Gioco, a cui devono partecipare parte degli abitanti rimasti. Il gioco è un connubio tra il Monopoli e il poker, e grazie a esso si perdono o si conquistano intere regioni della Terra, ma non solo: obiettivo principale del gioco è cogliere la Fortuna, cioè riuscire a ingravidare le donne, che come le proprietà e le intere città, sono scambiate, passate di mano in mano dai vari giocatori vincenti. Il grandissimo pregio di Dick è sempre quella magia che riesce a creare a un certo punto della narrazione. Lo straniamento. Per un accadimento che a un certo punto rimescola i fatti in un nanosecondo, facendo sì che tutto ciò che fino a quel punto credevamo sicuro, reale, ora non lo è più. I Vug (i titaniani) forse sono più che tra noi. Forse siamo noi, forse ci circondano totalmente. Dunque la paranoia di Dick diviene sublime, perché metafora dell’incertezza atavica, e filosofica. Romanzo che solo all’apparenza sembra incontrare le tematiche più classiche dello sci-fi è invece un’altra perla dell’autore, che oltre a sfornare una storia di cosmica fantasia stravagante è l’ennesimo libro che ci detta le regole per cercare di non essere conformi alle regole prestabilite, un manuale di ribellismo il cui codice di divulgazione è la fantascienza.

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Il Mercato Delle Indulgenze (un’avventura Del Detective Newton Ep. 07)

