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G4Z4 Surf Chronicles: Snap #1

Un'analisi critica sul ruolo dei media nella narrazione del conflitto israelo-palestinese: disinformazione, censura e complicità nel genocidio. Qual è il vero volto dell’informazione mainstream?

SOLO MENZOGNE

Saranno puniti i seguenti atti: a) il genocidio; b) l’intesa mirante a commettere genocidio; c) l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; d) il tentativo di genocidio; e) la complicità nel genocidio.
Sono questi i punti dell’Articolo III della CONVENZIONE PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DEL DELITTO DI GENOCIDIO firmata il 9 dicembre 1948 ed entrata in vigore il 12 gennaio 1951. Nota anche come UN Genocide Convention, è un trattato internazionale stipulato a seguito della Seconda Guerra Mondiale nel quale si dichiara che “il genocidio è un crimine di diritto internazionale, contrario allo spirito e ai fini delle Nazioni Unite e condannato dal mondo civile, riconoscendo che il genocidio in tutte le epoche storiche ha inflitto gravi perdite all’umanità; convinte che la cooperazione internazionale è necessaria per liberare l’umanità da
un flagello così odioso”.
Al 2022 conta 152 Stati parte. Tra questi anche Israele.

Come introdotto, non voglio qui soffermarmi sull’articolo II che spiega cosa si intende per genocidio, con la consapevolezza che Israele ha violato e sta violando tutti e 5 i punti dell’articolo, ma vorrei porre l’attenzione sui punti C ed E dell’articolo III.

Da oltre 500 giorni stiamo assistendo ogni giorno proprio all’incitamento diretto e alla complicità nel genocidio da parte dei mass media italiani e internazionali.
Come ripete Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, in un’intervista rilasciata a The Rights Forum, “questo è un genocidio giustificato e reso possibile anche grazie ai media occidentali, perché hanno mantenuto una linea aderente alla narrativa militare israeliana, usando quella terminologia e amplificando le falsità”.

Come la notizia dei 40 bambini decapitati da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre, data dalla giornalista Nicole Zedek, di i24News, canale israeliano. In pochissimi minuti ha fatto il giro del mondo arrivando persino l’11 ottobre 2023 alla Casa Bianca quando il presidente americano Joe Biden in una conferenza stampa affermò: “Non avrei mai pensato di dover vedere e confermare foto di bambini decapitati da terroristi”. Dichiarazione smentita in poche ore da un portavoce della stessa Casa Bianca.
La Repubblica, Ansa, Corriere della Sera, Il Messaggero e altre testate italiane e internazionali hanno divulgato come verificata la notizia dei bambini, tutte si sono basate su fonti provenienti da Israele, anche quando durante la serata dello stesso 10 Ottobre è arrivata la smentita di un funzionario del governo israeliano all’agenzia turca Anadolu.

Oppure la menzogna degli stupri di massa compiuti da Hamas il 7 ottobre. Dall’articolo scritto a tre mani per il The New York Times al resto del mondo occidentale, anche in Italia i giornalisti si sono buttati a capofitto su questa notizia diffondendola a più non posso. Ma anche per questo fatto non ci sono prove. Basti pensare che il lavoro di investigazione è stato affidato ad una organizzazione privata israeliana, riconosciuta dallo stesso governo. ZAKA – Identification, Extraction and Rescue – True Kindness a cui era stato affidato anche il compito di recuperare i cadaveri dopo l’attacco del 7 ottobre. L’8 ottobre 2023 aprì una raccolta fondi. Al 31 gennaio 2024 raccolse oltre 50 milioni di shekel (13,7 milioni di dollari). Persino secondo Haaretz, la condotta di ZAKA all’indomani degli attacchi fu poco professionale, compreso il confondere i resti e la diffusione di disinformazione su atrocità che non sono mai accadute al fine di raccogliere fondi, ma non solo. L’organizzazione inquinò la scena del crimine, riscontrando il plauso del responsabile dell’informazione del governo israeliano, in quanto permise di rappresentare i combattenti di Hamas come mostri, legittimando così l’uso di una violenza inaudita contro la popolazione palestinese.

Da qui in poi ne abbiamo sentite e lette di ogni.
Ricordo alcuni interventi di giornalisti o presunti tali su alcune reti nazionali che riportando queste notizie tenevano, senza mezzi termini, a fomentare l’islamofobia raccontando solo un punto di vista, quello israeliano, giustificandone le azioni a causa del 7 ottobre, come se la storia di questo conflitto fosse iniziata quel giorno.

