I Sigur Rós, passati quattro anni dall’ultimo lavoro in studio (“Með suð í eyrum við spilum endalaust”) e nemmeno dieci mesi dal disco live Inni, mettono da parte l’inglese e i tentativi di vivacizzare il loro suono per sfornare (nuovamente) musiche caratterizzate da ampio minutaggio, atmosfere dilatate e forte capacità emotiva. A noi il sesto capitolo della formazione islandese: Valtari.
Ad aprire il disco troviamo l’eterea delicatezza di Ég Anda che, tra sottili cori, tempi dilatati, chitarre, archi e altri strumenti, lascia emergere la voce di Jonsi (quasi sembra di percepire un’esplosione senza esplosione), creando una mescola sonora dal fortissimo impatto emotivo.
Ekki Múkk, in seconda posizione, prosegue mantenendosi placida e trasognata, disegnando empatici paesaggi sospesi a mezz’aria (sembra di vivere dentro la copertina del disco) e lasciando spazio alle incisive note di tastiera di Varúð (brano dannatamente ipnotico e coinvolgente).
La crepuscolare Rembihnútur attraversa il nostro cuore lasciandosi guidare dalle scarne ritmiche di batteria, mentre Dauðalogn, con il suo lento svilupparsi e le sue avvolgenti litanie, introduce alla pacata ed emotiva Varðeldur (rivisitazione di Luppulagið).
Infine, l’intensa forza empatica di Valtari (giocata su acute note di glockenspiel) apre alla conclusiva, crescente e coinvolgente Fjögur Píanó.
I Sigur Rós pubblicano un disco compatto e omogeneo dove, a discapito della batteria, ad aver la meglio sono archi, pianoforte, chitarre e voce. Il risultato complessivo è un lavoro dai forti connotati ambient che preferisce instaurare un legame con il passato della band piuttosto che tentare di sviluppare nuove soluzioni o, per meglio dire, in cui gli islandesi (forti delle loro spiccate doti compositive) incidono canzoni perfette dal punto di vista formale, ma prive d’anima. Un ottimo disco “di maniera”.
Tracklist:
01. Ég Anda
02. Ekki Múkk
03. Varúð
04. Rembihnútur
05. Dauðalogn
06. Varðeldur
07. Valtari
08. Fjögur Píanó