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Valis

La fantascienza è visione del futuro, controcultura, viaggi della mente, spazi sconfinati, costellazioni immense, replicanti umani, pianeti incredibili, capovolgimenti delle morali, filosofie divine, città post-atomiche, il cielo sopra il porto dal colore della televisione sintonizzato su un canale morto, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B che balenano nel buio vicino alle porte di Tannhäuser,
VALIS è il contenitore della letteratura di Fantascienza su In Your Eyes Ezine, dentro cui si recensiscono i grandi classici ma anche le nuove pubblicazioni, si discute dei grandi autori e delle ultime leve, si cerca di vivisezionare il mondo editoriale fantascientifico in tutte le sue forme, su tutti i pianeti.

Riccardo Cuor Di Maiale. Della Morte E Della Fine (seconda Parte)

Riccardo cuor di maiale. Della morte e della fine (seconda parte). Racconto di Daggo Roschi Leggi la prima parte 4 Mi avvicino alla rete elettrosaldata che delimita il recinto. Riesco a vedere i maiali imprigionati al di là della rete, un gruppo di tre scrofe assieme a una quindicina di piccoli riempie l’aria di suoni: grugniti brevi, grugniti semplici, grugniti staccati, grugniti lunghi. Un piccolo, spaventato dalla mia presenza, emette anche un latrato. La madre lo tranquillizza, lei non ha paura di me. I maiali associano la figura dell’uomo alla manutenzione delle stalle, niente di pericoloso per loro. Il piccolo, prudente, si nasconde comunque tra le gambe della madre. Diversamente dal fratello codardo un altro suinetto che mi si avvicina incuriosito, è davanti alla rete e spinge il piccolo grugno fuori dagli esagoni in fil di ferro. Intenerito, mi faccio mordicchiare le mani. I denti a spillo sarebbero in grado di farmi male ma non è quello che succede, l’animale sta usando la bocca delicatamente, come io farei con la mano, è il suo modo per esplorare il mondo. Con le tenaglie inizio a recidere la rete e nell’arco di un minuto ho aperto una via di fuga.   5 Riccardo Diella ha la testa quasi attaccata al collo, il naso prominente, le narici rotonde, le fessure oculari a virgola e le sopracciglia ispide come pelo. Tutte queste cose si stagliano su una faccia stranamente rosea. Il suo viso, lo pensano in molti, lo fa apparire come un grosso verro. Chi sa come si accenderebbero poi, gli stessi paesani, se scoprissero che le analogie non si fermano solo al volto. Se lo si denuda, infatti, il numero delle affinità continua a crescere. La distribuzione dei peli, sporadici e ispidi, riprende in pieno quella di un maiale rosa e anche la forma dei prosciutti delle cosce, grasse e poderose, è parimenti analoga. L’enorme scroto poi, sormontato da un fallo dalla forma vagamente a cavatappi, è quanto di più affine ha sempre ritenuto di avere con l’animale. La cosa si estende anche all’anatomia interna: le masse muscolari, almeno secondo l’ultima tomografia, sono ben infiltrate di grasso (ovvero marezzate nel gergo dei macellai) e lo strato sottostante la pelle, l’ipoderma, così ben sviluppato da renderlo metaforicamente ricoperto di cotenna. Se non fosse perché sta in piedi, a volte lo pensa anche Riccardo, sembrerebbe decisamente più un suino che un essere umano. C’è poi un ultima stranezza, qualcosa che precipita Diella in maniera definitiva e conclusiva verso l’area semantica dei suini e in cui, se non si conoscono i fatti, si potrebbe vedere l’accettazione consapevole da parte di Riccardo del destino manifesto nella sua persona: lavora in un allevamento di maiali. Per farlo ogni mattina sposta i suoi 106 kg dal dormitorio di Prato dove vive verso la Tenuta del Porco, dove applica i protocolli di gestione Staghero. Il suo lavoro consiste per lo più nel rifornire il miscelatore con scarti ortofrutticoli e avanzi delle mense, far vibrare con lo scuotitore vari alberi da frutto (che secondo la stagione sono meli, ulivi, fejioe, querce, noccioli, mandorli, castagni, giuggioli, susini, peri e diversi altri frutti stranieri in fase di validazione sperimentale), effettuare la settimanale pulizia straordinaria delle stalle e controllare in generale che tutto vada bene.   6 Ogni tanto mi capita di ripensare a quando, da adolescente, feci scappare dei maiali dal recinto cinque. Mi beccarono in flagrante circa due minuti dopo: il proprietario passava dalla redola che stavo percorrendo col suo fuoristrada. Provai anche a nascondermi, ma il cuore non mi permise di farlo. Mi trovo affannato, appoggiato a un leccio, e insisté per accompagnarmi fuori dal bosco. Capì