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Recensione : “Attitudine riottosa. Anarcopunk in UK” di Giulio D’Errico

Il taglio del saggio di D’Errico mi ha conquistato sin da subito per il suo essere equidistante pur partendo dal cuore della rivolta. Non ci sono auto-celebrazioni, ma solo la dettagliata e lucida descrizione di un momento storico per certi versi irripetibile. Analizzato non senza aspre e puntigliose critiche, sia individuali che collettive.

“Attitudine riottosa. Anarcopunk in UK” di Giulio D’Errico

Ho vissuto gli anni più intensi dell’anarcopunk italiano in maniera sostanzialmente distaccata. Anagraficamente arrivo in questo contesto troppo giovane per potermi confrontare, oltretutto da una città di provincia come la mia, con le realtà antagoniste delle grandi metropoli italiane come Milano, unica vera antagonista al predominio britannico in materia. Ragion per cui un volume come questo “Attitudine riottosa, Anarcopunk in UK”, ovviamente edito dai tipi di Agenzia X, rappresenta il viatico ideale per colmare le mie lacune ideologico formative.

Quello che ho tra le mani è un saggio imprescindibile per chi voglia confrontarsi con un periodo storico fondamentale. Attraverso un caleidoscopio di voci, quelle dei protagonisti di quegli anni che raccontano e si raccontano a Giulio D’Errico, torniamo ad assaporare gli anni più belli della nostra gioventù, quelli che erano da un lato tanto spensierati quanto impegnati. Quelli in cui eravamo mentalmente più liberi, magari più ingenui, ma sicuramente pronti a guardare al domani senza paura e senza condizionamenti. Quando ancora pensavamo in maniera rapida senza badare troppo a quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze dei nostri gesti e delle nostre prese di posizione. Erano anni in cui la nostra idea di futuro non avrebbe potuto prendere minimamente in considerazione la decadenza che sarebbe poi arrivata in nome di uno sfrenato edonismo individualista che oggi ha raggiunto una diffusione capillare senza precedenti.

Il taglio del saggio di D’Errico mi ha conquistato sin da subito per il suo essere equidistante pur partendo dal cuore della rivolta. Non ci sono auto-celebrazioni, ma solo la dettagliata e lucida descrizione di un momento storico per certi versi irripetibile. Analizzato non senza aspre e puntigliose critiche, sia individuali che collettive. È proprio questa onestà intellettuale da parte dei protagonisti che fa di “Attitudine riottosa” un volume imprescindibile per chiunque voglia far luce su un movimento passato alla storia.

Un saggio decisamente interessante soprattutto perché racconta uno spaccato di cui spesso abbiamo sentito parlare in modo approssimativo. D’Errico colma le lacune grazie alle parole dei protagonisti di quegli anni. Che si raccontano e ci raccontano una realtà molto distante dalla nostra, molto più aperta e molto meno (auto)confinata in territori occupati. Una realtà decisamente più incline alla diffusione di massa. Londra e la Gran Bretagna erano avanti decenni rispetto a noi. Solo a distanza di anni avremmo vissuto sulla nostra pelle gli scontri sociali che negli anni ottanta infiammavano la vecchia Albione. A rileggerle ora sembrano storie di un tempo sepolto sotto la polvere della storia, mentre invece si tratta di dinamiche che possiamo ricontestualizzare ai giorni nostri. Il male assume diverse forme ma si manifesta sempre allo stesso modo e colpisce sempre la solita classe sociale, anche a distanza di anni.

Musicisti, scrittori, organizzatori, appassionati, artisti, occupanti di case e spazi sociali, attivisti di gruppi antimilitaristi e femministi, vegani, animalisti e sindacalisti. Questi alcuni dei profili dei ragazzi che hanno popolato la scena anarcopunk inglese negli anni Ottanta. Giovani, studenti e lavoratori, interessati e toccati dalla politica tanto da ribellarsi contro ciò che ritenevano ingiusto e da proporre un’alternativa, quasi sempre non violenta, ad un ordine costituito che non proteggeva più gli interessi né loro né degli operai, dei disoccupati, delle minoranze e degli emarginati.

