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Recensioni Rock

Il rock, o musica rock, è un genere della popular music sviluppatosi negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel corso degli anni cinquanta e sessanta del Novecento.

Lisa Beat and the Liars - Sheena Is A Beat Rocker

Lisa Beat and the Liars – Sheena Is A Beat Rocker

Per loro fortuna queste caratteristiche non mancano a Lisa e i suoi Liars che, nei tre pezzi che compongono questo sfizioso singolo, danno sfoggio di quella fantasia che necessita per confrontarsi con dei veri e propri classicissimi.

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Civic - Taken By Force

Civic Taken By Force

Civic Taken By Force: I Civic sono australiani e, ascoltandoli, non si può aver dubbio alcuno sulla loro provenienza. I Civic non si inventano niente – che sarà poi sta fregola di doversi per forza inventare qualcosa? – e lo fanno magnificamente.

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Bau Indifferentemente

Non un disco per l’estate ma un disco per ogni stagione di ogni singolo individuo. I Bau Indifferentemente conosco la grammatica perfetta per poter parlare al presente in eterno.

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LATTE+ – WORLD OF RETARDED

Ho scoperto i toscani LATTE+ nell’ormai lontano 2002, cioè ai tempi del loro album d’esordio, “Guerriglia Urbana“, grazie al videoclip della title track che a volte intercettavo su Rock Tv (quando era ancora in fasce e passava roba decente) e a una di quelle compilation generiche sul punk rock che venivano pubblicate in allegato a (oggi defunte) riviste musicali che una volta (in maniera più copiosa, varia e abbondante rispetto a questi ultimi quindici-vent’anni, fagocitate dal “tutto e subito” di Internet che ha messo in crisi il settore dell’editoria cartacea) uscivano nelle edicole (anche queste ultime stanno lentamente sparendo…) e che a volte compravo prima di entrare a scuola. Il brano presente su quella compila proveniva sempre dal loro primo Lp ed era “Ragazza americana“. Da allora ho sempre nutrito simpatia per questi ragazzi, vuoi per il fatto che avessero un moniker ispirato ad “Arancia meccanica”, ma soprattutto per il fatto che non scrivessero testi troppo banali per essere (tardo)adolescenti, anzi: accanto alle “classiche” tematiche goliardiche e amorose, trattavano anche di temi seri come la globalizzazione, la malapolitica, animalismo, terzomondismo, la critica alle brutture e alle ipocrisie dello stato “democratico”, alla globalizzazione, alle multinazionali e alle guerre alle quali partecipa attivamente il sistema occidentale servo dell’imperialismo guerrafondaio yankee U.$.A., gli abusi polizieschi, il lavaggio del cervello operato dalle religioni sulle masse, gli effetti dell’analfabetismo funzionale sul popolino, e il me diciassettenne dell’epoca (voglioso di distinguersi, a livello musicale e concettuale, dal conformismo della mandria di liceali che per il 99% vestivano e pensavano tutti allo stesso modo e ascoltavano quella immondizia di musica eurodance e il becero poppettino da radio mainstream e Festivalbar) si trovava in sintonia con l’alienazione, l’inquietudine adolescenziale e il disagio di vivere in provincia, di avere a che fare con gente che non capiva (e non capisce) un cazzo e rincorre lo status symbol in una società malata di protagonismo e apparenza, le incomprensioni coi genitori, il rifiuto della famiglia convenzionale italiota stile spot della mulinobianco, la consapevolezza di essere sfigati in un mondo di furbi e arroganti, la precarietà del vivere quotidiano, la voglia di evadere dal grigiore di una realtà senza prospettive e di cercare altrove una vita