“Due farfalle si rincorrono nel vento e si posano su un pugno di margherite, urlando la forza della vita che non teme i freddi inverni”, scriveva accorata Mary-Grace in un taccuino. Nel sottoscala della sua rosea mente vi albergava tenue e persistente il sentimento che le raccontava di quanto la primavera della vita fosse atto breve ed intenso e che le avrebbe lasciato un’impronta di dolcezza indelebile nel trascorrere futuro dei suoi giorni, indorando il divenire.
Affinché si verificasse tale fatale esperienza occorreva dunque un’altra farfalla, per cui solo il caso e l’altrui naturale predisposizione d’animo ne avrebbero permesso il legame. Infarciva il rincorrere del sogno che, fosse stato lungo anche un sol giorno, come l’esiguo tempo vitale delle farfalle, sapeva le si sarebbe tatuato eterno nel cuore.
Esercitava con costanza, comme d’habitude, detta visione, antipasto et overture di un raffinato e delicato banchetto luculliano, parallelamente all’attività di professoressa. Sebbene piacente ventenne, fu genio precoce raggiungendo la laurea a 15 anni, le furono precluse quelle tappe ludiche che le coetanee avevano vissuto seguendo il ritmo dello sviluppo, lei, purtroppo, anticipando i tempi, s’era accompagnata a noiosi accademici e vecchi professori eruditi in materia dei suoi profittevoli studi in entomologia, presso il circuito della Sorbona di Parigi.
Adesso si trovava a Brescia, ingaggiata al febbrarino Festival delle Luci, poiché esperta di farfalle, quelle che i bambini delle scuole dovevano riprodurre servendosi di innumerevoli materiali riciclati e che avrebbero poi depositato su al Castello, illuminando un magico percorso volatile di coloratissimi riflessi e giochi iridati di diffusa luce emessa in notturna.
La missione di sovraintendente ai lavori, affidatale da Madre Serena, che occupava la posizione di coordinatrice artistica alle attività dei ragazzi, a sua volta affidatale dal vescovo di Brescia in accordo con il Vescovo di Bergamo, le coinvolgeva nella ricerca di materiale sonoro ed artistico per una contigua installazione che svolgevasi poi nel Monastero di Lovere, al lume di mille candele forgiate in forma di vanesse sacre, tra soavi canti e musiche liturgiche, impegnando suore musiciste ed artiste di tutta italia, qui selezionate per il Raduno della Farfalla: purificante presagio della primavera imminente.
Il grigiore piovasco, la fosca nebbia e la scarsa conoscenza della città, nel tragitto chiostro-università, le fece sbagliare autobus, sebbene le fermate siano dotate di illuminazione arancione digitale, o forse a causa di quegli accadimenti fortuiti dettati da attrazioni invisibili che catalizzano l’avverarsi di eventi che paiono comandati da chissà chi; sta di fatto che Marie-Grace discese in una zona silenziosa della città e s’avviò percorrendo le file di portoni alternate ai rari negozietti dell’ampio lato del viale, imboccandone appresso la diramazione sinistra della bifolcazione, la quale le appariva rassicurante rispetto a quella destra, per il motivo che le ricordava una strada in stile barocco di Parigi o probabilmente una zona del Quartier Latin.
L’istinto prevalse sulla ragione e le parlava in tono fiducioso; lei lo ascoltava sincera, sinché non si imbattè in una scena rocambolesca rinvenuta solo nei romanzi; un giovane barbone che leggeva Zola, riconobbe subito la copertina di “Nanà” che saltò fuor di tasca al cappotto, fu violentemente scaraventato da un barista gigante – vestito di camicia, gilet e pantaloni scuri – su un mucchio di cartoni bianchi della vinicola Margherita, di cui in stampa l’effige del fiore omonimo ed essenza primaria dei prodotti, accumulati nel riparo del tendaggio sintetico offerto sul ciglio della passeggiata ai futuri primaverili avventori, ora vuoto di tavolini e pieno di soli cartoni di colli di prosecco e spumante, che attutirono il terribile urto del corpo.
Mary-Grace assecondò al volo la petalosa visione rosa pallido, identica al colore delle sue scarpette lucide su cui spiccavano le belle gambe toniche da galla, individuando il fato sospirato nel bel giovane spettinato e, da donna incline allo spirito e alla cultura, le si chinò di fianco leggendogli tutto il pomeriggio, tra i cartoni che li riparavano dal freddo, di Nanà, che evidentemente a lei, e sicuramente anche a lui, lo indovinava pure dall’aria afflitta, aveva fatto lacrimare e maledire la sfiducia.
A tratti il giovinastro si dava ad ebbre nanne, tuttavia gli si scorgeva il viso beato e luminoso sopra il papillon che aveva legato al collo, un attimo prima strappato nella colluttazione all’energumeno. Finalmente era felice di aver incontrato in una delle mille vie di Brescia la farfalla ideale, quand’ecco che le squillò il cellulare; Suor Serena, eccitata, la convocava per una frugale cena alle 18:00 in punto al chiostro, dopodiché sarebbero andate insieme al festival.
Il giovane giaceva sopito angelicamente e lei frettolosa gli appuntò con una spilla da balia il proprio biglietto da visita al papillon e svanì, come pure la speranza di rivedersi, poiché il giovane, tornato in sé e colto da noncuranza, gettò via dal collo il farfallino con attaccato il bigliettino.
Illustrazione di Kendra
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