Il mercato delle indulgenze (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli In mezzo alla piazza che doveva avere – a una prima rapida analisi – la superficie dell’equatore di Marte, c’era il Mercato delle Indulgenze. Quel mercato era famoso in tutto quel quadrante, perché era possibile entrarvi da stupratore di droni e uscirne con la coscienza di un bimbo di tre cicli. Sempre che uno avesse l’adeguato conto in banca. O che qualcuno garantisse per lui. O che fosse interessato. «Questo posto è agghiacciante, Osm. Ma se stiamo cercando un indizio, una traccia, una voce o un pettegolezzo, allora questo è il posto.» Lo disse sottolineando con enfasi la parola “posto”. Camminavano (in realtà solo il Detective camminava, Osm svolazzava) l’uno dentro la sua toga e col cappuccio da pellegrino, l’altro con mini toga e riccioli posticci da putto. «Dobbiamo trovare l’Oracolo Paciocco III. È il capo bastone di questa piazza, colui che regola il traffico, sia in entrata che in uscita. Una volta era un nostro informatore, giù alla centrale. Non proprio…» si corresse Curtis. «Diciamo che noi abbiamo spesso chiuso uno o due occhi sui suoi traffici in cambio di alcune indicazioni. Ecco. Comunque è lui che dobbiamo trovare.» Continuarono a spostarsi in mezzo a quel marasma di droidi, semiorganici, organici, oloalias e Operatori che trafficavano e contrattavano. Ognuno in cerca di una indulgenza, ognuno in cerca di qualcosa che le sue tasche potessero comprare. Ma non solo. Quello era anche il posto in cui si trafficava di tutto, sotto banco, fra un ammicco e un sussurro, potevi procurarti una dose di Cybercrak senza compire un grosso sforzo. E lì, spesso, la polizia non arrivava: quella era terra consacrata, ed era giurisdizione del Vicariato. «Ma che posto di merda. È il momento di aprire le danze, Curtis.» Osm voleva accelerare la faccenda, non gli piaceva affatto quel posto. Sterzò verso destra infilandosi in un piccolo condotto per l’acqua piovana. «Te vai avanti, mi puoi contattare tramite il tuo A.I.O.C. (Apparecchio Intelligente per Ogni Cosa). Ci incontriamo nella piazza principale fra due ore» e sparì. Newton non ebbe neanche il tempo di replicare. Restò lì, piantato come un ebete a fissare il buco in cui era sparito il suo partner. Passato il momento dello sbigottimento il Detective Newton decise che era vero: doveva darsi una mossa. Si infilò allora in un portone rattoppato, tramite il quale si accedeva a una cantina. Il locale era pieno di gente per lo più ubriaca che parlava a un volume altissimo nel vano tentativo di soverchiare il suono della musica. Curtis si avvicinò al bancone, fece un cenno col dito al barista (un tipaccio con meno denti che capelli, dall’incarnato cianotico e dagli occhi vitrei) che gli si fece vicino. Con fare complice Curtis gli sussurrò all’orecchio: «Cerco l’Oracolo. Ho offerte e domande.» Il barista lo fissò con questi suoi occhi disabitati a lungo, poi dette un cenno di vita, si girò e andò a confabulare con un tipo dalla pelle nera e grosso come un armadio. Il barista gli dava le spalle e lo indicava, l’altro gli stava di fronte e gli aveva piantato gli oggi in faccia senza mollarlo di un grado. L’armadio fece un cenno all’altro come a dire non ti preoccupare e si diresse verso il Detective che attendeva impazientemente giocherellando con un sottobicchiere che qualcuno aveva abbandonato sul bancone. L’energumeno gli piantò la faccia a tre sentimenti dalla sua. «C..eee.,z—ooi…» «NON HO CAPITO!» urlò Curtis – il frastuono del locale non permetteva di sentire niente che non fosse urlato da un centimetro dall’orecchio, figuriamoci una frase detta in tono normale frontalmente. «CHI CAZZO SEI!» urlò l’omone assestandogli un pugno in pieno petto che lo fece cadere al suolo con un sibilo, come fosse un pallone forato. L’ultima cosa che Curtis vide, prima di perdere i sensi, fu l’armadio che lo afferrava per il bavero e se lo caricava sulle spalle. Poi si spense. «Spero tu non gli abbia procurato danni permanenti, Coso.» «Ho solo fatto quello che andava fatto.» Le voci arrivavano dallo spazio siderale, a giudicare dalla eco che le seguiva e dal tono fievole con cui arrivavano al suo cervello. Piano piano riaprì gli occhi e si trovò investito da una luce penetrante che gli impediva di mettere a fuoco qualsiasi altra cosa. «Vedi, capo? Vivo. Ora capo contento? Ora Coso andare?» «Non credo. Stai qui, mi servi ancora.» Le due voci si compensavano. Tanto era profonda e lenta la prima, tanto era veloce ed acuta la seconda. La prima la riconosceva, era quella del treno che gli aveva asportato lo sterno al bar. La seconda era la prima volta che la sentiva. «Oh, ci sei?» Chiese la voce acuta. Nella sua testa rispose: “Sì, chi siete, perché sono legato?” ma la sua bocca pronunciò una serie di suoni indefiniti ed approssimati. «Cazzo, Coso. Ti avevo detto forse di renderlo invalido? Ero stato chiaro, no? Evidentemente no. Oppure te non capisci un cazzo. Ho detto: Portamelo qui che voglio parlarci. Mica ti ho chiesto di menomarlo… Poi perché è legato ora che ci penso? Che senso ha? Ma lo sai si o no che lavoro fa? Slegalo.» Curtis sentì armeggiare di fianco alla sedia dove era seduto, poi una serie di bip e sfrigolii, infine la costrizione che lo immobilizzava incollato alla sedia cessò. «Ora, riproviamo. Detective, ci sei?» la voce acuta adesso si era fatta più vicina. «Porca puttana» fu la prima cosa che Curtis riuscì ad articolare. «Che ho fatto?!» «Fai domande. E si sa che a volte fare domande a seconda delle domande che si fanno può essere un hobby pericoloso.» La faccia che Curtis aveva di fronte era piccola e giallognola, incorniciata da capelli e barba riccioli che si susseguivano senza soluzione di continuità, che non riuscivi a capire dove finissero i primi e dove cominciassero i secondi. «E che domanda pericolosa avrei fat— Curtis non fece in tempo a finire la domanda (sulla domanda) che una porta si spalancò, entrò un essere con la testa completamente cromata e con la voce altrettanto cromata che urlò: «Capo! Stanno arrivando!» «In anticipo» rispose il capo «Tutti ai vostri posti.»

