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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #9

Nono appuntamento con ::acufeni:: in cui celebriamo un pugno di dischi dal carattere decisamente intenso: Leather Lung, Livgone, Love Sex Machine, Mono e Mortum

:: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #9

Nono appuntamento con ::acufeni:: in cui celebriamo un pugno di dischi dal carattere decisamente intenso: Leather Lung, Livgone, Love Sex Machine, Mono e Mortum

Leather Lung “Graveside Grin” – Magnetic Eye Records

I Leather Lung arrivano dal New England, e ci presentano un album che fa del groove il suo punto di forza. Facile a dirlo così, sembra quasi di aver detto una minchiata qualunque, e invece il tiro degli statunitensi è davvero intrigante e coinvolgente, e finisce per attirare anche chi, come me, solitamente è un pò distante da questo tipo di scelte sonore.

Sono dell’idea che alla fine, anche chi solitamente si dedica all’ascolto in modo distratto non potrà non sentirsi parte di un qualcosa da cui non potersi staccare. “Graveside Grin” è il loro album più riuscito, quello che considero più a fuoco, personale e accattivante.

Un album che punta sulla semplicità e sull’accessibilità, sull’immediatezza, e che arriva a colpire diretto, senza preavviso.

Un album mai eccessivo, compatto nella sua eterogenea composizione, fedele a un discorso di base che punta sulla sostanza, segno questo di grande maturità e di idee chiare.

Livgone “Almost There” – Svart Records

Quello dei Livgone è un doom che guarda al metal con la giusta distanza, senza cadere nella cacofonia, cercando l’eleganza e la bellezza di soluzioni che sfuggono ai cliché del genere, sposando atmosfere delicate e rarefatte.

Il loro è infatti un album introspettivo e intimista, ma non per questo non abbastanza potente da arrivare al fondo del nostro sentire più recondito e più personale.

Nato durante i tentativi di porre un limite ai danni della pandemia sul nostro sistema nervoso “Almost There” mette in mostra un sound accattivante ma mai ruffiano, mai troppo sputtanato. La loro è una ricerca che, stando a quanto sentiamo, non può che portarli avanti in questo (loro) percorso di crescita.

Non è facile accompagnarli in questo loro peregrinare, ma proprio perché si tratta di un viaggio ostico vale la pena affrontarlo, non fosse altro che per rendere il giusto merito a una band che ha scelto di correre con le proprie gambe, distaccandosi dal mondo che la circonda.

Love Sex Machine  “Trve” – Pelagic Records

Il noise rock dei francesi Love Sex Machine arriva al terzo album a distanza di ben otto anni dal precedente. E lo fa con un sound in parte rinnovato, che sposa la desolazione sonora dello sludge, approcciando il genere senza scendere sul fondo della palude, accontentandosi cioè di riproporre il solito compitino di ordinanza.

“Trve” è un interessantissimo album che fa della grande intensità e del groove il suo punto di forza. Un album ipnotico che sa essere tanto diretto quanto raffinato, sostanzialmente affascinante da qualunque parte lo si voglia approcciare.

I Love Sex Machine hanno la forza di sferrare un attacco diretto in piena faccia, portato però con intelligenza, un attacco che individua in nostri punti deboli e gioca sul fatto di non permetterci di abbandonare l’ascolto.

Il loro è un chaos martellante e lucido che trova oggi la quadratura del cerchio chiudendoci tra incudine e martello.

Mono “Oath” – Pelagic Records

I Mono arrivano al traguardo dei venticinque anni di carriera e lo fanno consegnandoci il loro dodicesimo album, un monolite filosofico – esistenzialista di ben 71 minuti.

Giusto per restare nella strettissima attualità segnaliamo come l’album sia uno degli ultimi, cronologicamente parlando, su cui abbia messo le mani il compianto Steve Albini. “Oath” è un ottimo esempio di introspezione meditativa in pieno stile zen applicata al post rock contemporaneo.

Delicato e sognante, dal tocco, come detto, profondamente intimista, il disco è una riflessione che guarda e analizza l’incedere del tempo nelle nostre esistenze.

La band ci tiene infine a sottolineare come nell’imminente tour gli strumenti usati durante le registrazioni saranno presenti anche sul palco, archi e ottoni inclusi, in modo da riproporre quanto più fedelmente possibile le atmosfere sofisticate della versione in studio. Un album orchestrale e dal grande respiro che regala oltre un’ora di gradevolissime sensazioni.

Mortum “Drone of Gods” – Exabyss Records

L’album ha avuto una gestazione piuttosto particolare. Nel 2011 viene dato alle stampe, in doppio CD, in una versione che comprendeva l’intera sessione in studio, con l’insieme delle registrazioni al completo, priva però della masterizzazione definitiva.

A distanza di tredici anni la Exabyss decide di riprendere in mano il progetto e di rivedere oltre la parte sonora anche la sequenza dei brani, riuscendo a dare, finalmente, quel taglio originario che si era perso strada facendo.

L’album racconta un mondo, quello di Mortum, fatto di un drone ambient spiccatamente industriale, che riesce però, incredibilmente, ad essere, a suo modo quasi delicato e gradevole.

Concettualmente possiamo inquadrarlo come la sublimazione nel nulla in ogni sua forma, un nulla che si trasforma, ma non prende mai nessuna dimensione concreta e tangibile.

 

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