E’ l’ora di dirlo: i thriller ci hanno rotto le palle, siamo nauseati dalle vicende di serial killer psicopatici ed investigatori di ogni parte del mondo che hanno almeno due o tre problemi piu’ grossi dei nostri.
Nella sordita’ collettiva bisogna continuare a gridarlo: oggi il problema vero non è ammazzare o essere ammazzati (per quello basta usare il metrò nell’ ora sbagliata) , la sfida vera è arrivare alla fine del mese e magari cominciare il prossimo.Per questo ben vengano libri come “1527” un bel saggio storico in forma di romanzo o viceversa. I tempi sono più o meno quelli di “Q” dei sedicenti Luther Blisset, il protagonista, lo svevo Heinrich, è lanzichenecco in piena crisi indentita’, sullo sfondo si muovono Thomas Muntzer, teologo e vero rivoluzionario che predica l’uguaglianza degli uomini e il disprezzo dei potenti e Martin Lutero, passato dalla servitù della chiesa a quella dei principi, finto rivoluzionario e strumento del potere.Poi c’è il sacco di Roma, la strage e la peste, l’ ignavia di papa Clemente VII e l’indolenza di chi vuole soltanto soccorrere il vincitore.E’ l’ autunno del rinascimento, la fine di un epoca, il sogno dei mercenari e l’incubo dei benpensanti, le radici dell’ odio che germogliano nei secoli a venire.Nel libro c’è un doveroso pessimismo di fondo, non c’è nessuna catarsi e persino il papa, fuggito ad Orvieto, ritornerà’ dopo aver sistemato al meglio i suoi interessi privati. Grosso merito di Moneti è l’aggiunta di un’appendice riguardante la cronologia dei fatti e degli antefatti, che agevola non solo la comprensione del testo, ma anche di altri avvenimenti che tuttora continuano ad infastidirci più o meno da vicino.Poi c’è la guerra, insensata, inutile e violenta come le guerre di ogni tempo, quelle che sono e saranno raccontate dai vincitori e soltanto da loro.Infine un piccolo, ultimo desiderio: una macchina del tempo, uno qualunque dei lanzichenecchi , la sua alabarda contro uno qualunque degli investigatori etnici (possibilmente disarmato, seno va bene lo stesso), poi comunque vada a finire, ricordiamoci quello che diceva il maggiore dei fratelli Marx: sforziamoci di conoscere la storia, anche solo per non ripeterla (e subirla) come farsa tragica.Estate 2005 ettore manzilli