tutto nei giorni seguenti l’uomo, quando sarebbe stato troppo tardi probabilmente, se non fosse stato per la telecamera che l’assicurazione gli obbligava a tenere sul parabrezza della macchina. Il mio viso, le tenaglie impercettibilmente sporgenti dal giacchetto, la targa del motorino con cui me ne ero andato: compariva tutto chiaramente nei video. I primi a dirmelo furono i carabinieri: mi aspettarono direttamente fuori da scuola, era un pomeriggio di primavera. Alla fine, alla luce della particolarità del mio caso, ci fu comunque molta indulgenza nella mia condanna: avrei dovuto lavorare tutto il resto dell’estate nell’allevamento, nient’altro. Il miei si dissero d’accordo, il cardiologo anche (purché mi limitassi a compiti leggeri) e così, quattro giorni dopo la sentenza, mi trasformai da liberatore in carceriere. La prima cosa che scoprii a lavoro è che, dei maiali che avevo liberato, solo uno era scappato. Gli altri si erano fatti una girata fuori, ma la notte stessa erano tornati alla stalla. Quello mancante lo ritrovai io stesso, la terza settimana dei miei lavori forzati: era in una fossa, morto. Probabilmente si era rotto una gamba durante la libera uscita, scendendo da un dirupo troppo ripido, uno di quelli che dentro il recinto sarebbero stati preventivamente appianati. Fu in quel momento, guardando il suo corpo in decomposizione, che capii come stavano le cose. I suini dell’allevamento non erano dei reclusi, ma dei privilegiati: vivevano in un paradiso dove non conoscevano morte, fame e malattia. Nascevano e vivevano nel benessere, imparando che di tanto in tanto i membri della loro orda scomparivano e che, una volta che fosse giunto il loro turno, anche loro sarebbero scomparsi per ricomparire accanto a coloro che precedentemente avevano perduto in un nuovo recinto. Nessuno dei maiali dell’allevamento, in tutta la sua vita, avrebbe mai visto un suo simile morire, invecchiare o soffrire, l’unica cosa di cui avrebbe avuto percezione sarebbe stato lo scorrere del ciclo. Per me, che sono un uomo ma anche un maiale, quello era il massimo dono che potessi fare ai miei fratelli e credo che, anche se non so di preciso in che modo gli animali si rendano conto della vita e della morte, i porcelli, se potessero dire la loro, sarebbero d’accordo con la mia valutazione. Mi impegnai molto quell’estate e, complici gli incentivi per le assunzioni degli invalidi, venni assunto appena diplomato nel podere. Tutt’oggi ci lavoro. Ora mangio anche carne di maiale, perché mi piace sapere che così facendo riesco a garantire la continuità dell’allevamento, ma i dottori dicono che dovrei smetterla, per via del troppo colesterolo che si deposita nel cuore. Non riesco più a smettere però: quando mastico un panino con la porchetta mi sento come se stessi facendo qualcosa di profondamente sacro, a volte, senza farlo apposta, mi scopro a pensare parole da mistico: sangue del mio sangue e carne della mia carne.   7 Riccardo è un uomo di quarant’anni e si è svegliato in mezzo alla notte, è in affanno e gli duole il cuore, ha fatto un incubo stranissimo: ha sognato che la razza umana è stata creata da degli alieni, fatta a loro immagine e somiglianza, e che gli alieni li avevano voluti così perché avevano bisogno di esseri da cui rifornirsi di organi. Gli alieni a modo loro amavano molto l’umanità e, seppure i suoi membri fossero stati creati con lo scopo di morire per far vivere la loro specie, per allevarla crearono un luogo bellissimo, un dedalo di giardini, dove ogni cosa era stata preposta per l’uomo. Un giorno però, una donna si arrampicò sulla cima di un albero per coglierne i frutti e cadde al suolo. I suoi compagni le si radunarono intorno. Erano incapaci di comprendere cosa le fosse successo e, quando gli alieni la trovarono, la donna ormai era morta. Non avrebbe dovuto arrampicarsi, le era stato vietato di salire a cogliere i frutti troppo in alto, ma lei aveva disobbedito. Gli uomini allora chiesero ai creatori che cosa mai fosse successo e gli alieni, che mai una volta avevano mentito agli uomini, li fecero parte della conoscenza della morte e della fine. Quel giorno gli alieni se ne andarono, non potevano più pagare le vite delle persone con l’ignoranza della morte e la loro morale gli impediva di barattare una simile merce utilizzando qualunque altra contropartita. Mentre vedeva allontanarsi le astronavi, il Riccardo del giardino, provò una grande angoscia. Fu in quel momento che si svegliò.   FINE

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L’incal, Di Jodorowsky E Moebius

