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Recensione : Abysmal Grief – Feretri

Lungi da tentazioni sciovinistiche, si può tranquillamente affermare che un disco con tali caratteristiche poteva estrarlo dal cilindro solo una band italiana.

Arrivando un po’ in ritardo sull’uscita di questo disco, si rischia inevitabilmente di essere ripetitivi o, ancor peggio, di fare un bignamino di tutte le recensioni già uscite.

Ciò che mi resta, a questo punto, è provare a parlare, da genovese, di una band della mia città che perpetua un filone musicale che, all’ombra della Lanterna, trae ispirazione da un immaginario agli antipodi della modernità, fatto com’è di riferimenti ai mitici sceneggiati tv in bianco e nero e all’horror all’italiana, più Fulci-Bava che Argento, e lo dimostra scegliendo come copertina un’immagine tratta da uno dei rivalutati B-movies dei primi anni ’70.
In una città che si sta decomponendo seppellita dalla crisi, prima ancora morale che economica, avvilita dall’ignavia dei governanti e aggrappata alle sorti di un porto che fatica a reggere l’accresciuta competitività della concorrenza, gli Abysmal Grief come sfondo per le loro (rare) foto promozionali non scelgono, come parrebbe logico, i monumenti funebri di Staglieno, simbolo decadente della nobiltà di una Superba che ha cessato di esistere da decenni, bensì i piccoli cimiteri di periferia o di campagna, nei quali anonimi resti contrassegnati da una semplice croce faticano a ritagliarsi spazio tra le erbacce e l’incuria volte a simboleggiare, anch’esse, un degrado che appare irreversibile.
Seguendo la strada tracciata, perlomeno a livello di immaginario retrospettivo, dai Malombra prima e da Il Segno Del Comando poi, gli Abysmal Grief esorcizzano il terrore della morte nel miglior modo possibile, ovvero con un doom malsano e dai tratti antichi, nel quale è un magnifico hammond a condurre le macabre danze contrappuntato da un basso pulsante e, talvolta, dominante anche su una chitarra che, quando si ritaglia spazio in versione solista, lascia sempre il segno; a piantare gli ultimi chiodi sulla bara è, idealmente, la voce di Labes C. Necrothytus che ricorda in senso lato quella del grande Carl McCoy, almeno nell’impostazione, passando da tonalità baritonali ad un growl profondo ma sempre comprensibile, e nella capacità di comunicare il funesto contenuto lirico dei brani.
Questo disco mostra un volto diverso, più orrorifico e morboso, del doom, che in tutte le sue versioni mantiene le proprie caratteristiche di musica per pochi, e pazienza se la sua visibilità a livello di media è nulla e se, conseguentemente, chi organizza i concerti fatica a riempire locali anche piccoli; il doom è un modus vivendi (e non “moriendi” come potrebbe erroneamente pensare qualcuno) e per suonarlo ed ascoltarlo è necessaria una sensibilità diversa che consente di godere di sensazioni e vibrazioni psichiche precluse alla maggioranza delle persone.
Feretri in definitiva, corrisponde per filo e per segno a ciò che ogni appassionato avrebbe voluto ascoltare dagli Abysmal Grief; l’insinuante e malefica tastiera che pervade questi tre quarti d’ora di grande musica si è incuneata nel mio cervello e non ha nessuna intenzione di abbandonarlo in tempi brevi.
Lungi da tentazioni sciovinistiche, si può tranquillamente affermare che un disco con tali caratteristiche poteva estrarlo dal cilindro solo una band italiana.
Letteralmente imperdibile.

Tracklist :
1. Lords of the Funeral
2. Hidden in the Graveyard
3. Sinister Gleams
4. Crepusculum
5. The Gaze of the Owl
6. Her Scythe

Line-up :
Lord Alastair – Bass
Regen Graves – Guitars, Drums
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

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