L’amore relazionale, l’amore di coppia, l’amore unitivo – come lo chiamano all’interno dei corsi prematrimoniali – tende , specie nei tempi correnti, ad apparirci anacronistico, patetico, non di rado squallido. Una perdita di tempo che serve unicamente a riempire delle vite il più delle volte contrassegnate da un vuoto pneumatico emotivo. “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare, il giorno volevo qualcuno da amare, la notte volevo te” è la frase più sincera spesa sull’argomento in tutta la moltitudine di lovesongs che riempiono la musica leggera nell’ultimo secolo di produzione discografica. Ossia, l’amore come riempitivo, più che come motivazione primaria.
Per capire in cosa consista quell’amore con cui continuano a riempire le scalette sanremesi come gli scaffali dedicati al genere romance, dovremmo considerarlo al netto di proprietà accidentali quali il sesso, la riproduzione, il bisogno di compagnia o di assistenza, la paura della solitudine, la salvaguardia del nucleo familiare e via discorrendo. Com’è facile prevedere, facendo questo rischieremmo di trovarci in mano solo più un pugno di mosche. Che cos’è dunque l’amore? Niente, ci verrebbe da rispondere. Una finzione. Una reificazione menzognera. Una sorta di collettiva sospensione dell’incredulità a fini bassamente autoconsolatori.
Ma com’è possibile che esso, se davvero stanno così le cose, continui a riempirci la bocca, domini le nostre arti, faccia vendere i rotocalchi a tirature di centinaia di migliaia di copie? Quali sono i meccanismi e le convenzioni tanto potenti da riuscire a mantenere in vita una colossale simulazione come questa?
Prova a rispondere a quest’ultima domanda Fabio Zuffanti con la sua ultima raccolta di racconti edita dall’editrice pugliese Les Flàneurs e intitolata Amori elusivi, prendendo l’argomento di sponda, soffermandosi in gran parte su storie anonime, di gente ignota. Quel che ne emerge sembra essere l’illogicità di fondo dei rapporti a due, rappresentando essa stessa la tecnica vincente perché ci offriamo spontaneamente a intrichi e complicazioni capaci di perderci senza appello e in cui, cum grano salis, dovremmo piuttosto guardarci bene dall’addentrarci.
Fabio ZuffantiIl libro conferma la bravura dell’autore, ancor più noto come musicista progressive. Molti dei racconti presenti si richiamano l’un l’altro, spesso mettendo in scena lo stesso episodio da diversi punti di vista, a seconda dei protagonisti coinvolti nella storia, così da creare una sorta di concept, come si definirebbe in termini musicali, ossia un album suddiviso in una serie di canzoni che riportano a una narrazione comune. Questo forse l’unico strascico professionale, visto che, per il resto, stiamo parlando di un novelliere maturo, uno scrittore formato, non certo di un semplice musicista temporaneamente prestato alla narrativa.
Le storie sono sempre paradossali, con ampie digressioni nel surreale. Scorrendo le pagine del libro, vi potrete imbattere nello strano caso da una moglie che, da un giorno all’altro, comincia a detestare senza un motivo il proprio uomo, finendo per distruggerlo penosamente, oppure nella storia di una moglie che, per vincere la routine coniugale, si finge l’amante del marito, ogni volta con una personalità diversa, fino a quando queste emanazioni di una sola donna andranno dal pover’uomo a farsi le proprie ragioni tutte insieme. C’è un uomo che per la prima volta si accorge degli affreschi che arricchiscono i portici della propria città, dentro i quali finirà per rintracciare una sconosciuta che si era messo a pedinare il giorno prima, c’è la strana parafilia che una donna nutre per i capelli dei propri partner, c’è una moglie che consulta il futuro del proprio rapporto di coppia in un libro, la donna sola che finirà per unire la propria solitudine a quella di uno sconosciuto, una coppia che dà il meglio di sé solo sui social.
