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Webzine dal 1999

Valis

La fantascienza è visione del futuro, controcultura, viaggi della mente, spazi sconfinati, costellazioni immense, replicanti umani, pianeti incredibili, capovolgimenti delle morali, filosofie divine, città post-atomiche, il cielo sopra il porto dal colore della televisione sintonizzato su un canale morto, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhäuser,
VALIS è il contenitore della letteratura di Fantascienza su In Your Eyes Ezine, dentro cui si recensiscono i grandi classici ma anche le nuove pubblicazioni, si discute dei grandi autori e delle ultime leve, si cerca di vivisezionare il mondo editoriale fantascientifico in tutte le sue forme, su tutti i pianeti.

Space Rhapsody #4 – Planet Death

Siamo al quarto appuntamento del fantastico (e fantascientifico) incontro tra VALIS e RONIN. Chi ci segue ormai sa come funziona: ogni domenica proponiamo un mini-fumetto tratto dallo speciale Space Rhapsody che potete leggere gratuitamente a questo link in tutta la sua interezza. Se siete troppo pigri, sorbitevene un paio di tavole ogni domenica su queste pagine. La storia di oggi è stata scritta e disegnata da Pietro Rotelli. Enormi navicelle spaziali, lo spazio profondo, robot compassionevoli e un pianeta terraformato ma, almeno apparentemente, ostile… che volete di più?

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Space Rhapsody #3 – H – Food

Terzo appuntamento del fantastico (e fantascientifico) incontro tra VALIS e RONIN. Questa domenica vi proponiamo un fumetto di due pagine tratto sempre dallo speciale Space Rhapsody che potete leggere gratuitamente a questo link, oppure, ogni domenica sulle nostre pagine. La storia di oggi è a opera di J.J. Frank, che ci parla di come funzionano i fast food oltre la galassia conosciuta. Insomma, per i convinti sostenitori della corsa allo spazio (noi inclusi, ovviamente): questo è quello che potrebbe succedere a noi umani. E non è bello…  

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Il Vicariato Di Bot (un’avventura Del Detective Newton – Ep.05)