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Maledetti Putti (un’avventura Del Detective Newton Ep.06)

Maledetti putti (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli   Osm uscì dal meandro di cappotto dove fino a quel momento si era nascosto. «Che caos» commentò, guardandosi intorno. Era tutto un vorticare di pellegrini in vesti bianche e svolazzanti, e strani volatili scattosi e fischianti traboccanti riccioli dorati e alette di pollo bianchissime che sbattevano fra loro. «Maledetti Putti. Schifosi esseri sibilanti. Cacano ovunque». Osm li odiava principalmente perché appartenenti alla sua solita specie (Semiorganici Ridotti Volanti) a suo dire la degradava al livello di insetto. «Su, ignorali. Anzi, mi è venuta un’idea» sorrise Curtis. «So cosa stai pensando ed è un’iniziativa a cui non voglio prendere parte. Tu e le tue idee idiote. Sei malato. Sei una brutta persona». «Eccolo là: presto!» e così dicendo il Detective Newton si diresse con passo veloce in un orinatoio pubblico, in cui un pellegrino si era appena infilato. Ne uscì pochi minuti dopo con indosso la toga bianca orlata d’oro del pellegrino e il suo cappuccio a punta. «Molto furbo: e quando si sveglia?» gli chiese Osm. «Cosa può dire, che ha ricevuto un colpo da dietro? Che chi lo ha derubato ha indosso una toga da pellegrino con cappuccio a punta? Come i tre quarti delle persone presenti su questo cielo?» In effetti non aveva tutti i torti: sarebbe stato impossibile stabilire quale fosse la toga di chi, nel momento in cui qualcuno ne avesse rivendicato la proprietà: erano tutte uguali e non avevano tratti distintivi: era proprio della religione: tutti uguali. «Ora tocca a te!» e così dicendo Curtis afferrò al volo uno dei putti che ronzavano in piccoli stormi vicino a loro. Lo disattivò, gli tolse la parrucca ricciola bionda e la microtomi e le mise addosso a Osm. «Con un po’ di fortuna nessuno noterà che non hai le ali». «Mi sento violato» disse Osm. «La voce: più acuta. Presta attenzione, abbiamo una missione non possiamo permetterci di farci scoprire. Ricordati che hanno cercato di farmi fuori in un distretto di polizia, figurati se si faranno problemi qui. Quindi più entusiasmo, più impegno e meno lamentele». Così conciati si diressero verso la scalinata che portava al secondo livello. Che era anche quello dominato dalla Basilica di Bot. Il posto da dove il Vicariato di Bot dirigeva tutto quel circo. Salirono gli scalini tempestati di devoti penitenti che si auto flagellavano in lamentele estatiche e lacrime di gioia. Ogni tanto Curtis scivolava su una chiazza di sangue o una gora di sudore. Un paio di volte furono fermati da Operatori che fra un Ippurrà e l’altro gli chiesero una preghiera segno di devozione il primo, e una mazzetta il secondo. Chiaramente il Detective Newton non era nella posizione di poter trattare o rifiutarsi, quindi ottemperò alle richieste e poterono proseguire. Arrivati in cima alla scalinata che furono, si trovano a dover seguire l’ennesima, lunghissima e lentissima coda, che portava dritta dentro una casetta di legno prefabbricata ma con mille lucine colorate di natale. Era la casa del Capetto dei Cancelli. I devoti dovevano passare da lì dentro in modo che potessero essere valutati e in base a tale valutazione accedere alla Basilica (o almeno, alla sua piazza) oppure tornarsene mesti indietro. I pellegrini entravano uno alla volta in un immobilismo esasperante. Tutto intorno a loro era uno svolazzare di putti e un mormorare di nenie religiose e lamenti sommessi. Una cosa da far accapponare la pelle. «Questo posto mi dà i brividi, sembra un documentario sulla sociopatia. Mi sento pronto a sterminare una famiglia». Osm era sinceramente sconcertato. Il suo ruolo gli imponeva una sorta di equidistanza da ogni tipo di considerazione personale o gusto, ma quando era troppo era troppo. In più, dentro di lui, qualcosa stava cambiando. «Hai ragione, ma ormai dobbiamo venire a capo di questa storia. Non posso passare il resto dei miei giorni a guardarmi le spalle, non credi?» «Già». Intanto il tipo davanti a loro – un damosiano alto come un pilone della luce, con la testa quadrata, piena di rami e intermittente con la solita tunica che avevano tutti, alla richiesta dei documenti aveva dato una testata all’Operatore che si era accasciato al suolo in un lago di sangue e poi si era dato alla fuga, saltando la fila per l’ingresso, scartando di lato evitando la casetta per il visto e infilandosi nel dedalo luccicante della piazza oltre il Cancello. La piazza del Vicariato lo nascose, tunica bianca fra le tuniche bianche, e gli Operatori poterono solo raccogliere da terra il malcapitato collega e portarlo dove avrebbe ricevuto le prime cure. Il resto della fila non si scompose: evidentemente accadeva più frequentemente di quello che si potesse immaginare. Piano piano arrivò il loro turno: un Operatore vestito di rosso li fece entrare nel casotto prefabbricato e fece cenno a Curtis di sedersi. All’interno un omino piccolo con la testa calva, due baffoni verdi a manubrio e un enorme paio di tette li accolse meccanicamente. Allungò una mano per chiedere il documento mentre con la testa fece un cenno distratto verso Osm camuffato da Putto. «È Suo?» chiese, e senza dare il tempo al Detective Newton di rispondere. «Può restare a patto che non sporchi e non svolazzi a caso in giro». Lesse distrattamente il documento falso e lo riconsegnò a Curtis. «Siamo qui per rendere omaggio al Vicario per la graz—» «Guardi: non me ne frega un cazzo» lo interruppe bruscamente l’ometto. «Mio compito è controllare chi entra, vi ho controllati, e ora entrerete. Di chi siete o cosa venite a fare qui non me ne può fregare di meno» e così dicendo gli fece cenno di andarsene con il dorso della mano. Curtis e Osm uscirono senza fare altre affermazioni. Quando furono fuori convennero che il vecchietto fosse una persona scortese. «Mamma mia che ometto scortese» considerò Osm. «Un cafone proprio» convenne il Detective. Erano dall’altro lato, immersi nel trambusto della piazza principale, quella su cui si affacciava la basilica. Era tutto un viavai di devoti, pellegrini, Guardie Vicariali, Operatori, Putti. «E ora sì che cominciamo a divertirci» disse il Detective Newton. Si incamminarono, avevano peccati da far assolvere.

