Prima puntata del nuovo anno. Prime impressioni su quello che ci aspetterà? Niente di nuovo, solito patire, sotto tutti i punti di vista. Speriamo che almeno la musica possa – almeno in parte – alienare il nostro senso di inutilità. Si parte con Delving, Elephant Tree, Envy, Free Ride e Gewalt.
Delving “All Paths Diverge” (Stickman Records, Blues Funeral Recordings)
Secondo album per il quartetto statunitense, che si ripresenta con sette lunghe tracce strumentali che esulano da riferimenti troppo stringenti, andando a sublimare l’idea che realmente “tutte le strade divergano”, pur restando fedeli ad uno stesso obiettivo (in questo caso sonoro). “All Paths Diverge” mostra chiare le conseguenze di un cambiamento che segue l’inarrestabile flusso dei cicli della vita.
Tutto è mutabile e in continua (quindi inarrestabile) trasformazione. I Delving scelgono il rock progressive per mostrarci quanto siano distanti da ogni idea di staticità. Un prog che però riesce ad allontanarsi dalle (sue) origini, e strizza l’occhio alla psichedelia e, in alcuni frangenti, anche all’elettronica. Elegante e raffinato “All Paths Diverge” è un album in cui non c’è nulla di definitivo, esattamente come nelle nostre vite.
Dopo un decennio con gli Elder, Nick DiSalvo aveva bisogno di una via di fuga personale da un mondo che rischiava di iniziare a diventargli stretto, e ha dato vita al progetto Delving, in cui riesce a convogliare tutta la libertà di cui necessita.
Elephant Tree “Handful of Ten” (Magnetic Eye Records)
La band britannica celebra il decennale di attività con questo album che esce insieme alla ristampa dei precedenti “Theia” 2014 (Anniversary Edition) e “Habits” (2020). “Handful of Ten” si distacca in modo piuttosto netto dal resto della produzione.
Non si tratta infatti di un vero e proprio album di inediti, quanto di una raccolta di diverse B-sides e versioni demo che si sommano a soli due brani registrati per l’occasione. Strutturalmente l’album suona coerentemente, e mostra una buona eterogeneità, resta però il dubbio sull’interpretazione che dobbiamo dargli. Una release di questo tipo non è infatti mai facile da inquadrare all’interno di un percorso di crescita.
Sta di fatto che, anche se come detto non è un album a tutti gli effetti, anche “Handful of Ten” mostra una band in piena forma, e che potrebbe ambire a un successo maggiore, ma che non ha santi in paradiso, e dovrà quindi faticare il doppio per raggiungerlo.
Envy “Eunoia” (Pelagic Records)
I nipponici Envy festeggiano il trentennale della loro carriera, e lo fanno con “Eunoia” un nuovo album che testimonia (ulteriormente) come il loro approccio, da sempre innovativo, arda ancora fortemente.
L’album è il manifesto della completezza (e della compattezza) sonora che i giapponesi rappresentano. Il loro è un sound che, oggi più che mai, mostra una band che viaggia in un perfetto equilibrio tra chaos e calma, e che sa perfettamente come riuscire a rendere concreto il suo aspetto più interiore, riversandolo in musica. È quindi il pathos l’elemento fondante di “Eunoia”, un album che trasuda emozione proprio in virtù di quell’elegante maestria della band nel riuscire a mostrare il proprio lato più intimista senza scendere a compromessi sonori.
Gli Envy sono una realtà che guarda al lato più emozionale della musica, quello che riesce a toccare picchi di lirismo inarrivabili in virtù di una padronanza di mezzi che esalta le potenzialità dei singoli, e che affascina per la delicatezza con cui riesce a toccare le nostre corde più profonde.
Free Ride “Acido y Puto” (Small Stone Recordings)
La psichedelia, in quasi tutte le sue declinazioni, ha sempre esercitato un fascino quasi misterioso, ma proprio per questo seducente, a cui mi sono dovuto molto spesso inchinare. Quella che i Free Ride riescono a creare con le proprie composizioni guarda al lato più lisergico del fenomeno. E in particolare a quella che, da un punto di vista iconografico, si colloca in quell’immaginario statunitense desertico dei grandi stati dell’Ovest che guardano il confine con il Messico da una posizione di estrema vicinanza.
Sarebbe tutto perfetto, ma c’è un problema: i Free Ride sono spagnoli. Nonostante ogni cosa ce li faccia collocare nel Midwest, non c’è nulla da fare, l’anagrafe parla chiaro. “Acido Y Puto” è il loro secondo album. Un disco che ci invita a guardare al nostro inconscio in modo di riuscire a dare del tu alle nostre paure più recondite.
Registrato in presa diretta – per avere un ulteriore impatto – l’album, grazie a un sound grezzo e diretto, che esalta una scelta sonora praticamente perfetta, rappresenta il miglior album californiano di una band non californiana.
Gewalt – Doppeldenk (Clouds Hill Records)
Il trio berlinese arriva al terzo album, mostrando una più che discreta compattezza. Sia come band che come sound. Il loro electronoise sparato a volumi altissimi ci riporta al meglio della tradizione mitteleuropea del genere.
Quella, per intendersi, che non ha problemi a stare dalla parte del torto, e gode fortemente nel momento in cui vede che la propria provocazione (non solo sonora) va a segno. In questo caso la violenza (Gewalt) viene in parte accantonata per dare spazio ad un lato più danzante che sposa un approccio che guarda ad un groove più che mai accattivante, in grado di ricontestualizzare alcuni aspetti della new wave degli anni ottanta. “Doppeldenk” è un album che mostra senza paura tutti i suoi lati più enigmatici, e che risulta intrigante proprio in virtù di questa sua stranezza sonora.
Un album molto punk, soprattutto come attitudine. Minimale e diretto proprio per riuscire ad andare immediatamente a segno, senza perdersi per strada