Il Vicariato di Bot (Un’avventura del Detective Newton) Di Pietro Rotelli   – Cordone di smistamento per l’orlo esterno. Bretella E25. Continuo a pensare che non sia una grande idea – fu il commento laconico di Osm (Organismo Senziente di Monitoraggio), con lo sguardo perso verso l’alto mentre guardava il fascio di luce nel tubo di acrilico trasparente che correva in alto perdendosi oltre il tappeto di nuvole soprastante. Dentro il tubo migliaia di ombre sfocate che correvano verso l’alto. Erano i viaggiatori: perlopiù devoti e pellegrini che si recavano al Santuario del Vicariato di Bot. – Il Camino del Santuario… Ora dobbiamo solo trovare il modo per non essere rilevati e riuscire a prendere un raggio per l’orlo esterno e siamo a un buon punto. Il nostro contatto su E25 è già stato allertato. Curtis stava rovistandosi nelle tasche del giaccone (giaccone da civile, dopotutto erano in incognito) in cerca del multipass genetico contraffatto che era riuscito a procurarsi tramite un informatore del distretto nord. Non lo trovava e stava quindi maledicendo il nome di sua madre (che non conosceva, peraltro) e di tutte le divinità che gli saltavano in mente quando una Guardia Vicariale, vestita con la tenuta d’ordinanza bianca e rossa con una sobria striscia dorata centrale tutta tempestata di pietre preziose gli chiese: – Ippurrà a te Pellegrino. Sei diretto al Santuario? Osm si nascose in una tasca del giubbotto di Curtis. Curtis, invece, restò un attimo congelato indeciso su quel che doveva fare, poi decise di correre il rischio. – Ippurrà a lei, Guardia Vicariale. Certo, sono diretto al Santuario: dove altro sennò? Ippurrà. Ecco. Ippurrà era il saluto sacro che i devoti del Vicariato si scambiavano fra loro. Curtis lo sapeva perché sua nonna era Devota. E lui l’aveva odiata per questo e per quello che il Vicariato le aveva fatto. – E, se posso Pellegrino, motivo della visita al Santuario? – Devozione e Punizione. Era la risposta classica del pellegrino. Il Vicariato prendeva e ti Puniva. Qualcosa tanto dovevi avere fatto in quanto essere fallibile. E tu gli dovevi solo Devozione. E soldi. – Allora Ippurrà. – Sempre Ippurrà. La Guardia Vicariale si allontanò, in cerca di altri viandanti da interrogare. Curtis allora si rivolse a Osm che stava uscendo dalla tasca in cui si era nascosto. – Dobbiamo darci da fare e riuscire a prendere il prossimo sifone per l’orlo, altrimenti rischiamo di dover rispondere a questo tipo di domande continuamente. E sinceramente ne farei volentieri a meno. – Agghiacciante e del tutto privo di una qualche utilità – convenne Osm. – Andiamo. – Un attimo, non trovo il mio multipass genetico. Senza quell’aggeggio contraffatto rischiamo di farci fermare ancor prima di partire. – Tu e la tua paranoia: spiegami come mai secondo te il Grande Occhio Disciplinante o qualcuno al dipartimento dovrebbe essere interessato a te e a un gruppetto di sicari di Big Boss Bungarumba XII. – Più di una sensazione paranoide, direi: intanto non sei tu quello a cui è apparso il G.O.D. in casa in piena notte durante una discussione con il frigorifero, e non sei tu ad aver ricevuto un droide insetto killer consegnato da un sergente che nessuno ha mai visto o ad avere in corpo una nanosonda a orologeria casuale. Quindi signor Jung grazie dell’analisi ma parliamo di cose serie. È evidente che esiste qualcosa che connette tutti questi fatti, e l’unica pista che abbiamo è il Vicariato di Bot. Ma dobbiamo agire in incognito. E così dicendo tirò fuori di tasca il multipara che finalmente aveva trovato, e si incamminò verso la porta di imbarco del sifone. – Si ma stai calmo – fu la risposta di Osm, che proseguiva svolazzandogli di fianco. – Che lavoro di merda che mi è toccato. Si misero in fila, una fila enorme che tutto sommato scorreva anche abbastanza veloce. Anche perché mentre le Guardie Vicariali assegnate al controllo d’imbarco controllavano i multipare dei devoti quando erano sempre in fila, questi piano piano si avvicinavano all’imbocco del sifone che funzionava come un aspirapolvere: risucchiava in una sorta di sottovuoto (che sottovuoto non era) le persone trascinandole in alto. – Preparatevi ad ascendere al Primo Cielo. Centro di raccolta e smistamento e prima accoglienza del Vicariato di Bot. Sono vietati malati contagiosi, animali organici e inorganici umanoidi. Per tutti gli altri Ippurrà. La fila era piena anche di queste persone: gente con campanelli e ventagli e ammennicoli che lanciava ogni sorta di augurio e benedizione a chi si apprestava a salire, e che coglieva l’occasione per ricordare cosa si poteva o non poteva fare. Mentre avanzavano Curtis continuava a guardarsi intorno con circospezione. poteva essere che qualcuno lo avesse seguito, acne lì, anche se stava agendo sotto copertura e senza aver avvertito nessuno. – Multipass, per favore. – La guardia aveva in mano la pistola scanner per il codice genetico e la sua comparazione. – Eccolo! – Curtis sfoderò il migliore dei suoi sorrisi e porse la tessera in pvc per il controllo. Era terrorizzato. Magari poteva essere che la tessera fosse fatta male o sbagliata, che l’informatore avesse preso i suoi soldi per una dose di cybermeth e gli avesse portato il multipass di un qualche malcapitato a cui avevano rifilato una scarica elettrica. Magari anche l’informatore era in combutta il G.O.D. o con il Papa Vuoto e lo aveva incastrato. – Grazie mille Signor Hamilton. Vada pure, buona permanenza. Ippurrà. – Ippurrà a lei. E quindi il multipara genetico taroccato funzionava. Questa era un’ottima notizia. – Signor Hamilton? – Chiese Osm che era di nuovo sorto dalla tasca in cui ormai stava nascosto per non essere confiscato (gli Organismi Senzienti di Monitoraggio non erano ben visti dai religiosi in generale). – Si, dovendo scegliere ho scelto il nome di uno scrittore di secoli fa. Edmond Hamilton. Cerca nel database, vedrai che lo trovi. – Non me ne frega nulla. Shhh. Stiamo arrivando all’entrata della bretella, io torno in tasca. Divertiti. – Vaffanculo, vai, limone. Era il prossimo. Le persone venivano accompagnate più o meno energicamente dentro il sifone da una spinta dell’Operatore di Viaggio, perché una volta arrivati sull’orlo di quell’abisso al contrario lo spirito di sopravvivenza di molti pellegrini aveva la meglio e titubavano. Allora l’Operatore gli dava una piccola spinta et voilà: risucchiati dal celestiale gorgo. Toccava a lui. L’Operatore gli fece cenno con la mano destra di entrare mentre con la sinistra lo accompagnava nel movimento. Lui chiuse gli occhi e pùm. La pressione e il cambio di velocità e altitudine lo fecero sentire come fatto, ubriaco. Poi la corsa che poteva essere durata un secondo come tre giorni si fermò e lui fu afferrato da due braccia che lo depositarono a terra. L’Operatore del Primo Cielo lo tirò fuori dal tubo. Aprì gli occhi: molto bianco. Molto rosso. Molto oro. Troppa luce. Il primo Cielo del Vicariato di Bot. – Ippurrà – disse il Detective Newton, e si avviò verso la piazza principale. Aveva un nodo da sciogliere.