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Space Rhapsody #6 – Aldilà

Sesto appuntamento del fantastico (e fantascientifico) incontro tra VALIS e RONIN. Alcuni di voi, i più attenti, si saranno accorti che abbiamo saltato una domenica. Questo è l’inevitabile scotto da pagare quando si vaga scalzi per lo spazio-tempo. Ma il mini-fumetto tratto dallo speciale (specialissimo!) Space Rhapsody è tornato! Lo potete leggere gratuitamente a questo link in tutta la sua interezza. Se invece siete talmente pigri da non voler neanche sfogliare digitalmente, venite tutte le domeniche su queste pagine. I temi di oggi sono: la morte, la vita oltre la morte, la vita oltre la vita, la morte oltre la vita… vabbè, insomma, avete capito. Ah! E ci sono anche gli alieni. Ciao!

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Space Rhapsody #5 – Time Trouble(r)s

Quinto appuntamento del fantastico (e fantascientifico) incontro tra VALIS e RONIN. Ultima domenica di febbraio e mini-fumetto tratto dallo speciale (specialissimo!) Space Rhapsody che potete leggere gratuitamente a questo link in tutta la sua interezza. Se la vita vi affligge,venite tutte le domeniche su queste pagine (e non solo le domeniche!). La storia di oggi è stata scritta da Marco Orlando e disegnata da Gianlorenzo Di Mauro. Questa volta a farci compagnia troviamo viaggiatori del tempo e varchi dimensionali che si aprono su mondi ostili e… dinosauri. Pronti per il viaggio?  

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