In seguito all’ascolto di Frontiera, il primo disco ufficiale dei Bancale (non contando l’Ep Corteccia), siamo rimasti come folgorati. Per questo motivo abbiamo contattato la band per torchiarli con le nostre domande. Consigliandovi ulteriormente di ascoltarli, ecco a voi l’intervista che siamo riusciti a strappargli.
iyeIl vostro album, Frontiera, è uscito alcune settimane fa. Noi lo abbiamo già ascoltato (divorato) e ammettiamo che ci ha colpito molto. Per questo motivo siamo qui per molestarvi con un paio di domande (farvi solo la recensione al disco non ci piaceva). Iniziamo, quindi, con una domanda forse banale e logora, ma che ci sembra giusto fare: come si è sviluppato il lavoro di registrazione? Com’è stato lavorare con Xabier Iriondo? Perchè avete scelto proprio lui come produttore artistico?
Luca: La scelta di Xabier Iriondo è nata da motivi di stima profonda. Ci è capitato di incontrarlo ad un concerto dove suonavamo noi in apertura di uno dei suoi vari progetti, i NoGuru. Ci siamo conosciuti, lui ha ascoltato il nostro primo ep, ci ha invitato a suonare al SoundMetak, e quando gli abbiamo chiesto se era interessato a produrre Frontiera ci ha detto di sì. Il lavoro di registrazione è durato tre giorni: noi siamo arrivati con i pezzi già pronti, anche a livello di arrangiamento; Xabier con un’idea molto precisa su come registrare ogni brano, sfruttando al meglio le possibilità dello studio di Fabio Intraina ed aggiungendo qua e là qualche idea che successivamente si sarebbe rilevata fondamentale – mi riferisco ad esempio all’inserimento dell’elettronica su Un paese. Poi lui si è portato a casa tutte le riprese e ha svolto un lavoro piuttosto lungo di post-produzione, tirando fuori esattamente il suono che noi avevamo in mente senza snaturare l’anima viva di una registrazione fatta quasi tutta in presa diretta. Lavorare con lui è stato fondamentale sotto tanti aspetti: in primis citerei ciò che lui ci ha dato, ovvero esperienza, umanità, passione.
iyeLe tematiche del disco sono prevalentemente due: il tempo e la morte. Cosa è che volete comunicare per mezzo di queste canzoni? Nonostante la drammaticità dei pezzi, è possibile intravedere una luce al fondo del tunnel? E’ da inserire in quest’ottica, il pezzo Frontiera?
Luca: Frontiera è un tentativo, speriamo riuscito, di prendere atto dello stato delle cose e reagire ad esso. La morte, il tempo: in una parola il limite. Quello dell’uomo nel suo essere tale e soprattutto quello dell’uomo all’interno del mondo, della natura. Sappiamo benissimo che non è un disco allegro, ma non è nemmeno un disco pessimista. Nella title-track (come in altri brani) c’è una reazione, ma non è una luce in fondo al tunnel, perché non c’è nessun tunnel e nessuna luce. Nessun inferno e nessun paradiso. C’è invece la realtà, ci sono i nostri corpi, il nostro respiro, il sangue, la fatica, il cuore, e le cose che abbiamo intorno. Che sono gli unici nostri strumenti per dare un senso alla fatica di esistere. Dura, durissima, ma quantomai intensa.
iyeNel disco è possibile individuare affinità con Bachi Da Pietra (in primis) ma anche Massimo Volume e band più o meno collocabili nel calderone del post rock. E’ possibile rintracciare anche echi industrial, venature blues e ispirazioni folk (tendenti all’apocalittico). Infine, alcune persone hanno accostato il vostro sound anche a quello di certi lavori dei Neurosis (forse azzardando un pò). Insomma, si direbbe che c’è molta carne al fuoco. Voi dove vi collochereste (se vi collochereste)?
Quali sono le vostre origini musicali? Pensate ci possano essere ulteriori sviluppi del vostro suono? Una canzone come Suonatore Cielo (pseudo ballata) è da inserire all’interno di quest’ottica o è stato solo un esperimento isolato?
Luca: Il progetto Bancale nasce da un po’ di ascolti di blues più o meno originario e delle sue (infinite) derivazioni. Tra queste ovviamente i Bachi da Pietra, e ancor prima i Madrigali Magri, che per quanto mi riguarda sono stati un bellissimo incoraggiamento ad usare la voce pubblicamente dopo anni di scrittura silenziosa. Alcune di queste derivazioni, che hai citato anche tu, sono nell’ep e in Frontiera. Altre arriveranno con le prossime canzoni. Il blues, suono negroide e africano, è la radice feconda all’origine della techno e dell’hip hop, ma anche del funk, del reggae e di tanta altra musica molto ritmica. Mi piacerebbe provare queste direzioni, magari in canzoni dalla struttura più chiusa e classica. Suonare Cielo è stato un primo esperimento. Ce ne saranno altri, credo.
Fabrizio: Solo per aver accostato i Neurosis (quelli di “A sun that never sets”?) al nostro disco mi hai risollevato la giornata. Il che ovviamente è tutto dire…
iyeSempre in relazione a Suonatore Cielo, perchè dedicarla agli affogati? Qual è il suo significato?
Luca: Il testo di Suonatore Cielo è stato scritto pochi giorni dopo l’uragano Katrina. Ecco il perché della dedica agli affogati, cioè a tutti coloro che hanno pagato l’assoluta indifferenza della natura rispetto alle vicende umane.
iyeQuanto ha influito il vivere a Bergamo, tra falegnami, il mito del lavoro, i monti, la Lega, ma anche i Verdena, la Jestrai e Neverland sul vostro modo di suonare, di scrivere, di intendere la materia musica? Sapreste trovare una spiegazione al perché dell’enorme vivacità della scena musicale bergamasca?
