Per capire la portata di un disco come l’ultimo degli Anubis Gate,è doveroso fare un passo indietro: la band danese, fondata nel primo anno del nuovo millennio, esordì nel 2004 con il full length dal titolo “Purification”, per poi proseguire la carriera con altri quattro dischi di cui l’ultimo e omonimo è datato 2011.
Fin dagli esordi il gruppo ha preso di petto il genere prog metal infarcendolo di soluzioni power e confezionando buoni dischi, senza andare mai oltre a risultati soddisfacenti.
Gli alti e bassi della loro discografia non parevano le premesse ad una svolta così clamorosa e ad un nuovo lavoro che, finalmente, porta il gruppo di Aalborg in cima alla vetta del monte prog, insieme alle migliori band di questi anni.
Che Horizons sia album della svolta o della maturazione non importa, resta il fatto che è di una bellezza disarmante: il songwriting della band questa volta non ha un attimo di cedimento, i brani si scontrano tra di loro per la palma del migliore e si finisce così per avere dieci perle di prog metal come dovrebbe essere nel 2014, perché (e qui sta il bello) questo lavoro non trascina con sè il benchè minimo riferimento a epoche gloriose ma passate, ma qui si viaggia a velocità spedita verso il futuro di un modo di interpretare la musica che, se suonata a questi livelli, non avrà sicuramente fine.
Parlarvi dell’abilità dei musicisti risulta superfluo, così come spellarsi le mani per la fantastica prova di Henrik Fevre dietro al microfono, per il suo modo così elegante e arioso di interpretare i brani sfiorando a tratti l’AOR, e capace di donare alle canzoni una magia tale da far sognare ad occhi aperti.
Parti ariose, accelerazioni con cambi di tempo mozzafiato, ma sempre in funzione della fruibilità dei brani, rendono l’ascolto di Horizons un’emozionante tour nel meglio che il genere possa regalare di questi tempi.
Gli Anubis Gate non rinunciano a picchiare il giusto, regalando alle tracce un’anima metallica di influenza nord europea, che mette in evidenza spunti classici o riconducibili ad un hard rock raffinato facendolo con un eleganza straordinaria.
Passando così da bordate di metal raffinato come Revolution Come Undone a brani sostenuti ma sempre molto eleganti come Destined to Remember, i musicisti danesi ci consegnano anche l’immancabile suite, posta praticamente in chiusura, A Dream Within a Dream, quattordici minuti di deliziose atmosfere con un occhio ad Ayreon e l’altro al new prog britannico, ciliegina sulla torta di un album imperdibile.
Un’ultima considerazione: faccio davvero fatica a comprendere gli amanti del prog, specialmente quelli più avanti con gli anni che si ostinano a rivendicare, nello specifico con ragione, un’epoca dorata come quella settantiana, senza però neanche provare ad avvicinarsi alle band di oggi: un atteggiamento davvero ai confini dell’autolesionismo, che fa perdere l’opportunità di ascoltare capolavori come questo disco e molti altri; problemi loro, noi ora abbiamo altro a cui pensare, crogiolandoci in questa meraviglia chiamata Horizons.
Tracklist:
1. Destined to Remember
2. Never Like This (A Dream)
3. Hear My Call!
4. Airways
5. Revolution Come Undone
6. Breach of Faith
7. Mindlessness
8. Horizons
9. A Dream Within a Dream
10. Erasure
Line-up:
Henrik Fevre – Bass, Vocals
Kim Olesen – Guitars, Keyboards
Michael Bodin – Guitars
Morten Gade Sørensen – Drums
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