The People’s Temple – Weekends Time
“Weekends Time” è la svolta garage pop dei People’s Temple, l’ennesimo camaleontico passo in avanti
“Weekends Time” è la svolta garage pop dei People’s Temple, l’ennesimo camaleontico passo in avanti
Musical Garden riporta i People’s Temple in carreggiata a suon di copiose dosi di garage punk e psichedelia Nuggets
L’esordio dei Sultan Bathery è un mix infiammato e fuzzoso di garage rock e psichedelia con ascendenze orientali.
Il mancato esordio degli Hunt è un post-punk gotico che sfocia nell’hardcore.
11 pezzi scarni e veloci, che mirano dritti al bersaglio prendendo la strada più breve e brillano (chi più chi meno) per semplice e insana ruvidità.
How To Make A Monster dei Rebel Set è un viaggio orrorifico accompagnato da rozzi sputacchi garage surf
Boot! È il free-jazz e il jazz d’avanguardia che flirtano prepotentemente con il noise
L’esordio dei Nightmare Boyzzz su Slovenly Recordings è un’esplosione incontrollata di power-pop e pop-punk con visibili tracce di roots rock’n’roll nel sangue: Buzzcocks, Exploding Hearts, Undertones, Marc Bolan, Queers, Marked Men, Thin Lizzy e Jay Reatard che fanno all’ammore.
Anno pieno per i Missing Monuments dell’instancabile menestrello dell’underground sudista King Louie Bankston.
Reduci dal coro quasi unanime di riconoscimenti per “In Love With Oblivion” (Slumberland/Fortuna Pop, 2011), i Crystal Stilts ci riprovano a due anni di distanza, su Sacred Bones, con questo Nature Noir.
La transizione avviata con il precedente New Moon, verso un indie rock dalle forti influenze roots rock, folk e country-blues, sembra, a prima vista, aver trovato il suo compimento in Campfire Songs, un EP di cinque pezzi totalmente acustici da suonare davanti al focolare, o davanti al falò in spiaggia nelle notti d’estate. Ma le interpretazioni da critico navigato, in questo caso, lasciano un po’ il tempo che trovano: i cinque pezzi che compongono l’EP sono stati effettivamente registrati davanti ad un falò durante le sessioni di New Moon, e quindi più che di fronte ad immaginifiche transizioni siamo davanti ad un tipico esempio di sano cazzeggio made by The Men.
Scrivere dei Bardo Pond non è un’impresa facile. Attivi fin dall’inizio degli anni ’90, hanno apposto il proprio monicker su qualcosa come una ventina tra album ed EP (per non contare poi i progetti paralleli, quelli sotto falso nome, le collaborazioni, etc.). Autori di un rock granitico dai contorni sfumati – spaziale, rumoroso, sperimentale, post-rock, drone, krauto, shoegaze e pop, a seconda dei casi – una sorta di lento mantra psichedelico sognante e rumoroso, una ninna nanna sfibrata dal consumo di acidi.