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ZETA 06

ZETA 06: sesta puntata del nostro racconto.

ZETA 06

PRIMA PUNTATA  – ZETA 01
SECONDA PUNTATA – ZETA 02
TERZA PUNTATA – ZETA 03
TERZA PUNTATA – ZETA 04
TERZA PUNTATA – ZETA 05

SESTO

– Ti ho lasciato la colazione sul tavolo
Jim aprì gli occhi ma non provò a raggiungere la ragazza.
Sorrise, al contrario delle altre sveglie, decise di sorridere.
Si alzò calmo, andò in cucina, assaporò la colazione si vestì ed uscì.
Si allontanò da casa con la tranquillità apparente dell’atleta in vista di una gara importante. Si sentiva rilassato e sereno. Lo credeva, almeno fino all’angolo della via quando un’inspiegabile tachicardia lo prese di sorpresa e il respiro venne a mancare.

Voltato l’angolo Marika era lì ad attenderlo. Jim non poteva crederci, ogni volta che provava quelle
sensazioni di panico si ritrovava di fronte quella figura.
– Cosa vuoi? Lasciami stare. Non voglio più tornare in quel luogo di perdizione
– Stai calmo, sei troppo agitato. Rilassati. Vieni qui
– Lasciami
Marika cercò di afferrarlo per il braccio ma Jim si ritrasse. Aveva paura, una sensazione mai provata così forte prima di fronte ad una donna.
– Cosa ti preoccupa?
– Tutto. Non so dove sono, non so cosa mi stia capitando ma non credo che quel luogo mi possa aiutare
– Non è il luogo che ti aiuterà. Tu sarai sempre quello che sei ovunque tu sarai
– E allora io non voglio essere in alcun luogo
– Così sarai morto
– In quel caso allora sarei sempre nello stesso luogo
– Ma senza coscienza
– Meglio senza coscienza che una vita di visioni appannate, esperienze eteree senza una…
– Volevi dire senza una coscienza
– Si, come hai fatto…
– La tua coscienza si assopisce grazie al Newton. Non vorrai dirmi che sei stato così male durante
l’effetto
– Certo che no, ma le conseguenze sono state devastanti per la mia mente
– Per questo devi tornare, per ritrovare quella pace
– No. deve esserci un’altra via
Rise Marika.
– Un’altra via non esiste
– Anche se hai ragione io non ho intenzione di seguirti
Voltò le spalle a quella creatura meravigliosa e tentatrice. Lei continuò a ridere senza fermarsi, lo guardava allontanarsi mentre le lacrime dell’abbandono cadevano soffici sulle sue gote. Cadde in ginocchio, si toccò il volto con il dito indice, assaggiò il suo liquido, portò la mano verso i genitali e con grande forza iniziò a provare piacere.
Jim si voltò, la vide in quello stato di godimento, lamento e disperazione ma non tornò indietro.
Piangeva, si disperava e rideva nello stesso momento.
– Così mi lasci vuota e affranta, ma non riuscirai a tornare a casa senza il mio aiuto
Il ragazzo in preda ad una nuova crisi d’astinenza dei frutti del Newton sentiva l’anima tremare, ad ogni passo sembrava come se dovesse cadere e non farcela.

Quando finalmente la crisi terminò, in un attimo di lucidità vide davanti a se ancora una volta l’insegna del ristorante.
Si fermò a guardare se i suoi amici fossero dentro. Niente. Non c’era Mik, non c’era Luke, nessuno.
Il cameriere uscì a controllare
– Hai bisogno?
– No questa volta non voglio entrare
– Ci conosciamo?
Ancora una volta. Un’altra odiosa volta
Ascoltami, sono stato qui più di una volta, mi avete servito, mi avete visto con i miei amici, mi avete soccorso. Cosa avete di sbagliato in quel cervello malato voi?
– Noi? Tu semmai
– Io sto bene, stavo bene, voglio stare bene
– Senti secondo me sei solo affamato, perché non entri a mangiare qualcosa?
Le parole del cameriere non riuscirono ad incastrarsi con i pensieri di Jim, la rabbia esplose nel suo intimo e gli fece sferrare un pugno alla mandibola del ragazzo. Respirava con la furia della fiera. Il
cameriere cadde a terra andando a sbattere contro il doppio vetro della vetrina del ristorante quasi vuoto in quel momento.
Nessuno poté ne sentire ne vedere.
Jim gli si scaraventò addosso riempiendolo di pugni, il ragazzo provava a liberarsi, sferrò alcuni pugni anche lui ma riuscì a liberarsi solo grazie ad una ginocchiata nello stomaco di Jim.
– Sei un pazzo o cosa?
– Io non sono pazzo
Urlavano nell’indifferenza dei passanti e disinteresse dei pochi clienti che con le loro espressioni spente continuavano a consumare le loro pietanze.
Il proprietario, uscito dalla cucina, vide i due ricoperti di sangue, si diresse verso l’uscita per calmare i due.
– Tu, non provare ad uscire
– E chi saresti tu per comandare in casa mia?
– Chi sono?
La collera salì a livelli estremi ad entrambi. Il proprietario, grosso il doppio di Jim, lo prese per il collo con una presa militare sollevandolo da terra con tre dita infilzate nelle vene.
– Ragazzo, non so quali problemi tu possa avere ma qui quello che cerchi non lo troverai. Se vuoi la tua cazzo di droga va a cercare da un’altra parte
Lo scaraventò a terra, sanguinante e senza forze. Aveva gli occhi gonfi, il fiato spezzato dalla rabbia e rientrò a curare il suo cameriere.