L’incal, Di Jodorowsky E Moebius: Faccio outing, sperando che non troppi di voi mi odieranno dopo tale dichiarazione: non apprezzo Jodorowsky, né come reg…

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Lucenti, Uduvicio Atanagi (eris Edizioni, 2018)

Lucenti è l’ultimo romanzo pubblicato da Eris Edizioni nella collana di narrativa Atropo. L’autore del romanzo assume il nome de plume di Uduvicio Atanagi, celando dunque la sua vera identità. Quel che sappiamo di Atanagi è che nel corso degli anni ha usato diversi pseudonimi, scrivendo nell’ambito del genere fantascientifico aderisce al movimento connettivista, quindi pubblicando con Kipple dei racconti e poi un romanzo, I giorni tristi, e un altro romanzo con Meridiano Zero, Mentre l’Italia brucia. È accompagnato in questa avventura con Eris Edizioni da AkaB, talentuoso illustratore con molti lavori alle spalle e tra le altre cose regista del coraggioso lungometraggio “Mattatoio” presentato al Cinema di Venezia. AkaB disegna alcune tavole che inframezzano il lungo racconto, tavole dai tratti onirici, graffianti, affascinanti. Le illustrazioni di AkaB sono come i ritagli suggestivi di una pellicola strappata, sono pittoriche gemme chiaroscurali, piccoli quadri sottocorticali.   Lucenti è una storia fantastica e nera, una favola moderna la cui morale è racchiusa forse nell’archetipo delle emozioni umane. Un’esposizione ancestrale di presagi e carne, di violenza, di scoperte e paure. “…cos’è che lega il tempo al sangue? È forse il sangue stesso quello che noi chiamiamo tempo? Il tempo scorre, come sangue, il tempo è il sangue, è ciò che ci trasporta e l’eco della nostra esistenza.” Il podere Lucenti prende il nome dalla famiglia che lo ha abitato da più di 400 anni. Si trova vicino a Siena, e il tempo lì sembra come risucchiato in un limbo, un limbo abitato da boschi, vecchie credenze, strani rituali. Lungo il tempo e lo spazio si rincorrono le generazioni Lucenti, individui misteriosi e potenti, carismatici, dagli istinti bellicosi, il carattere animalesco, con un misterioso rancore incubato nella pelle. Le tradizioni del paese sono in connubio esoterico e quasi primitivo col bosco, le vecchie e i contadini vi si addentrano intonando strane cantilene, seguono riti che sembrano antichissimi, antichi come la terra che calpestano, come il sangue che è stato versato. “…e vedevano cose e si inchinavano ad altre cose in strane luminosità, in strani tempi che le facevano ricordare la terra, il sangue, il tempo, il sangue che diventa tempo e poi ancora polvere e tempo, quella sostanza, fresca e viscida, simile al fango.” Ed è nel fango che Mino, protagonista narrativo, che si imerge completamente, al limitare del podere in cui vive, completamente nudo, sentendosi così protetto, estraniato da tutto il dolore, la terra che seccandosi gli forma una corazza sul corpo, perché: “A volte era così assorto che rimaneva lì per minuti, risvegliandosi solo quando il corpo lo costringeva a riprendere aria, a volte si dimenticava di esistere e allora stava benissimo, (…)Un mostro, pensava, io sono un mostro, un mostro che scompare e si cela, un mostro senza forma e con tutte le forme, un mostro di terra e di fango, un mostro che dorme, un mostro immerso in un sonno immenso e senza sogni, un mostro che dorme per un miliardo di anni.” Sono forze inconcepibili e arcaiche, umori terrigni, basici e diabolici quelli che attraversano la zona del podere, trasudando dalla terra, creando fantasmatici sogni e e dando forma e consistenza  a una realtà cruda, alternando bui abissali e luci frenetiche di desideri come sopiti. La scrittura potente e immaginifica di Atanagi, si libra in ritmiche notevoli, la punteggiatura spesso intrigante e ben congegnata, grazie al quale il testo diventa fluido e intrigante, modellando una storia forte, che attinge al gotico, all’onirico, al fantasmatico, regalandoci picchi di pura poesia. Penna forte  e capace, quella di Atanagi, ci fa sentire il lavoro di assestamento delle parole sulla carta, che rimbalzano nelle immagini che riesce a creare, nelle sensazioni che sgorgano vive e cupe e bellissime, nel suo crudo realismo magico. “Lucenti” vuole penetrare nella filigrana degli archetipi emozionali, e lo fa in maniera eccellente, con prepotenza descrittiva, con quel linguaggio che sembra essere stato architettato per iniettare visioni.

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Campo Archimede Di Thomas M. Disch

Campo Archimede Di Thomas M. Disch: Ora, tu che leggi conosci i miei sogni: vedi se puoi interpretarli per me, o per te, o per i tuoi vicini. Ma stai at…

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