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Recensione : The Jackets – Intuition

Nel film “Il terzo uomo” Orson Welles diceva che “in Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù“. Ma in realtà l’Elvezia, oltre ai soliti stereotipi (cioccolato, formaggi e orologi) ha anche prodotto dell’ottimo rock ‘n’ roll, come testimoniato da una fervida scena underground documentata dalle attività della benemerita etichetta Voodoo Rhythm Records, di stanza a Berna, fondata dal mitologico Reverend Beat-Man. E, proprio da Berna, arriva uno dei gruppi svizzeri più interessanti in circolazione, i Jackets.

Questo trio – composto dalla chitarrista e frontwoman (ma anche cineasta e drammaturga) Jack Torera aka Jackie Brutsche, Samuel Schmidiger al basso e backing vocals e Chris Rosales alla batteria e backing vocals – si è formato nel 2008 e, da allora, ha iniziato a suonare in giro per il mondo, creandosi una solida reputazione sulla scorta di concerti energici (in cui spicca la presenza carismatica e il look stravagante della Torera/Brutsche) e dischi convincenti, basati su una formula sonora che mischia garage rock, punk, ed elementi psych/fuzz. Il three-piece ensemble ha anche fondato una propria etichetta, la Wild noise records, con cui hanno rilasciato, lo scorso anno, il 7″ “Pie in the sky“.

I nostri, nel mese di ottobre, e a cinque anni dal penultimo full length, “Queen of the pill” (prodotto da King Khan) hanno pubblicato il loro quinto album complessivo, “Intuition“, uscito sulla label portoghese Chaputa! Records (che l’anno scorso aveva già dato alle stampe il 7″ “Life is not like the movies“). Orchestrato e assemblato, in cabina di regia, dalle sapienti mani di Jim Diamond e Adi Flück, e contraddistinto dal notevole artwork di Olaf Jens, il disco continua nel solco del percorso del power trio, che propone un garage rock melodico e spigoloso allo stesso tempo, in cui lo spirito musicale e iconografico surreale e vibrante dei Sixties viene trasportato nel nuovo millennio, svecchiandolo e modernizzandolo.

Dieci brani per una trama che assume echi e contorni post-punk à la Siouxsie and the Banshees nell’opener “Crossing streets“, per poi virare verso il classico, trascinante garage rock Fuzztonesiano in “Ours forever” (a giudizio di chi vi scrive, il migliore episodio del lotto) e “Gambling town” è musica per immagini, come una soundtrack di un musicarello beat degli anni Sessanta, decennio rievocato sonicamente anche nella kinksianaI tried“. “Coco loco” è un anthem da ballare sul dancefloor e si regge su un azzeccato riff di basso, “Can’t take it back” rallenta un po’ i ritmi, ma senza rinunciare al consueto fabbisogno distorsivo e di fuzz, confermato anche in “Lies“. Se la title track può rimandare al garage rock dei primi Courettes, il garage pop di “One step ahead” prepara il terreno per il gran finale con la conclusiva “Master plan” che coi suoi stop-and-go elettrici farà sicuramente furore ai concerti.

Se l’intuito non vi inganna, avrete capito che “Intuition” è un album che spacca e, in fatto di gusti nel R’N’R, il Reverendo (quello vero, non il cialtrone che vi sta scrivendo) raramente sbaglia, quindi fatelo vostro!

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