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Recensioni Rock

Il rock, o musica rock, è un genere della popular music sviluppatosi negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel corso degli anni cinquanta e sessanta del Novecento.

Alos – Embrace the darkness

Stefania, come sempre, ci porta oltre e si mette totalmente a nudo, facendoci vedere anche a noi l’abisso che ha visto lei, ma come detto sopra abbraccia la tenebra per vedere la luce, ed è questo il messaggio, perché anche dopo colate laviche di millenni c’è sempre una vita che grida e che batte sulla pietra. Alos è una metà degli OvO con Bruno Dorella, oltre che ad aver partecipato a milioni di collaborazioni e altri progetti uno dei progetti più importanti e catartici del sottobosco musicale italiano. Alos è caos, Lilith, la nostra antica sapienza che abbiamo perso, è abbandono, lussuria del male, il cervello rettiliano che annichilisce la corteccia cerbrale, sono le serate fuori dalle nostre caverne di cui non ci ricordiamo più. Questo suo ultimo lavoro “Embrace the darkness”, uscito in collaborazione con DioDrone e Archaeological Records, con un bellissimo libretto di 36 pagine edito da Occulto. Il lavoro, come sempre per Stefania aka Alos, è qualcosa di unico ed irripetibile, e nasce registrato dal vivo in vari luoghi sull’isola di Stromboli, durante una residenza musicale di Alos al festival Marosi di Stromboli. Stefania negli ultimi tempi ha attraversato un periodo molto difficile a livello di salute, perendo anche la voce, ed è arrivata fino a qui passando attraverso un difficile percorso di riabilitazione, guardando davvero in faccia la morte, e come scrive benissimo Chve degli Amenra ( altro gruppo fondamentale del panorama oscuro musicale di questi tempi), : “Uno sguardo senza tempo nella sfera artistica di Stefania aka Alos, che permette di ascoltare e vedere attraverso la sua lente, i suoi sensi. E in definitiva di sentire cosa la natura di Stromboli stava cercando di dirle. Che si tratti di una grotta o di un vulcano, Alos è il tramite definitivo per uscire fuori da voi stessi ed entrare nell’essenza dell’altra entità. Gli ultimi anni le hanno fatto vedere e non vedere le profondità della vita, e ora lei ha la sua storia da raccontare. Noi e il mondo, come testimoni, siamo benedetti da Alos, madreartista arcaica e strega moderna. Ora lei ha la nostra storia da raccontare. Abbraccia l’Oscurità e adora la Luce.” e avrebbe già detto tutto lui in queste righe, e ognuno ricaverà qualcosa da questo disco, che è un disco in pratica senza musica, un’interazione continua fra Alos e l’isola di Stromboli, sempre con il suo stile particolare fatto di suoni arcaici e di totale fusione con la natura. Avendo personalmente oltrepassato certe barriere, Alos è in grado di cogliere l’essenza dell’isola vulcanica, di ciò che sta sopra e di ciò che sta sotto, di ricercare la luce attraverso la tenebra, concetto alchemico molto importante e fra le sapienze più antiche del nostro genere animale. “Embrace the darkness” è un disco totale ed immersivo una vera e propria esperienza sonora, senza le menate di genere o sottogenere, si colloca fra la terra, in questo caso specifico Stromboli e l’umanità, ovvero Alos e noi che ascoltiamo questo disco. Stefania è una sciamana, che come gli antichi sciamani facevano, diventa tramite fra una dimensione diversa e la nostra, e lo fa perché vede oltre grazie alle sue esperienze, e non sono visioni intese nel senso comune, ma toglie un velo e ci permette di vedere ciò che realmente è, o meglio ciò che è in quel momento entropico particolare. L’isola di Stromboli è un luogo unico e questo lavoro ci mostra in profondità questa particolarità, filtrata attraverso la visione archetipa ed arcaica di Alos, ma siamo davvero convinti che questo sia il nostro passato ? O siamo sempre stati così e lo vogliamo negare in nome di un illuminismo oche ha fatto più danni che altro ? Siamo grida, rumori e cenere, e questo lavoro ce lo ricorda molto bene, portandoci anche oltre queste concezioni e queste categorie. Un disco che si snoda in orizzontale, privo della musica che ricerchiamo per distrarci, ricolmo di un linguaggio che ci tocca dentro e che al termine dell’ascolto lascia tantissimo. Stefania, come sempre, ci porta oltre e si mette totalmente a nudo, facendoci vedere anche a noi l’abisso che ha visto lei, ma come detto sopra abbraccia la tenebra per vedere la luce, ed è questo il messaggio, perché anche dopo colate laviche di millenni c’è sempre una vita che grida e che batte sulla pietra. Alos – Embrace the darkness