Hanno cercato di normalizzare i bombardamenti di Israele alle scuole e agli ospedali giustificando l’azione ripetendo sempre lo stesso mantra: “ Hamas si è nascosto sotto tale scuola e tale ospedale”, come sotto l’Al-Ahli hospital di Gaza City, sotto Al-Shifa Hospital, sotto il Nasser Hospital a Khan Yunis, sotto l’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia e così per le scuole.

Per non parlare di tutte le notizie nascoste dai nostri giornali e telegiornali rispetto alle azioni che Israele compie quotidianamente nei confronti della Striscia di Gaza e, specialmente dall’inizio del cessate il fuoco, nei confronti delle terre occupate di West Bank. Ma anche la censura che Meta attua verso le notizie che vengono dalla Palestina, infatti bisogna cercarle e se invece già se ne parla sui propri canali, la censura è assicurata.

I mass media hanno, o dovrebbero avere l’obiettivo di diffondere la verità, in modo da dare al pubblico informazioni corrette, verificate e quindi gli strumenti adeguati per capire la realtà. Se pensiamo che l’80% degli italiani dichiara di guardare un telegiornale tutti i giorni, salta subito all’occhio quanto sia importante il modo con il quale le notizie vengono diffuse, il dibattito e le riflessioni che vengono generate e quanto tutto questo influenzi l’opinione pubblica. Portando quindi il giornalismo ad avere un ruolo decisivo nel conflitto, sia esso attraverso i media tradizionali o social.

Occorre dire che difficilmente troveremo un’informazione indipendente in Italia. Ai vertici della gestione ci sono 4 società: Gruppo GEDI (Agnelli-Elkann), Fininvest (Berlusconi), Cairo Communication e Caltagirone Editore. Tra i giornali che non sono gestiti da società finanziarie, ci sono: Il Manifesto, che beneficia di contributi pubblici; e Il Fatto Quotidiano, il cui capitale è diviso tra diversi azionisti, per lo più giornalisti ed editori.
I giornali indipendenti in Italia sono pochi e si tratta di piccole realtà, con tirature ridotte o solamente digitali, spesso sconosciuti.

– Un’occasione persa –

Tempo fa sono stata contattata da un giornalista professionista della Gazzetta dello Sport (Cairo Communication), peraltro surfista e scrittore di Surf. Il suo intento era quello di raccontare il Surf a Gaza dopo aver visto alcune mie storie su Instagram. Pur essendo molto dubbiosa a riguardo ho ritenuto che avesse senso provare. Dopo aver condiviso con lui e prima ancora con il consulente di Surf della Gazzetta, tutto il materiale e le informazioni che possiedo riguardo i surfisti di Gaza e quasi due ore di telefonate, la mia intenzione era sì divulgare le loto storie attraverso un media potente, ma allo stesso tempo evitare la retorica dello sport che unisce a tutti i costi, della “fratellanza globale dei surfisti”, e della “guerra tra le due fazioni”, come se si parlasse di un conflitto ad armi pari e non di un genocidio. Da quelle telefonate non ho avuto più notizie. Una settimana dopo, scopro, per caso, che l’articolo è stato pubblicato, e indovinate qual è stata la prima frase?
“Il Surf e lo sport uniscono e continueranno ad unire, e lo fanno anche durante la guerra tra Israele e Hamas”. Ed è solo l’inizio. Seguono una serie di inesattezze, incompetenze e banalità, scritte con un registro da oratorio, in cui si distorce la realtà dei fatti e la reazione della comunità Surf internazionale. Lo sport unisce a tal punto che sia alle Olimpiadi sia nelle gare del WSL, Israele continua a partecipare nella totale impunità, nonostante stia violando il diritto internazionale.
Ero stata avvertita che non avrebbero potuto raccontare tutto, che i grossi gruppi editoriali debbano mantenere una linea che censura certi termini e certe idee, ma non mi aspettavo un racconto banalizzato e falsificato della realtà, impreciso e vago, intriso di retorica pseudo sportiva. Ancora oggi mi chiedo se il giornalista si è reso conto che stava parlando di persone vere, di famiglie vere che stanno affrontando una delle peggiori catastrofi a noi contemporanea.
L’unica nota positiva è che il mio nome non è stato citato nell’articolo, altrimenti oltre a tanta rabbia, proverei anche tanta vergogna.

Spero solo che tutte queste e, molte altre azioni di Israele vengano presto viste come falle del suo sistema e come dice Ilan Pappè nel suo “Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina – dal 1882 a oggi -” – “Credo che siamo all’inizio della fine del progetto sionista in Palestina”.

Per supportare I surfisti e non solo: https://linktr.ee/summerkahlo?utm_source=linktree_profile_share&ltsid=5a7cbc2e-1100-4845-890a-f498b731b604

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