Le voci che colorano le bianche pagine di questo volume sono la testimonianza diretta di un mondo che forse solo oggi capiamo di aver visto sfuggire dalle nostre mani. Sono i protagonisti di allora, quelli che la storia l’hanno vissuta in prima persona, a raccontare che cosa significasse al tempo gravitare nell’area anarcopunk britannica. Quali fossero le idee di rivolta e quali le strategie per provare renderle concrete, percorribili. Perché una cosa deve essere chiara sin da subito, l’anarcopunk era un’attitudine, un agire politico che partiva dal basso, per provare a riscrivere la storia o quanto meno a ridefinire i rapporti di forza. L’abbiamo forse sottovalutato, probabilmente in modo involontario, per pigrizia. E come tutte le cose che non torneranno, anche la nostra attitudine riottosa finirà sotto la voce rimpianti nel casellario dei nostri fallimenti.

In quegli anni la Gran Bretagna era alle prese con una situazione sociale drammaticamente seria. I tagli allo stato sociale, la diffusione dell’eroina, la disoccupazione giovanile, la repressione delle forze di polizia, gli scioperi dei minatori. Il tutto mentre il fenomeno punk originario, quello del settantasette andava a morire. Dalle sue ceneri prende vita l’anarcopunk, che animerà il decennio seguente, quello tristemente legato all’ingombrante figura della Thatcher, rinnovandone i contenuti e le forme espressive. Per assurdo potremmo quasi pensare che la nascita del movimento coincida con l’ascesa del suo più grande nemico, la “lady di ferro”. Era forse necessario arrivare a individuare in un nemico facilmente identificabile per poter pensare di far risorgere un movimento tristemente arrivato al capolinea.

Anarchia, pacifismo, libertarismo, anticapitalismo. Ma anche lotta per i diritti degli animali, l’ombra della minaccia nucleare, squatting e femminismo. Queste le tematiche che negli anni ottanta, mentre da noi ci si specchiava nella “Milano da bere”, infiammavano le lotte per la giustizia sociale nel Regno Unito. Partendo da Londra, per arrivare a Bristol e Belfast, in mezzo ai centri industriali del nord o nelle desolate e silenziose brughiere del sud.

Naturalmente quando si parla di punk non si intende quello da copertina patinata dei finti ribelli alla Sex Pistols ma quello dei Crass e di tutti quelli che hanno preso parte ad una scena che ha cercato di fornire ai giovani “una nuova educazione sentimentale alla politica”, basata sul tentativo di fornire la possibilità a tutti di accedere al pensiero critico libero, rivolto soprattutto a quelle politiche più “radicali”. Anche perché la prima ondata punk, quella appunto dei Sex Pistols e dei Clash non fu in grado di produrre cambiamenti radicali a livello sociale, al contrario della spinta rinnovatrice e realmente antagonista dei Crass e di tutti coloro che presero parte alla seconda ondata.

Questo perché in quel periodo considerarsi “anarchici” non voleva disinteressarsi della politica, ma il contrario. Il rifiuto era rivolto verso le istituzioni e il loro modo di gestire, di amministrare la cosa pubblica. E lo faceva cercando di aggregare laddove le istituzioni disgregavano. Agendo quindi in maniera opposta, promuovendo il DIY e la controcultura in ogni sua forma. Emerge in modo netto come l’incontro con il mondo anarcopunk finisse sistematicamente per cambiare le vite delle persone. Non si poteva restare indifferenti al cambiamento interiore che la partecipazione attiva a queste dinamiche poneva in essere.

Così è stato per i giovani britannici di quegli anni, così è stato anche per noi in Italia, più tardi e in minor maniera. Perché alla fine, se un movimento ha una sua identità e una sua dignità storica, può tranquillamente superare lo scoglio delle distanze, sia geografiche che temporali.

 

“Attitudine riottosa. Anarcopunk in UK” di Giulio D’Errico

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