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GIORGIO CANALI & ROSSOFUOCO – PERICOLO GIALLO

Può piacere o meno, essere amata o “divisiva” (come dicono quelli bravi del “politicamente corretto”, o pirletto) ma una figura come quella di Giorgio Canali resta sempre importante nel contesto della “scena alternativa” italiana e un costante punto di riferimento per il rock indipendente a tutto tondo. Personaggio mai banale, dissacrante e provocatorio, controcorrente e controverso, scomodo e contraddittorio, al tempo stesso profondo e sboccato, poetico e crudo, riflessivo e istintivo, eccentrico e riservato, incazzato e tenero, irriverente e schivo, essere pensante e cane sciolto per definizione (non si ritrova in nessuna ideologia/movimento e, coerentemente, manda a fanculo tutti) Canali, tra una bestemmia e una testata tirata ai microfoni sui palchi, è musicalmente attivo e in giro da quattro decenni (come tecnico del suono, produttore discografico e musicista) tra Italia e Francia, e un pochino di “storia” dell’alternative rock nostrano l’ha scritta anche lui (egli stesso si definisce “un vecchio di merda” e un boomer) con le esperienze fatte negli ultimi CCCP Fedeli Alla Linea, che poi sono diventati i C.S.I. (coi quali ha assaporato un inaspettato “successo” da primo posto nella classifica di vendite) e poi P.G.R., parallelamente all’inizio di una parabola solista dalla fine degli anni Novanta col disco “Che fine ha fatto Lazlotòz“, e poi proseguita coi Rossofuoco, progetto che quest’anno ha salutato la pubblicazione dell’ottavo studio album, “Pericolo giallo“, uscito in ottobre su La Tempesta Dischi. Composto in “modalità smart working” per necessità logistiche, e concepito come un ideale seguito musicale e lirico del precedente full length “Venti” (datato 2020), “Pericolo Giallo” vede il quartetto – composto da Giorgio Canali alla chitarra e voce, Marco Greco al basso, Luca Martelli alla batteria e Stefano Dal Col alla chitarra e piano – alle prese con dodici canzoni che rappresentano, essenzialmente, un ottimo pretesto per tornare a suonare dal vivo (la dimensione prediletta da Canali) in giro per l’Italia, ma anche per esternare il suo punto di vista sulle porcate della nostra epoca, con testi sferzanti e disincantati che trattano di disparate tematiche. E si parte con l’opener “C’era ancora il sole“, un “inno di ottimismo nichilista” (come descritto dallo stesso Giorgio) che parla di scenari post-pandemici, tra informazione tossica e liturgia del pensiero unico imposte dal mainstream dei mezzi di produzione del consenso (telegiornali, siti internet, social network) e il ritorno della “guerra fredda” e dell’incubo di un olocausto nucleare. “Un filo di fumo” è un piccolo manuale di sopravvivenza per le nuove generazioni che, secondo il frontman di Predappio, non sono così idiote come vorrebbero farci credere e, con un piccolo bignami sulla storia e le vicende italiane dal dopoguerra a oggi (la Resistenza, la lotta armata, lo stragismo, strategia della tensione, G8 di Genova e sbirraglia al servizio del Potere borghese e dei padroni, il neofascismo/neonazismo ritornato dalle fogne e oggi di nuovo dilagante, la disinformazione di regime, le storture delle democrature europee) non si