Si inizia con gli australiani As Paradise Falls, notevole gruppo deathcore con un ottimo ep. a seguire la recensione del bellissimo quarto disco dei portoghesi Process Of Guilt. Dopo di loro il debutto dei piacentini Desert Twelve con Gabriele Finotti vecchia conoscenza dai tempi dei Misfatto.
As Paradise Falls
Gli As Paradise Falls sono un gruppo australiano di deathcore che sta spingendo molto in là il proprio suono, andando a ricercare soluzioni non ovvie per un gruppo di quel genere. “ Madness / Medicine “ è un ep in uscita per la Eclipse Records il prossimo settembre, e significherà molto per questo duo di Brisbane che ha una concezione moderna del deathcore, ovvero con tanti stacchi, altrettanta melodia e cattiverai immutata. Rispetto ai lavori precedenti le idee sono più chiare e ha aiutato molto la produzione di Shane Edwards già con Northlane, Trophy Eyes e Hellions.
Il suono esce meglio e tutta la drammatica potenza del gruppo è al massimo, con suoni che piaceranno sia ai vecchi fans del deathcore sia a chi gli si avvicina ora. Nel 2017 quando è uscito il loro debutto “ Digital ritual “ sempre per la Eclipse Records si poteva avvertire molto bene che non erano un gruppo mediocre o comune, ma possedevano spunti notevoli che andavano gestiti, e in questo ep è tutto in evoluzione ma sulla direzione giusta.
Un lavoro meritevole e che celebra nella giusta maniera la scomparsa del loro chitarrista Glen Barrie a soli 26 anni la sera prima di un concerto con gli I Killed The Promo Queen in Thailandia, dove è stato registrato questo Ep. Deathcore australiano di alto livello.
Process Of Guilt
Gradito ritorno per i portoghesi Process Of Guilt con “ Slaves beneath the sun “ su Alma Mater Records di Feranando Ribeiro dei Moonspell, insomma il meglio dfi ciò che il Portogallo possa offrire in termini di musica pesante. Questo disco è il loro quarto lavoro su lunga distanza ed è forse quello migliore.
Il suono è lussurioso, lento, indolente e peccaminoso, tra il doom, il post metal più oscuro, momenti alla Neurosis e Swan o Godlfesh, e qualche reminiscenza dei sopracitati Moonspell, che sono comunque una referenza necessaria nella musica dolorosa.
L’incedere è maestoso, il suono vicino all’industrial marca il passo, è una marcia dei dannati, dei colpevoli come dice il titolo, non c’è salvezza, c’è solo consapevolezza. “ Slaves beneath the sun “ è un lavoro molto bello, c’è tutto il dolore, l’ansia e il panico che può trasmettere un disco che è stato suonato con la mente e con il corpo giunti senza possibilità di distinzione, fino alla fine. Chi ama questi suoni senza speranza capirà subito di che pasta è fatto questo disco, notevole esempio di musica dannata e bellissima. Ci si muove fra onde gelide, fiamme che spuntano dal nulla, in un magma musicale con aculei perfetti, per un lavoro che si candida a disco dell’anno, a conferma delle grandi uscite che la Alma Mater Records sta mettendo assieme.
Prendete i Neurosis più rabbiosi e fondeteli con i Godflesh e avrete un’idea di cosa sia questo disco, una delle cose migliori di questo anno che è arrivato oltre la sua metà, e non benissimo fino a qui.
Ma come dice questo disco la nostra vita è un continuo processo alla nostra colpevolezza, e non ci resta che sanguinare.
Desert Twelve
Ep d’esordio per la nuova formazione di Gabriele “ Gaby “ Finotti, membro dei Misfatto, importante gruppo piacentino degli anni novanta. Il disco è omonimo è esce per Orzorock Music, etichetta che si sta facendo distinguere. Il suono è un bel misto di desert rock come suggerisce il nome, hard rock anni settanta con sfumature psichedeliche e un inaspettato gran tiro pop che ci sta benissimo e che rende speciale il tutto.
Letto il nome e vista la copertina ci si aspetterebbe qualcosa di più stoner, invece il rock pesante è presente ma è declinato in maniera davvero originale e senza volontà di perseguire modelli, creando una via nuova. Il gruppo si giova molto della bellissima e particolare voce di Vittoria Ipri, già nei Wanted Ones, che ha un timbro che può fare quello che vuole e qui regala una notevole profondità e imprevedibilità al gruppo. Oltre a Finotti che oltre che chitarrista è anche produttore e lo fa molto bene, il gruppo è composto da Gabriele Gnecchi alla batteria ed ex Kabyria e Alex Viti alla chitarra e al basso.
Un’altra peculiarità del disco è la sua grande capacità di far viaggiare l’ascoltatore dato che “ Desert twelve “ è figlio di grandi jams e di liberi accoppiamenti di riffs, e lo si sente molto bene.
Sei inediti più un rifacimento di “ In the air tonight” di Peter Gabriel per un debutto molto piacevole ed originale, una possibile nuova via tenendo ben presente la tradizione e che funzionerà molto bene dal vivo.