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Delos Veronesi – Winter (watson, 2016)

In quest’ultimo anno ho seguito con particolare interesse il lavoro della casa editrice romana Watson Edizioni, particolarmente attenta alla realtà del fantastico italiano e che nel 2018 ha sfornato non poche perle letterarie di genere. Per questo motivo sono stato davvero contento quando Delos Veronesi, l’autore del romanzo di fantascienza di cui vi sto per parlare, mi ha proposto il suo lavoro, Winter. Winter è un romanzo cyberpunk con massicce sfumature thriller e action. Nicolas, il protagonista, è un killer silenziosissimo, letale, schivo, freddo come l’inverno, e per questo si fa chiamare Winter appunto. È il risultato di una spietata operazione scientifica, il Progetto Newman, portata avanti da alcuni scienziati che gli hanno tolto tutto, persino il nome, e hanno trasformato lui e altri giovani uomini in macchine mortali. Dopo aver incontrato fortuitamente una donna, July, e averla salvata dai suoi persecutori, Nicolas sembra man mano ammorbidire la corazza caratteriale che lo avvolge e divenire sempre più umano a contatto con lei. Tuttavia il suo mestiere esporrà i due a enormi rischi, e durante una pericolosissima missione contro un boss della malavita, Winter dovrà fare i conti con il suo passato, trovandosi faccia a faccia con gli altri soggetti del Progetto. Siamo in un futuro non troppo lontano, metropolitano e classista. L’enorme città in cui i personaggi si muovono è scura, ipertecnologica e profondamente disumana. I livelli rappresentano una gerarchia non scalabile, in cui i sottoposti sono costantemente costretti a fare i conti con chi si trova sopra di loro… a meno che non si è una di quelle bestie super umane uscite dal Progetto Newman. Veronesi è bravissimo a rappresentare queste ambientazioni scintillanti e allucinate, che ricordano vagamente il William Gibson più fulminato de La notte che bruciammo Chrome, pur non calando mai i propri personaggi nella realtà virtuale. Il tema della crescita umana dell’essere sviluppato in laboratorio è il fulcro di tutta la narrazione: “Ci vuole più coraggio a mostrarsi vulnerabile che a nascondersi al mondo. Tutti siamo capaci di vivere al meglio quando ci sentiamo forti. Non aver paura di ammettere che hai delle debolezze e impara a conviverci con coraggio.” Tuttavia il romanzo è forte anche dal punto di vista dell’azione. Non mancano infatti l’avventura e la suspence, con scene anche piuttosto violente e sanguinolente, in particolar modo nel finale, quando Winter deve affrontare i suoi vecchi fratelli in una sorta di circo di sangue. La precisa descrizione delle varie lotte tra super umani mi ha fatto pensare a un videogame, tanto che mi sono chiesto se l’autore non si fosse per caso ispirato a un qualche videogame di nuova generazione di cui ignoro ovviamente l’esistenza. Dopo avergli rivolto direttamente la domanda, Veronesi mi risponde che quelle battaglie sono il frutto di tredici anni di Ju Jitsu, e ha aggiunto che è meglio non sapere quanti danni ha fatto mentre mimava alcuni combattimenti; voleva che fossero (scifi e super umani permettendo) tecnicamente realistici e verosimili. E credo che ci sia riuscito in pieno. Winter è dunque un romanzo che consiglio caldamente agli amanti della fantascienza di azione, che non disdegnano però tematiche di crescita dei personaggi. Una sorta di western futuristico che cerca, riuscendoci, di essere anche, a suo modo, di formazione. “Non c’erano limiti alle possibilità d’omicidio e, come gli era stato insegnato, i migliori assassini sono quelli che non sanno di esserlo perché compiono il loro dovere senza paura. Non possono essere smascherati, in quanto non hanno nulla da nascondere, e soprattutto non falliscono mai.”

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