propone di istruire le nuove leve, ma solo di metterle in guardia contro lo schifo del mondo che li (e ci) attende là fuori. “Morti per niente” (titolo ispirato da una frase scritta a vernice nel Sessantotto da un anonimo anarchico sul muro bianco di un sacrario francese per i caduti della seconda guerra mondiale) è un saltellante rock ‘n’ roll che tratta della Resistenza, di episodi che l’hanno caratterizzata e della vuota retorica istituzionale delle sue finte celebrazioni da parte della “repubblica democratica” italiana di oggi che la considera solo una ricorrenza da celebrarsi, con frasi di circostanza, soltanto il 25 aprile e l’ha completamente tradita e non ha mai fatto realmente i conti col fascismo (che, come canta Canali, è sempre qua, non è mai stato spazzato via, è un cancro dentro ogni Stato, e ogni Stato è uno stato di polizia) rimasto impunito e da trent’anni a questa parte sdoganato dal berlusconismo e rivalutato dal revisionismo storico all’italiana, e una amara ode a tutte quelle persone che hanno combattuto e sono morti per la libertà contro la tirannia nera che, a ben vedere, non è mai scomparsa, ma si è solo riciclata e camuffata nelle cosiddette “istituzioni democratiche” tra strategia della tensione, colpi di stato militari, P2, Gladio e compagnia massonica deviata. In “Solo stupida poesia” si cambia registro con una ballad che parla d’amore e di un Canali (oggi di stanza a Perugia) che ha ritrovato ispirazione artistica e felicità nella sua sfera privata, mentre nella title track si ritorna a un R’N’R più ruspante e a liriche che prendono spunto dall’allarmismo che, alla fine dell’Ottocento, si era diffuso in Europa riguardo a una fantomatica invasione cinese e dell’Estremo Oriente che cresceva, demograficamente, a dismisura e avrebbe costretto il “primo mondo” occidentale-bianco-democratico-cattolico-industrializzato-civilizzato-evoluto a mangiare riso, nidi di rondine e cani: tecniche sperimentate dal Potere per mantere lo status quo (e instillare nei popoli la cultura della paura, dell’emergenza perenne per deviare sempre più verso l’autoritarismo e l’eliminazione delle libertà, del servilismo verso il capo che ti ordina cosa fare e dell’odio per il “diverso”, per lo “straniero” e per tutto ciò che è lontano e differente dal modo del Nord globalizzato atlantista di concepire il mondo) da oltre un secolo a questa parte, e che nel corso dei decenni, grazie soprattutto alle nuove tecnologie, sono state affinate e potenziate, fino ad arrivare a paventare nuovi “pericoli gialli” (la costante minaccia della “dittatura comunista” in Cina è sempre un evergreen e più attuale che mai) e “rossi” (ieri la minaccia sovietica, oggi quella russa) di altri colori (la costante propaganda politica razzista propinata dalle destre e dai mass media contro l’africano che arriva sul barcone a rubarci il lavoro, l’albanese, lo slavo, il rom… è sempre colpa degli altri, mai della mentalità provinciale dell’italiano medio, che si lamenta dietro le tastiere di un computer/telefono, si laurea in tuttologia “studiando” su Facebook presso l’università della strada e della vita, ma non fa nulla per ribellarsi a chi gli fa il lavaggio del cervello né organizzarsi per migliorare la sua condizione