Fosse solo per il nome scelto, riecheggiante quello del grandissimo Lee Van Cleef, l’autore di questo disco incontra il mio incondizionato favore e apprezzamento. Ma ovviamente non ci si può fermare a questo, sia pur importante, particolare nel giudicare Horse Latitudes, la sua nuova raccolta di canzoni.
Un insieme di pezzi molto intenso, che sa del turbinio della sabbia, di visioni desertiche, di solitudine e malinconia; di una profondità che a tratti inquieta, a tratti ammalia e a tratti stupisce. Ed è proprio un abisso doloroso ad aprire la scaletta con il brano A Horse Named Cain. Arrows è resa in tutta la sua pienezza, dall’arpeggio di chitarra alla voce davvero evocativa dell’autore. Non mancano le incursioni in territori country e folk come in The Longest Song e Fire In My Bones, mentre una canzone come Thing ricorda le atmosfere del miglior Lloyd Cole e dei suoi Commotions.
Torna magnificamente la profondità della chitarra in The Disappearing Children, dove la voce femminile ricorda quella di Sandy Denny e quindi le composizioni dei Fairport Convention.
Chiude il tutto The Real Strange che mi riporta ad alcune cose di Leonard Cohen. Questo Horse Latitudes è un disco bellissimo e maturo, composto da chi sa scrivere canzoni ammantandole di uno spessore che davvero in pochi possiedono e ve lo dice uno che, in questi giorni, ascolta praticamente solo Mummies, New Bomb Turks e Devil Dogs.
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