Rosario è un quindicenne che vive nella periferia di Palermo.
Scopre di avere una inclinazione per il pallone ereditata dal nonno materno, portiere di successo morto prematuramente; entra a far parte della squadra Virtus Brancaccio dove subisce le vessazioni degli altri compagni di squadra per il suo talento calcistico.
La sua è la lotta di chi nasce nella povertà e deve affrontare difficoltà familiari e umiliazioni da parte dei coetanei.
Il padre assente, cinico e scostante, la madre remissiva e fragile, non c’è guida per Rosario. O forse sì, nel passato, nel ricordo sferzante del nonno portiere che gli parla nei sogni, nei miti greci di cui lo appasiona la lettura, quei semidei e divinità che non temono nulla. Infatti il suo motto è “Iu un mi scantu di nenti e di neddu.” Ovvero, “Io non mi scanso da niente e da nessuno.”
Dentro di lui battono sempre quelle parole che gli ha detto il nonno in sogno e lo sorreggono nella sua lotta quotidiana.
Apprezzabile è l’uso sapiente del palermitano calato, di tanto in tanto, nel romanzo senza appesantire né rendere difficoltosa la comprensione, ma anzi permette di calarsi nella realtà di Brancaccio.
La storia scorre senza nessuna morale incollata alle pagine, viene descritta la stridente divisione sociale tra il centro città di Palermo e la periferia con un senso di comica amarezza.
È una storia bella che non vuole ingentilire il degrado né abbellire la ferocia, la disumanità crudele della periferia.
La povertà è raccontata così com’è, perché merita rispetto. E chi abita a Brancaccio deve farlo con lo spirito di un eroe classico.
EDITORE: Caso Editore