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Recensione : Aden Arabia di Paul Nizan

Esplora l'intensa critica sociale di Paul Nizan nel diario di viaggio "Aden Arabia" del 1931. Un'invocazione alla ribellione intellettuale contro la sterilità del sapere occidentale.

“Aden Arabia” di Paul Nizan, edito da edizioni dell’asino

Scritto nel 1931, questo diario di viaggio di Paul Nizan esprime la necessità di opporsi alla miseria del mondo scappando dalla sterilità autoreferenziale del sapere.

Ogni pagina sprigiona l’esperienza viva di un intellettuale che, trovandosi a contatto con una terra straniera, trova le ragioni di una critica permanente alla subdola civiltà occidentale. Rivolto ai ventenni, “Aden Arabia” è un invito a non restare calmi, a vivere il tempo con una benefica inquietudine.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • La borghesia ingrassa i suoi intellettuali nelle stie perché non siano tentati di amare il mondo.
  • (…) la spaventosa ipocrisia degli uomini al potere non riesce a velarci la presenza di sciagure che noi non comprendiamo: sappiamo soltanto che queste sciagure esistono e che in qualche luogo succedono. E non veniteci a dire che è per il nostro bene nascondercele; non accontentatevi di accusare il destino, di fare in eterno il gesto di Pilato.
  • (…) fin dalla facile infanzia ci vanno addestrando a una docile schiavitù; nessuna possibilità perciò di scovare dentro di noi le sorgenti della speranza: non siamo dei rabdomanti.
  • Cristoforo Colombo scorge sull’Atlantico, ancor prima di arrivare nella sua falsa America, i presagi del mondo delle meraviglie; sbarca nelle isole ed ecco, in attesa dei massacri, la vera patria dell’umanità altrove corrotta!
  • Nelle acque di Malta si aggirano alcuni incrociatori britannici: le cannonate delle esercitazioni di tiro aprono profonde caverne nel grande silenzio architettonico del cielo. Tra Malta e Creta, una mattina, una fila di sommergibili affiora alla superficie come una schiera di delfini stanchi di girare attorno: l’Europa si impone alla memoria del viaggiatore con i simboli più repellenti del suo destino.
  • In Arabia l’odore dei cuoi, l’odore di mese in mese sempre più sfacciato del petrolio si sostituisce all’odore del caffè di Sana e di Harrar. Il mutamento dei pretesti non cambia le conseguenze umane: si legge nel Reclus: “Per ingrandire le piantagioni di caffè si sono intraprese guerre europee, si sono conquistati vasti territori nel Nuovo Mondo, in Africa, nelle Isole della Sonda; sono stati catturati milioni di schiavi e trasportati nelle nuove piantagioni; si è fatta una rivoluzione, che si è trascinata dietro conseguenze incalcolabili e complesse dove il male si mescola al bene, dove l’inganno, le guerre, l’asservimento di intere popolazioni e gli stermini in massa accompagnano gli scambi commerciali.”
  • Il passato, da cui traeva un’eccessiva fierezza, si riduceva al numero di rupie di cui poteva accreditarlo la National Bank of India.
  • Davanti la cappella presbiteriana, artiglieri e giovani indù si allenavano al cricket. I preti della missione italiana passavano accanto a loro, vestiti delle loro sottane di tela bianca, calzati di grosse scarpe nere da ispettori di polizia: poliziotti delle intenzioni morali, procuratori dei confessionali.
  • Sulla strada si incrociano schiere di lavoratori che tornano dai campi. Nudi, portano solo una futa stretta alla vita con una cintola di cuoio ricamato, da cui pende il coltello ricurvo dentro una guaina d’argento; un grosso filo nero circonda una caviglia. (…) Impossibile vedere degli uomini caduti più in basso di questi sudditi del sultano: gli operai che ho veduto uscire dalle miniere di bauxite sulla strada di Aix-en-Provence, coperti di terra rossa, in confronto a costoro, sprizzavano energia e gioia di vivere. Ventimila anime conducono quella vita da purgatorio, perché questo Marchese delle Carabattole indigeno possa vedere i suoi prati verdeggiare all’ombra degli aeroplani militari inglesi; possa guardar se stesso nei globi di vetro e fare viaggi al Cairo, a Londra e a Parigi. (…) Oriente, sotto i tuoi decantati palmizi, ancora una volta io non trovo che nuova sofferenza umana.
  • (…) rivendicare un atto umano vuol dire attaccare le forze da cui dipendono tutte le infelicità.
  • Ci sono donne sentimentali, ragazzi e perfino uomini rispettabili, come medici e notai, che passeggiano la notte soli, e ciò per un’infinità di motivi, profondi o futili, che ora non interessano. Può capitare loro di notare un albero, che non è che un albero, con rami e foglie, tronco e corteccia: un alburno, per esempio, con qualche nido, qualche uccello notturno e forse anche un’ombra, se c’è un po’ di luna. Possono scambiarlo per uno spettro che ce l’abbia con la loro anima, o per un brigante pronto a violare la donna, a derubare l’uomo, a rapire il ragazzo; possono fuggire come se un treno dovesse piombare su di loro. Ma potrebbero anche andare a vederlo da vicino e rendersi conto che un ramo deformato dalla notte non è altro che un ramo, arrampicarsi sul quale non sarebbe più impossibile che farlo di giorno.
  • (…) vidi una mattina il castello d’If e, davanti a bianche colline, Notre-Dame-de-la-Garde. Ero servito: i primi simboli che mi venivano incontro erano esattamente i più repellenti oggetti della terra: una chiesa, una prigione.
  • Tutto quello che sta in piedi attorno a me appartiene ai miei nemici. Non ho nulla, non godo di nulla. Vedo dappertutto le testimonianze di pietra della loro dominazione: chiese, sedi del governo e delle camere, caserme, accademie, commissariati, palazzi di giustizia, bordelli, ministeri. Non posso stirare le braccia senza andare a toccare con le dita la porta di una banca, il petto di un agente, di un cavaliere della Legion d’onore.
  • Accorrono da tutte le parti al luogo dove si faccia sentire una parola di protesta, dove si produca un tentativo di liberazione. Quando si ritirano, lasciano piazza pulita: i loro poliziotti, i loro giullari o saggi, agiscono con la sicurezza inconscia delle macchine. A che pensa un tornio verticale? A che pensa l’agente 36541?
  • I guardiani di prigione conoscono un tipo di noia quasi egualmente grande quanto quella dei prigionieri, e i sottufficiali non sono molto più felici dei loro uomini. Senonché hanno delle maschere quando si guardano negli specchi e non riconoscono la loro brutta cera dietro la cartapesta dorata.

 

Cos’altro dire? Un motivo d’attualità di questo testo del 1931 è che ancora oggi la cultura sembra divenuta una modalità di amministrazione silenziosa del consenso; non più, pertanto, uno strumento di emancipazione e di conoscenza della realtà, quanto un subdolo veicolo di divertimento che produce l’annichilimento di qualsivoglia lucida sorveglianza e le distruzione della ragione critica.

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