Edizioni Dell’Erba.
Mi è difficile scrivere di un libro di poesie. Come mi è difficile scrivere di ciò che non conosci. Le regole, la metrica, i riferimenti. Non so neppure se ciò che l’autore scrive siano poesie in senso proprio, perlomeno in mezzo c’è prosa, ci sono frammenti.
Ora è difficile poi parlare di un libro che all’inizio mette le carte in tavola quasi ad allontanare i lettori, pretendendo di non essere capito. Nulla sembra salvarsi nell’universo dell’autore. Non gli uomini, non la natura. Si badi che non il progresso divora i suoi figli ma la natura stessa. Il vento come un meccanismo ripetitivo, la madre che piange il figlio per egoismo.
Rimane solo l’abisso, la morte. O il rifugio nel buio, nel sangue di una belva ferita, l’uomo.
Il nerocosmo dell’autore a volte disegna storie violente come in Campi Catalauni: “E ad una ad una cadranno le teste, le vedrò impalate in questo brullo campo catalauno; immondi feticci ricordanti il mio destino faranno ombra alla mia landa di incubi come tanti girasoli.”
Da recitare con voce femminile, urlante contro Dio come nelle canzoni dei Contropotere, o inneggiando alla sofferenza come nel gotico dark degli Jacula.
E’ l’autore il serpente, più che il poeta guerriero.Che fare quando : “tante dita del diavolo languono orribili in un mondo evirato sanciscono il connubio tra l’inferno e il cielo maledetto”.
Cercare scampo, ma dove, non nel trascendente, non negli ideali, non nella natura. Dove la rigenerazione dell’umano. La risposta forse nel libro non c’è. A meno che non termini tutto con un ghigno beffardo, e un’anima candida dietro la finestra in pieno sole.