La relazione tra uomo e donna poi non esaurisce la rassegna di casi in cui Zuffanti declina il concetto di amore o, più in generale, gli strani risvolti di esistenze solo apparentemente lineari: c’è una specie di tristo mietitore camuffato da femme fatale che occupa un paio di racconti, c’è l’attaccamento morboso di un anziano per il salotto di casa ormai da rottamare, il destinatario di un pacco vuoto che ci si nasconde dentro per poter essere restituito al mittente ed evadere così dal solito trantran.
Quello che gli episodi narrati spesso ci lasciano è il senso del perturbante: qualcosa di inaspettato, un evento improvviso che sembra disattendere le regole statistiche che la nostra mente tende a perseguire. In altre parole, una sensazione illogica e nonostante questo attendibile, esperibile nella vita di ciascuno di noi: fatti all’apparenza inspiegabili, reazioni insensate, crampi comportamentali o clic psicotici, di cui, a ben guardare, siamo stati tutti, prima o poi, testimoni o protagonisti.
Zuffanti ci conferma ciò che già sospettavamo: la realtà è irragionevole, almeno secondo i canoni del buon senso. Anzi, rovesciando il motto hegeliano, ci si può spingere ad affermare che tutto ciò che è reale è irrazionale e viceversa.
Sono anni che Zuffanti fa sua, più o meno manifestamente, una battaglia già borgesiana contro il realismo ingenuo, figlio semplificato del verismo. Contro cioè una vocazione sociale e politica, o anche solo piattamente descrittiva, la cui unica urgenza sembra quella di fotografare le piccole contingenze quotidiane nella maniera più pedissequamente aderente al banale vissuto di lettori e autori. Quello di Zuffanti non può essere neppure visto come una sorta di omaggio al realismo magico in salsa sudamericana di qualche decennio fa. Potremmo forse parlare di un minimalismo incantato: elementi misteriosi, surreali, illogici o fantastici che investono esperienze di vita comune. L’apporto fantastico non già come vuota evasione dal reale, bensì come indagine alternativa e laterale dello stesso.
Da questo punto di vista, Zuffanti potrebbe anche essere descritto come la risposta italiana a Haruki Murakami, che a sua volta rappresenta la risposta nipponica a Raymond Carver. Pur con le debite distinzioni, i tre hanno in comune la brevità delle narrazione, il minimalismo e qualcosa di inafferrabile che immancabilmente attende il lettore in ognuno dei loro racconti.
Per fare un piccolo esempio, leggere il racconto di Zuffanti dedicato a una certa Carla, che continua a chiamare il narratore per fissare appuntamenti promettenti che si concludono immancabilmente con un’ostentata quanto incomprensibile scena muta da parte della protagonista, mi ha riportato alla mente racconti telefonici dei due altri autori prima citati. Quello di Carver, in cui due genitori che hanno appena perso un figlio proprio nel giorno del suo compleanno vengono tempestati di chiamate da parte di una voce ignota che continua ad accusarli, con inspiegabile crudeltà, di essersi scordati di loro figlio: si scoprirà poi trattarsi del pasticcere che, all’oscuro di tutto, pretendeva di farsi pagare la torta che i due gli avevano commissionato, senza essere mai andati a ritirarla. Se nell’autore americano c’è ancora una finale risoluzione razionale, a essa rinuncerà invece Muramaki, in un racconto in cui un tale ricorda la forte nausea che provò per quaranta giorni filati, causata forse da misteriose telefonate giornaliere che lo raggiungevano ovunque fosse, e durante le quali una voce ignota si limitava a pronunciare il suo nome, prima di interrompere la comunicazione. Tutti e tre restano infatti ancorati a una concretezza che tuttavia si mostra spesso imperscrutabile.
DATI TECNICI:
Titolo: Amori elusivi
Autore: Fabio Zuffanti
Editore: Les Flàneurs
Anno di pubblicazione: 2019
Numero pagine: 122
Prezzo: 12 euro il cartaceo
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