migliore e più interessante/divertente. Sono passati oltre venti anni, sono cambiati alcuni gusti musicali e modi di vivere e agire, ma quei sentimenti e quegli stati d’animo sono rimasti grosso modo gli stessi, nonostante stia iniziando a spuntarmi qualche capello bianco, ma certi problemi e situazioni non cambiano mai. Sono anche riuscito a vederli suonare dal vivo (in un locale che, manco a dirlo, poi ha chiuso i battenti) e anche in quel contesto hanno confermato il loro essere veri e ruspanti, si vedeva che non recitavano la parte dei “punkettoni da dopolavoro”, a differenza di tanti poseur che indossano una divisa “trasgressiva” solo durante i concerti e poi smettono gli abiti da “ribelli” una volta scesi dal palco e magari di giorno vanno anche a lavorare in banca. Attivi dalla seconda metà degli anni Novanta, emersi dalla scena “flower-punk” e sempre rimasti genuinamente underground, i LATTE+ hanno pubblicato quest’anno, su ProRawk Records, il loro ottavo lavoro sulla lunga distanza, “World of Retarded“, che arriva a quattro di distanza dal precedente Lp “Next to ruin” (e a tre dalla raccolta “LATTE+ For Dummies“) registrato a Milano, è cantato interamente in inglese (come già accaduto per le prove precedenti) e si muove sulle consuete coordinate sonore che, da sempre, caratterizzano la proposta del trio (che dal vivo diventa quartetto, con l’aggiunta del chitarrista Domenico Gentile aka “Sunday”) empolese: l’amore per il punk rock di Ramones (anche esplicitamente dichiarato nel pezzo “My heart belongs to the Ramones“, o in altri titoli a loro ispirati, come “Laura is a punk rocker“, “Creepy basement“, “Little boy” o la title track) Screaching Weasel, Head e Queers (dei quali rifanno “Born to do dishes“) mescolato a melodie pop fresche e azzeccate, il tutto concentrato in brani veloci, immediati, energici e potenti, che si risolvono al massimo entro i tre minuti di durata (anche nelle semiballad “Hurricane“). Con “World of Retarded” Chicco (frontman/chitarra Mosrite) Jay (basso) e Puccio (batteria) ci regalano una nuova mezz’ora sonica condita dal loro marchio di fabbrica: punk rock dritto al punto, senza fronzoli (come “This place looks like hell“, anthem ideale per essere pogato e cantato a squarciagola ai concerti) irriverente (soprattutto in canzoni rinominate “Rock ‘n’ roll farts” o nella Bad Religion oriented “1980“, che si chiude con una mezza “cover” strampalata di “Believe” di Cher!) Ramonescore che si stampa subito in testa e ci rimane a lungo. Questi ragazzi “sanno fare bene la loro cosa”, confermano di essere, da venticinque anni, una delle realtà nostrane più valide (e anche sottovalutate) in ambito punk, e attraverso l’universalità della lingua inglese meriterebbero di essere apprezzati da un pubblico più ampio. Ma questa recensione non può finire senza rivolgere un affettuoso saluto al batterista Puccio che qualche mese fa, purtroppo, è stato colpito da un aneurisma cerebrale che lo sta costringendo a un lungo periodo di stop che richiede calma e tranquillità, pertanto la band finora non ha potuto promuovere adeguatamente il nuovo long playing dal vivo (dovrebbe iniziare a farlo in maniera acustica nei prossimi mesi e, nell’attesa di riavere Puccio pienamente operativo dietro le pelli, ha in programma, per il prossimo anno, di riregistrare brani dal repertorio in italiano, insieme a due inediti) ma in segno di vicinanza e supporto, ha deciso di aspettare la sua completa guarigione per tornare a provare e suonare tutti insieme. Un gesto sicuramente da lodare e che mette in risalto, ancora di più, il valore umano di queste persone, che va al di là dell’essere musicisti e/o intrattenitori. Forza Puccio, gabba gabba hey!