di eterno sfruttato dal sistema capitalista neoliberista). In “Pulizie etiche” ci si chiede sarcasticamente “Cos’è andato storto?” in questi anni in cui i ghetti seriosi del politically correct e della woke culture stanno cancellando il diritto all’ironia e la libertà di satira, in un calderone di mixed media che, attraverso la cancel culture, vuole eliminare la storia umana, coi suoi pregi e i suoi errori, dalla memoria collettiva, finché non si affermerà un nuovo nazifascismo globale del terzo millennio che farà piazza pulita della civiltà: una panoramica sulle nostre disgrazie di sudditi di un re imbecille (la televisione, le nuove tecnologie che hanno creato nuovi mostri) che però alla fine ci fotte sempre, e ancora una volta ci si stupisce del silenzio della moltitudine del gregge omologato perché, evidentemente, alla gente va bene così (“andrà tutto bene” un paio di balle) e finché non la tocchi nei portafogli e nei suoi interessi economici privati, tira a campare/sopravvivere e se ne sbatte il cazzo delle questioni morali ed etiche. In “Meteo in quattroquarti” (che nel titolo si riaggancia a “Meteo in cinqe quarti” presente sul precedente “Venti”) la metereopatia è applicata alla condizione umana, e le paure del mondo si confondono con i nostri mali e paure personali, e la movimentata “Quando si spegne il sole“, tra i pezzi più brillanti del lotto per la chimica azzeccata tra musica e testo, è un altro affresco che dipinge una società odierna apocalittica che, tra ingiustizie e neolingue di regime, aspetta solo il famoso meteorite per estinguersi e, tra le righe, prende per il culo le religioni e la l’inutilità del loro fanatismo. “A occhi chiusi” è una avvilita denuncia dei mali e delle ipcocrisie del nostro “Bel Paese” ai quali Canali contrappone l’amore come ricetta perfetta per salvarci dal farci cattivo sangue e dal mal di fegato. “Come si Sta (la Guerra di Pierrot)” è un altro j’accuse generico contro la morte del pensiero critico e gli allocchi che si bevono qualsiasi cazzata di propaganda governativa calata dall’alto da televisioni, siti internet e giornali (ancora una volta, mezzi di produzione del consenso utilizzati dalle elites borghesi capitaliste per indirizzare/manipolare il sentire comune dell’opinione pubblica) dalla guerra per procura della NATO in Ucraina (finanziata anche dal nostro governicchio di “patrioti” sovranisti in camicetta nera attraverso l’invio di armi e fiumi di denaro, alla faccia della Costituzione italiana che, in teoria, ripudia la guerra) al covid (un tasto sul quale Canali, da tre anni a questa parte, ha sempre battuto parecchio) un “riformismo cosmetico” contro cui ci si scaglia anche in “Cosmetico” che rievoca la Nostra Signora della Dinamite contro questa “maggioranza di minorati” che decide anche per le nostre vite. Chiude il disco la robusta ballata intimista di “La fine del mondo“, scritta dall’attore, musicista e amico Aleph Viola. Italiani, non cincischiate: deponete lo smartphone e sostenete il vero rock ‘n’ roll e personaggi genuini come Giorgio Canali. Mandate a fanculo le rockstar milionarie che spostano la residenza fiscale (loro e delle loro band… AssìDissì, Iutiù-BonoVoxpaladinodestaceppa, Rollinstònz e altre cariatidi) in

