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Recensione : UNCLE ACID AND THE DEADBEATS – NELL’ORA BLU

UNCLE ACID AND THE DEADBEATS – NELL’ORA BLU

Gli Uncle Acid and the Deadbeats sono una band inglese fondata a Cambridge, nel 2009, dal frontman/chitarrista/tastierista Kevin “Uncle Acid” Starrs che, dopo diversi cambi di formazione, da alcuni anni ha ridisegnato la line up del progetto con Vaughn Stokes (chitarra e backing vocals) Justin Smith al basso e Jon Rice alla batteria. I nostri (ispirati, nella scelta del moniker, dal compianto frontman Rusty Day e la sua Uncle Acid and the Permanent Damage Band) nei precedenti cinque studio album pubblicati (più uno dal vivo, uscito l’anno scorso) sono stati fautori di sonorità debitrici dell’heavy rock dei Black Sabbath (coi quali hanno anche girato in tour) a loro volta imparentate con atmosfere doom/stoner mischiate con acid rock e psichedelia (utilizzando strumentazioni vintage) di un immaginario attratto dalla fascinazione per l’occulto e che ha come riferimento ideale la fine dei Sixties, quello degli ideali hippie di pace e amore universali della “Summer of love” dei figli dei fiori repressi nel sangue ad Altamont, nell’eccidio losangelino di Cielo Drive messo in atto dalla setta guidata dal “guru” deviato Charles Manson, e dalla furia proto-metal dei Blue Cheer e la teatrale/depravata furia proto-punk degli Stooges e del primo Alice Cooper.

Fatta questa doverosa premessa, dimenticatevela (in parte) perché Starrs e soci, in occasione del loro sesto lavoro sulla lunga distanza, intitolato “Nell’ora blu“, e uscito a maggio di quest’anno su Rise Above Records, hanno deciso di sperimentare con altre sonorità in maniera intelligente, dando sfogo alla loro passione per il cinema, ma soprattutto per le colonne sonore cinematografiche, con una particolare predilezione verso quelle del cinema italiano di genere degli anni Sessanta e Settanta. “Nell’ora blu” presenta, infatti, una tracklist completamente in lingua italiana, ed è praticamente una soundtrack – in parte strumentale, in parte cantata – composta dai nostri per un immaginario film ibrido thriller/giallo/noir/poliziottesco/horror italiano, mai realizzato, della stagione d’oro Sixties/Seventies, o magari ci piace pensare che un giorno, forse, le note di questo atto d’amore dedicato al nostro universo artistico possano davvero ispirare una o più pellicole “revival” a qualche regista.

Uncle Acid And The Deadbeats - Uncle Acid And The Deadbeats - Nell'Ora Blu

Niente è lasciato al caso e, per rendere il (lungo) disco ancora più credibile, la band (oltre a fantasticare di una sceneggiatura ambientata negli anni Settanta ed elaborare locandine immaginarie) ha abbracciato l’idea di inventare le storie di alcuni degli attori protagonisti di quell’epoca (citati anche sull’artwork: Franco Nero, Edwige Fenech, Giovanni Lombardo Radice, Luc Merenda, Massimo Vanni e altri) che fanno la loro comparsa, in forma di incipit-dialoghi recitati, durante lo scorrere del long playing/film fantasma, che si discosta dai succitati lidi sonici hard/heavy/psych rock per addentrarsi in un labirinto in cui elementi polizieschi, sci-fi, horror, spaghetti western e omaggi al synth-prog. dei maestri nostrani Goblin si incontrano e si scontrano in un concept album cinematico fuori dal tempo e senza smaccati fini commerciali (e, proprio in virtù di ciò, ancora più apprezzabile).