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OSEES – INTERCEPTED MESSAGE

A quanti album sfornati siamo arrivati? Ventisei in ventisei anni di percorso, tra un moniker e l’altro? Minchia. Ma, seppur a un ritmo più “umano” rispetto ad altre prolifiche creature come i King Gizzard & The Lizard Wizard (su questi ultimi confesso di fare fatica a star dietro a tutte le loro uscite discografiche) con gli OSEES raramente ci si annoia e, a un anno di distanza da “A Foul Form“, recentemente è stato pubblicato “Intercepted Message“, il nuovo disco della band californiana multiforme nata dal munifico talento creativo del frontman e chitarrista John Dwyer. E così, in questo torrido agosto in cui la nostra Italietta è sospesa tra il delirio di un “ufficiale generale” raccolto in un libro diventato best seller (solo da noi accadono certe cose…) santificazione a reti unificate di Mastro Lindo da Arcore (aka il fu gran capo Antenna Pazza) screenshots raffiguranti tragicomici annunci di lavoro (ma parlare di salario minimo è un’eresia, per carità…) fotografie di scontrini che a loro volta fotografano la solita indole “furbetta” che abbonda nel DNA di questa “nazione”, piagnistei governativi sulla denatalità (eh, ma i “sovranisti” non capiscono che a causa di questo insostenibile carovita, generato dall’inflazione fuori controllo, oggi è diventato un lusso donare nuovi figli alla “patria”…) l’evergreen della “minaccia anarchica” (buona per tutte le stagioni, e che ormai ha sostituito quella del pericolo comunista) paragonata alle mafie, l’indignazione a furor di “popolo” contro l’ex commissario tecnico della nazionale (“reo” di averne lasciato la panchina… il calcio è sacro per gli italioti) e pseudo-telegiornali che mandano in onda servizi per informarci delle vacanze dei “vip” nelle nostre famose località balneari (esticazzi?) a salvarci dalla più cupa depressione arrivano gli OSEES, che ci regalano undici nuove canzoni e sono lì a tenderci una mano e a farci illudere, almeno per una quarantina di minuti, che possiamo venirne fuori da questi anni di ignoranza e conservatorismo oscurantista raccapriccianti. John Dwyer, attraverso la In The Red Recordings, descrive “Intercepted Message” (registrato ai Discount Mirrors Studio a Los Angeles) come “un disco per questi tempi stanchi, un pop zuccherato con pezzetti di vetro infrangibile, dove il garage pop di prima qualità incontra il proto-synth punk anti-suicidio” e ne consiglia l’ascolto soprattutto ai fan del synth-punk teutonico, a chi soffre di amnesia politica e a chi è venuta a noia la sbobba pop generata dalla controversa AI, la cosiddetta intelligenza artificiale. I nostri, recentemente, lo hanno suonato per intero dal vivo. Sì, sempre con DUE batterie. Dwyer e soci cambiano ancora una volta le carte in tavola e, dopo l’omaggio, in “A Foul Form”, ai gruppi (proto)punk/hardcore con cui il combo si era formato in gioventù, in questo nuovo full length si diverte a contaminare il rock ‘n’ roll e a sporcarlo con tastiere ed effettacci elettronici from another planet al fine di rimescolare il sound della band ed espanderlo nella sua freak attitude che pervade tutta l’opera, a cominciare dal brano apripista “Stunner“,col suo groove pop/new wave a fare da contraltare al loro classico attacco garage rock/punk, passando per “Blank Chems” e la title track col loro feeling à la DEVO e testi al vetriolo contro l’autorità e la manipolazione distopica dei cervelli operata dal sistema mediatico mainstream, recuperando la vecchia formula (cara anche a formazioni come i Gang of Four) del raccontare storie impegnate e denunciare i mali della società narrandoli tramite ritmi psicotici ma orecchiabili e addirittura ballabili. In “Die Laughing” si sconfina persino nel free jazz, mentre brani come “Unusual & Cruel” e “Chaos Heart” sono rivestite di fragranze Bowiane. La sciccheria è l’omaggio alla avanguardistica sperimentale post-punk/no wave band britannica dei Blurt, dei quali hanno coverizzato “The Fish Needs A Bike“, e l’asciutta new wave di “Goon” , “Submerged Building” e “Sleazoid Psycho” prepara il terreno alla sorprendente chiusura del long playing, affidata a “Always At Night” una spiazzante ballata atmosferica e confidenziale, sette minuti fluttuanti che, in una maniera inaspettata, suggellano il termine dell’Lp, ma da quei mattacchioni di Dwyer e compagni è lecito aspettarsi un po’ di tutto. Ah no, aspettate: c’è anche un colpo di scena finale: una canzone non menzionata nella tracklist, e quindi una ghost track, “Ladwp Hold“, una cover di “Opus number one“, strumentale inciso da Tim Carleton e Darrick Deel e utilizzato dalla multinazionale statunitense di networking Cisco come sottofondo musicale di default per i telefoni mentre si è in attesa (e infatti verso la fine del divertissement si ascolta anche un’operatrice scoglionata o stonata di un customer service che avvisa che “a breve” un funzionario avrebbe risposto alla nostra “chiamata”). Lo ribadiamo: questa NON è Ibiza. E meno male. Il popolino si tenga le “Italodisco”, i “balli latinoamericani” con le mossette tutte uguali e gli altri demenziali tormentoni estivi del cazzo, ché noi ci teniamo stretti gli OSEES. INTERCEPTED MESSAGE by OSEES

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The Hives – the Death of Randy Fitzsimmons

Anche gli Hives, noto combo R’N’R svedese attivo da ben trent’anni e che non ha nessuna intenzione di diventare “adulto” e modificare la collaudata formula basata su un ruspante garage rock/punk degno erede della tradizione dello Scandinavian Rock

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Blur The Ballad of Darren

Blur The Ballad of Darren

I Blur sono sempre I Blur anche in questo disco meraviglioso The Ballad of Darren da comprare ascoltare, girando il giradischi e velocità inusitate.

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Reru – SentivoNO

Ritornelli potentissimi, bassi che volano in dimensioni diverse, una foga epica e testi mai banali. Reru – SentivoNO

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Slow Wake Falling Fathoms

Gli Slow Wake sono figli della pandemia e “Falling fathoms” è il loro debutto, nato proprio quando il mondo sembrava disgregarsi più del solito.

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