Dopo la pausa estiva torniamo a torturare le nostre orecchie, in compagnia di Earth Ship, Palmar de Troya, Rifflord, Tristan da Cunha e Voodoo Beach.
Earth Ship ”Soar” (The Lasting Dose Records)
Tornano a distanza di sei anni dal precedente album gli Earth Ship.
Il trio tedesco colma il gap temporale riproponendo la sua personalissima idea di doom sludge che li ha da tempo consacrati come una delle realtà più interessanti nel proprio paese. Personalmente considero la scena tedesca un passo indietro a quella di casa nostra. Qui abbiamo realtà che a mio avviso riescono a sublimare di più e meglio l’incipiente dolore che tracima dalle nostre ferite quotidiane.
Ma, visto che non siamo qui a stilare una classifica di merito o di qualità lasciamo cadere il discorso e andiamo oltre. “Soar” è un album decisamente gradevole, ma che non dice nulla di nuovo in ambito estremo. Niente di imprescindibile, niente che ricorderemo a lungo e che useremo come metro di paragone.
Un disco dignitosissimo pensato costruito e realizzato da tre musicisti consapevoli dei propri mezzi e delle proprie qualità.
Un disco che, però, visto il surplus di offerta nel genere, rischia di finire fagocitato da tutta la miriade di uscite sovrapponibili. Se siamo di fronte a un disco sicuramente ben suonato, curato in fase di registrazione e di mastering, non possiamo però non sottolineare come una maggiore personalità avrebbe potuto trasformarlo in un prodotto sicuramente più appetibile.
Palmar de Troya ”II” (Reptilians Records)
I Palmar de Troya sono un quintetto di Granada che da anni calca le scene con un discreto successo in patria. Una “female fronted noise rock punk band” che a partire dall’EP di debutto del 2019 non ha mai smesso di gridare al mondo la propria rabbia iconoclasta.
I cinque mutuano il nome dall’omonima città del sud della Spagna, dove, negli anni settanta, si è formata una setta religiosa denominata “Palmarianos”. I seguaci si sono dichiarati alieni al Cattolicesimo, considerato troppo debole, e per questo hanno deciso di eleggere un loro Pontefice, a capo di un monastero tenuto nascosto in cui si vocifera accadano avvenimenti poco chiari. Al netto di tutto questo è invece chiarissimo quello che hanno in mente i cinque andalusi.
E cioè proseguire nel loro dirompente, devastante e freschissimo assalto sonoro. Forti di un sound azzeccatissimo e graffiante i Palmar de Troya scelgono di pubblicare anche questa volta un EP di poche tracce e altrettanto breve durata. Scelta che sposa una logica che guarda alla maggior resa del disco. E che credo di individuare nella voglia di andare subito al sodo, senza perdersi in inutili e superflui convenevoli. “II” colpisce duro, e altrettanto duramente ci lascia al tappeto.
Rifflord ”39 Serpent Power” (Ripple Music)
Gli statunitensi Rifflord arrivano con colpevole ritardo al loro terzo album, il primo con la Ripple Music. Il loro percorso, iniziato nel lontano 2007, racconta di una band che riesce a sistemare i problemi per potersi finalmente dedicare in toto alla musica. Ne esce un album di grande intensità, altamente energico. Un monolite sonoro decisamente ostico per orecchie non allenate. “39 Serpent Power” non rappresenta the next big thing, questo ci preme sottolinearlo.
Chiunque sia in cerca di qualcosa che possa portarlo in territori sognanti e lisergici resterà a bocca asciutta. Non resteranno delusi invece tutti coloro che puntano al sodo. Il disco infatti si caratterizza per un grande impatto, fatto di immediatezza. Un album che mette subito tutto in chiaro, sin dal primo brano, e che non tradirà la sua essenza per tutta la durata. Aggressivo ma mai caotico, l’album non si perde il soluzioni “gratuite” costruite per soddisfare una platea quanto più ampia possibile.
Non originalissimo ma non per questo non gradevole “39 Serpent Power” si caratterizza per un sound retrò sporco e ossessivo, perfetto per sublimare l’assalto concettuale del quintetto di Sioux Falls (South Dakota)
Tristan da Cunha ”Hidden Sea” (Dissipatio)
Continua il viaggio dei Tristan da Cunha alla ricerca di tutto quel mondo sommerso che circonda l’isola in cui il duo ha scelto di isolarsi. Il mare intorno a loro è, come sempre, opprimente e perfettamente allineato in modo da impedire qualsiasi tipo di visione.
Ragion per cui, ancora una volta, Francesco Vara e Luca Scotti non hanno altra strada che quella di crearsi un universo alternativo in cui incanalare le loro ossessioni. “Hidden Sea” è la perfetta rappresentazione di tutto questo. Un album che guarda all’isolazionismo in modo ancora più deciso che in passato, grazie ad un approccio sonoro costruito intorno a un rumore di fondo che si espande all’orizzonte proiettando i suoni in una dimensione tanto ossessiva quanto ossessionante.
La ricerca dei Tristan da Cunha li ha inseriti in quella cerchia di band che guardano alla sperimentazione più pura, sotto ogni punto di vista, e che fa del gusto per il minimale il proprio credo. Nei sei brani che compongono il disco i due declinano un oceano di frequenze che si rincorrono, si sovrappongono, e si scontrano, deliziandoci e infastidendoci fino a portarci a un passo dal punto di rottura. Il loro è un album realmente tagliente che ci spinge al largo, in acque inesplorate, unici lidi in cui trovare quei suoni alienanti che altrimenti non sapremmo dove reperire.
Un album che osa, ma che proprio per questo non possiamo non considerare come vincente sia per scelta che per risultato.
Voodoo Beach ”Wonderful Life” (Crazysane Records)
Capita spesso che ci si ritrovi ad ascoltare album che strizzano un occhio al passato. Chi per reale voglia di ripercorrere quelle dinamiche con cui sono cresciuti, cercando di contestualizzarle, e chi, molto più di frequente, sceglie di attingere dal passato per ampliare il proprio bacino di utenza, in modo sfacciato.
E’ vero che raramente capita di ascoltare qualcosa di realmente innovativo, al punto di riuscire a cambiare il sentire comune. Ma la tendenza un pò ruffiana che guarda all’appropriazione indebita dei grandi classici si sta allargando davvero troppo. Al netto di tutto questo ci sono poi le eccezioni, come i Voodoo Beach, che riescono a annullare il concetto di tempo e ci riportano con eleganza, intelligenza e padronanza a suoni vintage che rischiavamo di vedere sepolti dalle tante, troppe sollecitazioni uditive contemporanee.
La loro psichedelia guarda infatti ai momenti più alti del genere, quelli – per intenderci – in cui la componente esoterica garantiva un approccio decisamente oscuro. Se poi, il tutto, viene sapientemente mescolato a dovere con le giuste quantità di no wave e noise rock di stampo mitteleuropeo, il gioco è fatto.
Ma Voodoo Beach, non si fermano qui, aggiungono il carico, scegliendo di cantare in tedesco, loro lingua madre, riuscendo a donare ai brani ulteriore fascino, andando a sposare l’idea estetica di un certo krautrock tanto granitico quanto elegante, che tiene all’impatto ma anche all’emotività. ”Wonderful Life” è un album davvero profondo caratterizzato da un trip sonoro che possiamo accostare ad un ipotetico rientro dagli inferi, dopo un viaggio che ha dilaniato in modo definitivo la nostra mente.