Di cosa parliamo quando parliamo di psychedelia?
Dare delle definizioni appare troppo spesso riduttivo e rischia di tralasciare, più o meno consapevolmente, troppi particolari che invece sarebbero fondamentali. Ma dato che oramai nel ginepraio delle descrizioni mi ci sono, incautamente, inoltrato tanto vale dire la mia con il massimo dell’umiltà e conscio di quanto possa essere lungi dall’ infallibilità.
Bene quindi eccola la mia opinione a riguardo: la psychedelia è uno stato della mente, è molto più di un suono, è un modo di porsi e di comunicare, è qualcosa che prende chi la ascolta e lo accompagna in un mondo parallelo, che lo sgancia dalla realtà troppo spesso piatta di un vivere fatto di tanti troppi tristi stereotipi.
Parafrasando i CGB è qualcosa nella quale o sei uno che conta o sei fuori. Inerpicarsi in questo terreno così scosceso non è quindi assolutamente agevole, ci vogliono davvero un’attitudine e un feeling che in pochi possiedono.
Fra questi si possono tranquillamente annoverare i beneventani 23 and beyond the Infinity e lo dimostra, senza tema di smentita, questo Elevation to the Misery.
Il compito di aprire le danze spetta a Brave New World nella quale ho scorto echi neppure troppo velati di un album che adoro qual’è Taste dei Telescopes, seguono, senza per questo voler tralasciare i brani che non citerò, Playhouse nella quale esplodono ciclicamente sprazzi di una follia che viene a stento sopita, It is What it is che con i suoi gorghi stordenti esplicita il passo leopardiano dell’infinito in cui il poeta diceva “Naufragar m’è dolce in questo mare”, Pendejo la cui tribale percussività può ricordare i Suicide che incontano e collidono con i 13th Floor Elevators, chiude il tutto Las Vegas una cavalcata acida che conferma – semmai ce ne fosse bisogno – gli effetti devastanti che hanno avuto gli Spaceman Three sui cuori e sulle menti più ricettive.
Se volete farvi del bene e, credetemi, spesso non è un bisogno ma una necessità, date un ascolto a questo disco.
Chi mi conosce sa quanto non sia per nulla nazionalista (nostra patria è il mondo intero) ma ogni tanto ci si può dire fieri che determinate cose arrivino dalla una delle, supposte, periferie dell’impero.