Lo space rock di “Il sole sorge sempre” (che non avrebbe sfigurato nella “trilogia della morte” di Lucio Fulci) apre le macabre danze e ci introduce alla figura dell’autoritario Giovanni Scarano (idealmente impersonato da Franco Nero) che è un borghese, rappresentante delle istituzioni, impunito, corrotto e corruttore, che ha le mani in pasta ovunque e ha usato il suo potere come una clava per bastonare i poveri, immiserendo i ceti sociali più deboli della sua communità, mentendo a una stampa compiacente e favorendo l’ascesa della criminalità. Ma la classe operaia non ha più intenzione di restare a guardare e subìre in silenzio le sue angherie nei confronti del popolo, e così l’operaio Claudio Marchetti (idealmente impersonato da Giovanni Lombardo Radice) registra su un nastro, di nascosto, la voce del padrone – che si vanta della sua prepotenza contro la povera gente – e (come si può ascoltare in “Giustizia di strada – lavora fino alla morte“) la fa sentire al caposquadra Roberto Valente (idealmente impersonato da Luc Merenda) che va su tutte le furie ed è la goccia che fa traboccare il vaso, con la fabbrica prossima alla chiusura: Valente non ne può più, ha sete di vendetta (nell’album musicata con un feeling Gobliniano) e, per porre fine alle ingiustizie perpetrate dall’arrogante pezzo grosso, decide di far pagare al capo, una volta per sempre, tutto il dolore causato agli altri, e la soluzione é: eliminare fisicamente Scarano, progettandone l’omicidio insieme al Marchetti, che commissiona il delitto al suo fratello psicopatico Alessandro (idealmente impersonato da Massimo Vanni, che conversa con Claudio e viene istruito sulla trappola da mettere in atto e su come agire in “La bara resterà chiusa“) il quale orchestra una strategia di stalking paranoico ai danni di Scarano, in un crescendo tra telefonate anonime rivolte a lui (“Il chiamante silenzioso“, “Tortura al telefono” e la Gobliniana “Il ritorno del chiamante silenzioso“) alla moglie ignara dei tradimenti del marito (udibile in “Cocktail party“, in cui qualcuno apostrofa lo Scarano come “La vipera“) e foto compromettenti di Scarano in un night club di Roma insieme alla ragazza immagine e amante Lucrezia (idealmente impersonata da Edwige Fenech, con la quale se la spassa nella languida “Il tesoro di Sardegna“). L’ibrido jazz/spaghetti western on steroids di “Pomeriggio di novembre nel parco – Occhi che osservano” e “Solo la morte ti ammanetta” preparano il terreno per il gran finale e ci conducono fino all’ora blu (appena prima dell’alba) della notte in cui si consuma l’uccisione, con Scarano pedinato dal Marchetti all’interno del locale (“Il gatto morto“, dove avvisa il Valente per far partire la telefonata decisiva) e poi attirato con l’inganno fuori dal night club (il Dead Cat, dove troviamo a esibirsi, come house band, proprio i Deadbeats, ma non incontrano i gusti del pubblico e vengono cacciati dal palco…) e trascinando Scarano nella campagna romana dopo una telefonata in cui Valente gli fa credere di essere un uomo d’affari e che entrambi hanno un nemico in comune, vale a dire il misterioso stalker telefonico, e propone a Scarano un’alleanza per eliminarlo (onde evitare che i suoi ricatti rovinino la sua carriera) suggerendogli di raggiungere una cabina telefonica isolata in cui trova ad attendere una borsa piena di soldi (come ricompensa, mentre il Marchetti aveva girato, sul suo tavolo, una busta-bustarella contenente le istruzioni da seguire per arrivare nel luogo prestabilito) e una chiamata con le istruzioni per uccidere il nemico. Scarano, avido di alcool, soldi e potere, abbocca all’amo, lascia il locale in gran fretta (sottolineata dai ritmi funky afro-beat di “Guidando veloce verso la campagna“) e si precipita alla cabina telefonica, mentre un camuffato Alessandro aspetta, nell’ombra, il momento giusto per colpire; l’ora blu arriva, il telefono suona, Scarano risponde e, dopo pochi istanti (mentre il Valente recita in “L’omicidio” versi biblici che fanno riferimento alla “liberazione dai nemici”) viene raggiunto, ammazzato e sepolto (azione sublimata da una superba e FulcianaResti umani“) da Alessandro. Ma il mattino seguente, Alessandro è in auto per tornare dal fratello e ascolta alla radio un notiziario che annuncia la morte di Scarano e fornisce indizi precisi sul possibile sospetto assassino, facendolo entrare in paranoia perché teme che possa essere stato seguito/visto da qualcuno, o che i telefoni possano essere stati intercettati. Stordito, alla guida dell’auto, Alessandro viene mortalmente investito da una scarica di pallottole sparate da un uomo (con volto coperto da passamontagna) proveniente da un’altra auto, causando l’uscita di strada del mezzo e un tragico schianto avvolto dalle fiamme (“Sorge anche il sole“). La conclusiva, malinconica “Ritorno all’oscurità” ci svela che il vendicatore è stato vendicato e che l’erba cattiva è dura a morire.

L’esperimento è riuscito: siamo certi che, se Ennio Morricone avesse ascoltato “Nell’ora blu”, sarebbe stato fiero degli Uncle Acid.

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