L’uscita nelle sale cinematografiche del nuovo film di Eli Roth( The Green Inferno), sopravvalutato regista e a detta di molti, nuovo talento del cinema horror contemporaneo,
autore di un buon esordio con Cabin Fever del 2002 e poi a torto idolatrato per i deludenti ma pompati Hostel (appena sufficente) e Hostel 2 ( ridicolo), mi portano nelle foreste pluviali per incontrare le tribù cannibali ed il tabù per eccellenza, il cibarsi di carne umana.
The Green Inferno, infatti è un horror che riporta all’attenzione del pubblico il cinema a sfondo cannibale, già peraltro affrontato dal nostro Ruggero Deodato nella “trilogia dei cannibali” di cui Cannibal Holocaust è il secondo capitolo uscito nel 1980 e di cui fanno parte: Ultimo Mondo cannibale del 1977 e inferno In Diretta del 1985.
Censurato in trentadue paesi e dilaniato da accuse e polemiche, che non hanno fatto altro che accrescere la curiosità sul film, la pellicola di Deodato è la più famosa di tutte quelle rigurdante il tema del cannibalismo, facile strumento per inondare di scene splatter un film horror e a mio parere, già abbondantemente usato nei Zombie movies.
Interpretato da un giovane Luca Barbareschi, il film ha la presunzione di voler essere quello che non è: una denuncia sul cinismo della società contemporanea, in mano ai mass media, il dare in pasto alla massa ogni tipo di efferatezza per puro share o spettacolo, cosa reale fino ad un certo punto.
Infatti, e la storia insegna, l’uomo ha nella morbosa curiosità e nella insana predisposizione alla violenza i fattori principali di una propria società costruita sulla prevaricazione del più debole, la massa vuole spaventarsi, schifarsi, pulirsi la coscienza con fatti che dimostrano che qualcuno di peggio esiste, ripulendosi delle piccole nefandezze di cui è colpevole nel quotidiano, come in una sorta di liberazione spirituale.
E chi se non la televisione, cancro inguaribile della società contemporanea, può dargli tutto questo?
E qui entrano in gioco i quattro reporter del film, partiti alla volta della foresta Amazzonica per giare un documentario sulle tribù indigene, abitanti di questi luoghi infausti e finiti sul fuoco ad arrostire come succulenti maialini.
L’antropologo Harold Monroe viene incaricato di scoprire la fine dei quattro sfortunati e si addentra, in compagnia di una guida locale nel terribile habitat, dove ad aspettarlo ci sono belve feroci, una natura al limite e gli insaziabili abitanti.
Troverà le pellicole girate dai reporter scoprendo l’atroce verità in un turbinio di scene splatter/gore, dove squartamenti e budella a iosa, decapitazioni ed evirazioni sono il normale tran tran dei voraci uomini della foresta.
Il film, tra denunce e censure, maltrattamenti e vere uccisioni di animali, all’epoca trovò un successo inaspettato anche tra chi abitualmente non era un grosso fruitore del genere, portandolo allo status di cult, anche se, a mio avviso rimane un buon horror e nulla più, al centro di riflessioni che lasciano il tempo che trovano.
Sono passati trentacinque anni, e mai l’uomo comune ha raggiunto un tale livello di bassezza come al giorno d’oggi, le violenze fisiche e psicologiche, le guerre e la totale indifferenza( che molte volte si tramuta in disprezzo)per chi subisce le angherie di chi tira i fili di un mondo allo sfascio, sono il pasto succulento dei veri cannibali, intenti a divorare le nostre vite, il reale Cannibal Holocaust.
Interpreti:
Robert Kerman: professor Harold Monroe
Francesca Ciardi: Shanda Tomaso
Perry Pirkanen: Jack Anders
Luca Barbareschi: Mark Williams
Gabriel Yorke: Alan Yates
Salvatore Basile: Chaco Losojos
Ricardo Fuentes: Felipe Ocaña
Lucia Costantini: adultera
Enrico Papa: giornalista televisivo
Regia Ruggero Deodato
produzione F.D. Cinematografica
1980 Horror