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Recensione : Barmudas – Every Day Is Saturday Night

A tre anni dal debutto discografico assoluto, avvenuto nel 2018 col singolo "Rock The Barmudas/Zaira", i fiorentini Barmudas arrivano al traguardo del disco d'esordio.

BARMUDAS- EVERY DAY IS SATURDAY NIGHT

A tre anni dal debutto discografico assoluto, avvenuto nel 2018 col singolo “Rock The Barmudas/Zaira“, i fiorentini Barmudas arrivano al traguardo del disco d’esordio. Entrambe le uscite sono tenute a battesimo da Area Pirata, label pisana sempre sul pezzo, per ciò che concerne la musica indipendente di qualità.

Con la stessa line up del primo 7″ (“Smendock” alla voce e “zombie teacher“, Luca Nacker in veste di bassista e “digital outlaw“, “King-Dom” diviso tra il ruolo di chitarrista e di “zombie teacher“, e “Zak” alla batteria, ma anche segnalato come “Roadrunner” e “Taxi Driver“) la band, nata nel 2017, e che ci tiene a sottolineare le sue origini appartenenti a una zona di Firenze, il cosiddetto “triangolo delle Bermude”, ultimo baluardo di controcultura giovanile non ancora preso di mira dal turismo selvaggio e dallo “sciame di hipsters, poser indie, cover bands, fashion influencers e intellettuali snob” e  si avventura in questo full lenght di dieci pezzi all’insegna di un sano rock ‘n’ roll venato di sfumature glam e punk (ossia i generi che hanno copulato, negli anni Settanta, dando la luce anche alle influenze che hanno forgiato i Barmudas) con una manciata di ospiti ad accompagnare il viaggio.

Every day is Saturday night” si apre con una intro affidata alla voce di Tonino Carotone (in effetti, “è un mondo difficile, e vita incerta, felicità a momenti e futuro incerto” oggi più che mai…) che dà il via alla title track che, col suo tiro scanzonato à la Slade e New York Dolls (e la partecipazione di Christian “Skandi” Perrotta al grand-piano) riporta in vita entrambe le sponde glam/glitter rock dell’Atlantico. Sulla stessa scia la successiva “Dry January“, che strizza l’occhiolino anche agli Stones, soprattutto nella sboccata interpretazione jaggeriana del brano. Si prosegue con “Bar-Mud-Ass“, in bilico tra glam e certe atmosfere à la DEVO, poi è la volta della ramonesianaZombie teacher” (con tanto di spelling di Z-O-M-B-I-E come fosse il “D-U-M-B”  della “Pinhead” dei quattro fratelli newyorchesi) mentre “Spring Roll Boogie” sembra uscita dalla scrittura di una penna divisa a metà tra Richard Hell e Johnny Thunders/Heartbreakers. “Don’t shake my coffee” è una miscela (energizzata dai backing vocals di Nick the Ape) che suona un po’ come se Robert Smith cantasse coi Knack, e “Rock the Barmudas” è una riproposizione del primo singolo, inserito anche nell’Lp, trascinante così come “Spit room party“, basata su un azzeccato riff Kinksiano anfetaminizzato, quindi abbiamo “Shake a shaker” (cantata da “Lurch” degli Ultra Twist) che presenta un attacco decisamente DEVOtico che poi deraglia in un classico rock ‘n’ roll tra Modern Lovers e Flamin’ Groovies. Chiude in bellezza, infine, “Lock In” col suo retrogusto Johnny Thunders.

La band avrebbe dovuto esibirsi nel mitico Cavern Club di Liverpool, all’interno del prestigioso International Pop Overthrow, prima che la pandemia da covid-19, purtroppo, facesse saltare l’appuntamento con questo festival itinerante. Augurando ai Barmudas di andarci presto, nella tana che forgiò i Beatles, e di spaccare il culo ai passeri, noi nel frattempo promuoviamo EDISN a pieni voti.

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