Luca: La provincia dove viviamo ha influito molto, ma probabilmente avremmo suonato una musica molto simile nelle atmosfere e nei significati a questa anche se fossimo nati ad Altamura, semmai l’avremmo declinata ad un altro immaginario. Il nostro di immaginario nasce da quel che ci circonda: i falegnami, i muratori, i monti e le pianure, anche la Lega, che però non è l’unica cosa che ha partorito la provincia bergamasca negli ultimi trent’anni. Altrimenti non ci sarebbero i Verdena, la Jestrai, Neverland e il fermento di cui parli. Che nasce dalla passione di alcune persone piuttosto indomite e anche da un fatto molto meno eroico ma altrettanto basilare: i soldi. Nonostante la crisi, nonostante l’ottusità di tante amministrazioni comunali una parte piccola ma importante di quel benessere che caratterizza la nostra provincia nutre anche il fermento di cui parli. Basta sapere sfruttare le nicchie, o l’ignoranza del Palazzo.
iyeIl vostro disco è uscito grazie alla collaborazione di tre etichette discografiche (Ribess, Fumaio e Palustre). Ciò a testimonianza del fatto che, attualmente, nell’ambiente musicale ci sono pochi soldi a disposizione e che sempre più spesso è solo grazie all’unione che si fa la forza. Secondo voi, tale situazione può influire sulla qualità delle nuove proposte? Se sì, come?
Luca: Sì, ovviamente influisce. Però attenzione: negli ultimi dieci da una nazione come il Mali è arrivata un tal quantità di musica buona e importante che l’Italia se la sogna. E non possiamo dire che in Mali la situazione socio-economica sia migliore che in Italia. C’è all’origine un problema di crisi generale della società italiana, che coinvolge la cultura e quindi la curiosità – perché la cultura è prima di tutto curiosità – di chi vive in questo Paese, musicisti e no. Più dei pochi soldi che girano, mi preoccupa molto l’immancabile assenza dei musicisti ai concerti altrui e la pochissima musica ascoltata da parte di chi la musica dice di ascoltarla e da parte di chi la musica la fa. Quando sento questi ultimi affermare che preferiscono ascoltare poca musica per non farsi influenzare troppo voglio emigrare in Mali e rimanerci.
iyeIl panorama musicale italiano (ma direi anche mondiale) grazie allo sviluppo tecnologico e alle infinite potenzialità di internet, si è sempre più frammentato; attualmente, chiunque, con pochi sforzi, ha la possibilità di registrare/pubblicare un disco e di presentare il proprio lavoro a un enorme numero di persone in poco tempo e a costo zero. Conseguenza di ciò, è stata la nascita di un immenso e fervido sottobosco da cui, però, solo pochi riescono realmente ad emergere. Rimpiangete i tempi passati o siete favorevoli all’attuale situazione? Credete ci sia più fermento rispetto al passato? Qual’è il vostro rapporto con le nuove modalità di comunicazione?
Luca: Non ti so dire se in passato ci fosse più fermento perché non c’ero. Sicuramente non sono un passatista, ma nemmeno un futurista; lo stato presente della musica ha semplicemente risvolti positivi e negativi. La maggior parte degli ascolti che mi hanno spinto verso i Bancale l’ho scoperta grazie al p2p illegale e consumata su un iPod. Se non ci fossero stati non avrei avuto la possibilità (economica) di avere quella musica. Dall’altro lato so benissimo come ascoltare musica oggi significhi spesso caricare una decina di dischi al giorno su iTunes e sentirli a flusso interrotto dalle casse del pc. Tuttavia a questo punto il problema non è la digitalizzazione della musica o la coda lunga, ma il singolo essere vivente che ha la possibilità e la responsabilità di decidere. Personalmente godo pensando alla quantità di nicchie musicali che so di poter ancora scoprire e mi difendo come posso dalla quantità di guano che questo libero volo di uccelli cibernetici ci propina quotidianamente.
Fabrizio: Credo che il discorso in realtà raggiunga a livello più ampio tutte le forme di comunicazione investite dalla rivoluzione digitale, la musica, la fotografia, il cinema, il giornalismo… Opportunità e ridondanza mi paiono due chiavi di lettura altrettanto valide per descrivere i nuovi scenari delineati, ma in uno slancio di socialismo digitale preferisco pensare che in fondo molte più persone e in modo molto più approfondito possono accedere a risorse e tecnologie altrimenti lontane.
iyeNel vostro disco Fabrizio Colombi non suona una batteria vera e propria, ma solo percussioni e lamiere. In che cosa consistono queste lamiere? E ancora, come si struttura un vostro live? Non sentite la mancanza del basso?
Fabrizio: Le lamiere non sono nient’altro che pezzi di metallo recuperati qua e là, non hanno alcuna pretesa di oggettistica o feticcio, erano semplicemente il modo più rapido di rispondere a una determinata urgenza sonora. Pelli di metallo affiancate alle pelli di tamburo. Per quanto riguarda il live, non è una cosa molto diversa dalle sessioni di prova, solo più intenso ma soprattutto figlio di quello specifico momento di dialogo, tra di noi e col pubblico. In questo senso l’eventuale presenza di un bassista non è una cosa di cui sento particolare esigenza.
iyePer concludere, domanda di rito: cosa vedete nel vostro avvenire? Quali sono i vostri progetti?
Luca: Vediamo concerti, qualche collaborazione live e i pezzi nuovi.