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Augustines – La Maroquinerie, Parigi, 23 Novembre 2014

Sudore e passione per un concerto sorprendente e da ricordare

Lo ammetto: io gli Augustines non li avevo mai sentiti nominare, eppure mi sono ritrovato domenica sera in uno dei più bei concerti del 2014. Colpo di fortuna, forse, ma condiviso con una sala entusiasta di circa 300 persone che, per quel miracolo raro chiamato rock’n’roll, alla fine avevano tutti il sorriso e forse pure l’impressione effimera di potere diventare amici davanti a una birra.

Prima di entrare al concerto avevo fatto comunque un rapido ascolto di ispezione, per farmi un’idea di quello a cui andavo incontro. Spotify mi ha gentilmente proposto il loro ultimo album (il secondo – omonimo),e in generale un gruppo vagamente parente di quella ondata neo-folk o come si chiama, Lumineers, Boy&Bear, Mumford & Son, piacevole eppure forse al momento un po inflazionata e ripetitiva.

Invece no. In un attimo il cantante suda come il cantante degli Agnostic Front (ogni tanto gli scappa pure qualche urlo rauco), il chitarrista si dimentica dopo 10 secondi del ciuffo pettinato, c’è pure una tromba che prova a farsi sentire a spallate ed è una gara continua a chi suona più forte e più “loud”. Quel tocco folk che avevo potuto intravedere si ritrova soltanto nella orecchiabilità dei ritornelli e in una certa ritmicità, ma le chitarre succhiano elettricità a più non posso, in cambio di velocità e distorsioni. L’alchimia con il pubblico è immediata e montante, io non riconosco più il gruppo che avevo potuto immaginare: la serata è partita per due ore e mezza di rock onesto, diretto, vario, energico, divertente e coinvolgente; ad un certo punto tutti saltano e cantano, ma conoscere il testo delle canzoni è completamente facoltativo.

Il concerto va avanti, il cantante Billy McCarthy sembra sinceramente innamorato di Parigi (e delle parigine), la serata si invola versi picchi di energia inattesi. Quando tutto sembra finito, i quattro rockers rispuntano tra il pubblico, armati di chitarre acustiche e tamburi (e tromba, ovviamente) : ricominciano a cantare, raccontare storie e bere whisky. Mancano solo un paio di divani e sembrerebbe di stare a una festa a casa loro. Finiscono le loro canzoni e, in seguito a votazione democratica, propongono una cover di Johnny Cash, cantata a squarciagola, come se non ci fosse un domani e un tour europeo da portare a termine.
Nessuno ha ancora sonno e prima di chiudere definitivamente la serata, gli Augustines non resistono alla tentazione di salire ancora una volta sul palco, per amplificare la loro musica ed esuberanza . La voce non c’è quasi più, i pezzi e gli stacchi sono meno precisi che due ore prima, ma a nessuno importa. E poi, come sempre, arriva il momento dei saluti e di andare a casa per davvero, ma ci si va tutti un po’ più felici e consapevoli di aver condiviso l’energia e la passione di una band sincera e sorprendente, a mio parere migliore live che in studio.

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