Jim a terra era completamente distrutto nel morale. Non era solito reagire in quel modo. La dose di tranquillanti si stava esaurendo, Marika era ormai lontana e dopo tutto quello che era successo non lo avrebbe di certo aiutato.
Si sollevò da terra, lo stomaco era dolorante, la vista appannata come sotto la pioggia del Newton, il cervello faceva più fatica a comprendere la direzione da seguire. Percorsi alcuni metri senza senso, le forze vennero meno e svenne.
– Ragazzo tutto bene?
– Tu?
– Io? Tu, piuttosto, chi sei?
Era il barbone. Non lo riconobbe.
– Non ti ricordi di me neanche questa volta
– No ragazzo, non so chi tu possa essere
– Lascia stare, a questo punto non lo so nemmeno io. Ho provato il male dell’anima, il dolore del corpo, l’odio verso le persone, l’appannamento delle sostanze anche quando non avrei voluto. Ed ora sono qui a terra non so dove, accanto ad uno sconosciuto
– Uno sconosciuto che cerca di aiutarti. Tirati su e bevici sopra
Jim si alzò, sollevò lo sguardo, guardò l’uomo con gli occhi di un bambino. Era ormai un volto così familiare da desiderare ardentemente un suo abbraccio.
L’uomo ricambiava lo sguardo con una dolcezza insolita. Le lacrime iniziarono a disegnare soffici rivoli sul suo volto e non seppe fare altro che abbracciare quel ragazzo inerme e martoriato.
– Grazie
Disse Jim con un filo di voce appoggiato alla spalla dell’uomo.
Ora era protetto, si sentiva in pace dentro quell’abbraccio delicato. Quando allentò la presa, Jim aveva il viso completamente ricoperto di lacrime.
Il clochard prese in mano la bottiglia, la mostrò a Jim e la rovesciò completamente nel tombino accanto a loro.
– Ma il tuo vino
– Non ti preoccupare, domani è un altro giorno
Disse con un sorriso che poteva significare ogni cosa.
Si guardarono ancora, avevano qualcosa di familiare quei due ma nessuno di loro aveva la forza di dirlo.
Jim si alzò con fatica, estrasse le ultime sigarette dalla tasca e le offrì all’uomo.
– Dimmi almeno come ti chiami
– Io non lo ricordo, sono bloccato qui da troppi anni ormai
– Qui dove?
– Non ne ho idea
– Allora cerchiamo una soluzione insieme
– Una soluzione tu l’hai già trovata
– Io non la vedo
– Fidati di un vecchio, la tua soluzione l’hai già trovata. Una volta avevo il mondo in mano esageravo facevo come te. Ora il mondo mi è sfuggito e non me ne sono nemmeno accorto.
Tu hai tempo per non gettarlo e cambiare tutto lasciando questo schifo di sostanze e perdizione. Ma
ognuno di noi sceglie per sé. Ora io devo andare, mi aspetta un’altra giornata di sorrisi a quelle persone senz’anima che, per sentirsi pulite e cercare il perdono, continuano ad offrirmi parte del loro zozzo denaro.

Il barbone sorrise malinconico e se ne andò.
Jim restò in piedi immobile. Non sapeva dove andare. Quando tolse lo sguardo dall’uomo voltò la testa e davanti a se il nulla.
Tutto intorno c’era solo il bianco.
Niente case, edifici, negozi, strade, persone.
Solo una vasta landa bianca come il cielo sopra di lui.

Si trascinava, ora sentiva il dolore alla gamba, probabilmente l’aveva scontrata dopo il volo causato dal proprietario del locale.
Strisciava come un verme, aveva perso ogni connessione con ciò che non fosse lui.
Il vuoto attorno lo sanificava lentamente.

La pioggia iniziò a cadere bagnando il copro nudo di Jim. Si trascinò per alcuni metri fino a raggiungere una grossa pozza d’acqua. Quando vi si specchiò vide di nuovo il suo viso. I segni dei pugni di Manuel erano svaniti, la sua pelle non era più raggrinzita e la pioggia scorreva veloce sulla cute. Aveva cambiato pelle, si era rigenerato, non sentiva più l’ansia e il dolore addosso.

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