Alessandro Dal Lago, genovese di professione sociologo, è in genere uno scrittore molto rigoroso e attento alle fonti. In quasi tutti i suoi libri precedenti lo studio precede la realizzazione dell’opera che ne è il completamento. Studioso della società e dei suoi riti il sociologo genovese non ha disdegnato incursioni nella letteratura (i racconti di Alma Mater editi da Il Manifesto Libri)) e interviene spesso sulla politica in maniera molto critica anche nei confronti della sinistra radicale con editoriali su il Manifesto e Liberazione.
Molto si è detto negli scorsi mesi su questo libro. Il punto dirimente di tutte le polemiche è il delitto di lesa maestà nei confronti di Roberto Saviano, l’autore del best seller Gomorra ed editorialista per il gruppo l’Espresso/Repubblica che, a causa delle sue battaglie contro la Camorra e le mafie, si trova sotto scorta perché minacciato dai clan camorristici.
Sgomberiamo il campo da un errore che probabilmente deriva da una lettura superficiale del libro di Dal Lago: in realtà il caso Gomorra è solo una parte dell’invettiva dell’autore che prende di mira in realtà tutto un ambiente che di Saviano ha fatto icona. Tra le righe il giudizio di Dal Lago si fa duro su una parte di sinistra che dal giovane autore di Caserta si estende agli autori del New Italian Epic (Wu ming, Di Michele, Genna, Evangelisti, il gruppo della rivista Carmilla), alle battaglie del gruppo editoriale di riferimento (Repubblica), alla sinistra politica (soprattutto Vendola). Ad essere prese di mira è la categoria che diremmo del “falso” in politica e nella società.
Una politica ed una cultura che hanno una pretesa di fare opinione senza prendere posizioni nette, che fanno della poesia un metodo per abbindolare. Per questo Dal Lago va alla ricerca degli errori, delle incongruenze del testo, come a cercare un grimaldello che scardini una impalcatura ideologica che in realtà Saviano e gli altri si ritrovano appiccicati da un giudizio comune, non neutro, mediato da giornali, mercato, altri poteri.
Dal Lago, si è detto, fa il critico letterario senza averne la capacità. Ad essere messa in discussione è soprattutto la parte centrale in cui viene esaminato il testo di Gomorra analizzandone le incongruenze narrative e la sciatteria letteraria. Non so se queste critiche siano corrette dal punto di vista tecnico, forse la critica letteraria ha altri parametri di lettura che devono essere rispettati. Quel che emerge però è un quadro sconsolante che l’autore non manca di mettere in relazione con un quadro più generale. E’ proprio questa connessione a risultare l’elemento più interessante di questo libro. Questa parte generale, al di là del particolare letterario, è il vero cuore di “Eroi di Carta”; può essere contestabile e ricca di giudizi sommari, ma mi pare colga il segno. A meno che non si intenda che essere di sinistra oggi si riduca ad essere immobili davanti ad uno schermo televisivo insieme ad altri 10 milioni di italiani mentre il telepredicatore di turno ci elenca i motivi per cui essere onesti e progressisti. “Eroi di carta” è un pamphlet scritto di getto, frutto di una delusione e di una arrabbiatura più che di uno studio. Va letto in questo modo, non rappresenta la verità contro il falso, ma uno spunto di discussione. Per chiedersi il significato della frase che tutti citiamo senza mai arrivare alle conseguenze. Felice il popolo che non ha bisogno di eroi?