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Inutili – A Love Supreme

Inutili “A Love Supreme” : nebbioso, solitario, suoni rarefatti, strutture irregolari, più tenebra che luce, un viaggio in luoghi che si credeva di conoscere ed invece, forse, neanche esistono.

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Loia – L’ Alba della Preda

Loia “L’ Alba della Preda”, 2023 – DioDrone e Teschio Dischi : Nel mezzo scorre un flusso di compattezza Crust con tutta la tragicità armonica di un Black Metal affranto e disperato

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THE STOOLS – R U SAVED?

Motor city is burning again. Eh già, perché Detroit, città nota come roccaforte dell’industria automobilistica ammerregana, ma soprattutto culla, alla fine dei Sixties/inizi Seventies, di una delle scene più infuocate nella storia del rock ‘n’ roll, avendo dato i natali a band incendiarie proto-punk come Stooges e MC5 (che vabbè, in realtà erano originari e operativi ad Ann Arbor, ma sempre Michigan è, ora non stiamo a guardà il capello) e anche i Death (non se li caga mai nessuno, ma andrebbrero citati perché ugualmente importanti e pionieristici in una straordinaria parabola di band all black che preferì il rock ‘n’ roll viscerale ai ritmi più morbidi della concittadina Motown, leggendaria etichetta soul/R&B/funk/pop) non vuole smettere di ruggire e dal rombo dei suoi motori ha sfornato anche gli Stools, un trio (composto da Will Lorenz alla chitarra e voce, Krystian Quint al basso e voce e Charles Stahl alla batteria) dedito a un rock ‘n’ roll lercio con venature blues che si richiama a quella tradizione, ma ha assorbito anche la lezione di altri concittadini nati dopo i mostri sacri (e prima dei nostri) e cioé Gories e Negative Approach. E da questa miscela di punk rock, HC punk, blues e garage rock prende forma il sound della band (che infatti si descrive come un incontro/scontro tra le compilation “Nuggets” e “Killed By Death“) che quest’anno, a inizio giugno, ha pubblicato il suo primo Lp propriamente detto, “R U Saved?“, uscito su Feel It Records, dopo una serie di Ep e singoli incisi su Third Man, Drunken Sailor Records e la teramana Goodbye Boozy, e in soli ventitrè minuti di durata ci spara nelle orecchie dodici canzoni d’impatto e a volumi folli: potenti, grezze, distorte e rumorosissime. A cominciare dalla muscolare opener “Stare scared” che mette subito le cose in chiaro, in quanto a ferocia, e anche le successive “Buick boogie” e “Bum luck” sono suonate con piglio quasi hardcore, con gli strumenti maltrattati senza pietà e vocals al vetriolo. Questi giovani (garage) rockers non sono tipi a cui piace essere prolissi, e infatti bruciano in fretta anche “Cut me off” e la title track, mentre “Conner & hell” è una sorta di stomp malato che sfonda i tre minuti e in cui sembra di ascoltare i Cramps che, col featuring di Link Wray da qualche night club giù all’inferno, si divertono a rifare boogie alla John Lee Hooker e altri bluesmen, e su questa falsariga prosegue “Into the street“, per poi lasciare spazio al minuto e mezzo di “Pickin’ out glass” e i suoi ritmi spastici, al blues/punk scorticato di “Rum runner“, alla furia di mazzate punk come “Evangelista” e “Bad eye Bob” che fanno spiccare un salto dalla sedia, e infine concludere con la rovente e psicotica “Tunnels“, quasi tre minuti tritura-timpani. Sia sempre benedetto il rock ‘n’ roll che esprime tutta la sua energia nel giro di due minuti, al massimo tre, senza troppe seghe tecniche e mentali. In questi tempi moderni, dove non c’è più spazio per i sogni e purtroppo regnano sovrane disumanizzazione, stupidità contagiosa e banalità del male, e in cui l’idealismo viene liquidato come qualcosa di vecchio e superato dalla “nuova civiltà” consumista e qualunquista (che venera il denaro come unica divinità e “valore” per misurare e mercificare ogni aspetto dell’esistenza terrena) nell’era della post-verità, c’è invece bisogno più che mai di credere ancora in qualcosa, e gli Stools ci regalano un buon esempio, con “R U Saved?” per continuare ad amare la nostra musica preferita, non smarrirsi in questo mondo di omologazione globalizzata e avido materialismo, non smettere di amare l’adrenalina pura di una scarica di R’N’R, sudare sotto i palchi e sostenere le nostre scene.

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LONG KNIFE: CURB STOMP EARTH 12''-Sabotage Records

LONG KNIFE: CURB STOMP EARTH 12”

Curb Stomp Earth dei Long Knife in realtà è un disco uscito nel 2022, ma colgo l’occasione dell’uscita della ristampa europea in vinile, per parlare di un album strepitoso.

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Anytime Cowboy – Demons Obey

Oramai giunto alla terza uscita, Anytime Cowboy ci da l’ennesima dimostrazione di un bel cervello che non dimostra stanchezza e, quindi, non cede neanche a riempitivi o a soluzioni ormai integrate nella sua grammatica di base

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