Quando una decina di giorni fa, dopo una chiacchierata alla Fiera Internazionale della Musica, dove Iyezine era presente con il proprio stand, i simpatici ragazzi dei Roccaforte mi hanno omaggiato di una copia del loro Sintesi, la prima cosa che ho pensato è stata: a chi lo facciamo recensire?
Chi ha la bizzarra abitudine di leggere i miei articoli sa bene che normalmente prediligo parlare di ben altri generi, poi però mi sono ricordato che in fondo c’è stato un momento, in un passato (purtroppo) remoto, nel quale ho amato anch’io il rock pop italiano venato di progressive, in particolare negli anni migliori della carriera dei Timoria, quelli di “Viaggio Senza Vento” in primis.
E, in effetti, è inevitabile che il pensiero corra alla band bresciana nel momento in cui il bravo William Lucino intona le prime di note di Avatar, vista la somiglianza della sua voce con quella del ben noto Francesco Renga, in particolare sulle tonalità più alte.
Precisiamo, non c’è nulla di male in tutto ciò, visto che stiamo parlando di quella che a mio avviso è stata la migliore ugola italiana degli ultimi vent’anni in quest’ambito musicale (e questo è un dato di fatto che non potrà essere certamente cancellato dalle sue “derive sanremesi”), pertanto chi anche vi si avvicina in parte come timbrica non dovrebbe essere passibile di particolari critiche.
Come tutti i generi, purtroppo, neppure il rock italiano sfugge al gioco dei rimandi ma, tutto sommato, proprio il fatto di non esserne stato un fruitore abituale in tempi recenti mi ha consentito di ascoltare Sintesi senza particolari condizionamenti.
Va detto subito che il lavoro in questione è di fatto una riedizione del meglio inciso dalla band nel corso di una carriera già abbastanza lunga e con tre dischi all’attivo, ma, più che una pura e semplice compilation volta ad omaggiare il proprio passato, Sintesi dovrebbe essere considerato come un vero e proprio punto di ripartenza: il problema è quello di scegliere in quale direzione andare cosa che, immagino, costituisca il maggiore dilemma per i Roccaforte.
Nella loro bio viene fatto riferimento a influssi prog che però fatico abbastanza a rinvenire nel complesso dei brani, salvo qualche passaggio tastieristico un po’ più elaborato, mentre l’aspetto prevalente è quello di un rock pop dalle belle aperture melodiche, magari leggerino ma ricco di ritornelli immediatamente canticchiabili.
Il problema è che in questo settore più che in altri la concorrenza è numericamente simile a quella che ci sarebbe in un concorso pubblico per un posto di lavoro in un ministero, e per emergere non basta solo la bravura, serve anche, oltre a una sana dose di buona sorte, la capacità di rendere la propria musica indelebile nella memoria di chi ascolta.
La cosa per ora non riesce, se non ad intermittenza, ai Roccaforte, perché certi pezzi (20mq di Libertà, Africa, L’Aquilone soprattutto, e Giubbotto di Pelle Nera, bel rock convinto ma con un testo un po’ tirato per i capelli) sono davvero molto validi e di gran lunga superiori a certe melensaggini di successo che vengono propinate in heavy rotation sui network musicali, ma nel complesso buona parte dei brani scorre via piacevolmente senza lasciare però tracce particolarmente profonde.
Considerando che l’unico brano inedito è l’opener Avatar, la sensazione è che i Roccaforte non abbiano ancora risolto del tutto i loro dubbi: dopo un minuto e mezzo davvero promettente il ritornello ci riconsegna nuovamente alla semplificazione melodica di una canzone che, se sviluppata con decisione in una direzione più rock, avrebbe potuto rivestirsi di ben altro spessore.
Il quintetto alessandrino esibisce del resto una cifra tecnica che a mio avviso meriterebbe d’essere impiegata in un contesto musicale più robusto; avendo ascoltato qualche brano live, sempre in occasione della FIM, posso testimoniare che sul palco il suono viene rivestito da un’aura più rockettara e i brani ne guadagnano in vigore ed intensità, cosa che purtroppo non avviene su disco laddove una produzione fin troppo pulita ha levigato in maniera eccessiva il sound dei nostri, rendendolo poco incisivo almeno per chi, come me, è abituato ad ascolti di matrice ben diversa.
Sintesi resta comunque un disco che non dovrebbe deludere gli appassionati del genere perché ha tutto ciò che serve per essere apprezzato da chi ha familiarità con questo tipo di suoni: testi lineari, buona tecnica strumentale e melodie di immediata presa.
Per quanto mi riguarda, dovendo dare a tutti i costi un consiglio ai Roccaforte, proverei a spingere con più convinzione sul versante rock della loro proposta, magari integrandovi con maggiore frequenza quegli elementi prog che ogni tanto fanno capolino in questo lavoro.
Tracklist:
1. Avatar
2. 20mq di libertà
3. Africa
4. Gli occhi di un’altra lei
5. Vai
6. L’aquilone
7. La dolce età
8. Bambino
9. Giubbotto in pelle nera
10. Tempo di scappare
11. Metamorfosi
Line-up:
William Lucino – Voce
Fabio Serra – Chitarra
Bruno Borello – Basso
Daniele Malfatto – Tastiere
Roberto Raselli – Batteria